

MAURIZIO MINGHELLI
“Le Assise della Piccola Industria cadono in un momento cruciale per il nostro Paese, stretto tra gli effetti del conflitto, l’aumento esponenziale dei costi dell’energia, il reperimento delle materie prime, la crescita dell’inflazione e le aspettative per il Piano nazionale di riprese e resilienza, la cui portata appare già molto condizionata dalla difficile contingenza. La riunione di oggi con i piccoli imprenditori dell’Emilia Romagna sarà l’occasione per sentire direttamente la voce dei colleghi che si impegnano tutti i giorni al timone delle loro aziende in mezzo a queste complessità”.
A parlare è il presidente del Comitato Piccola Industria della regione Maurizio Minghelli, che di fatto stila un ordine del giorno ben preciso per la terza tappa della roadmap. L’incontro, che si tiene a Bologna l’11 aprile, prosegue il percorso di ascolto dei territori, in preparazione delle Assise di Piccola Industria che si terranno il 17 giugno a Bari.
Le preoccupazioni degli imprenditori emiliano-romagnoli ricalcano quelle già emerse negli appuntamenti di Cagliari e Catania della settimana scorsa. Al primo posto vi è il rincaro dei costi energetici, che per una regione a fortissima vocazione manifatturiera come l’Emilia Romagna, rappresenta un problema molto grave. “Il settore industriale – si legge in una nota dell’associazione – assorbe circa il 30% dei consumi complessivi di energia (2019) e il 47% dei consumi regionali totali di energia elettrica. Inoltre, il 70% dei consumi industriali di energia è coperto da energia termica, il 30% da energia elettrica”.
Il combustibile fossile adoperato per la produzione di energia termica nel settore industriale è il gas naturale, con una quota del 95%, mentre Gpl e olio combustibile pesano per meno del 3%. Considerando che il costo del gas naturale è passato da 20 euro per Mwh di maggio 2021 ai 120 euro di dicembre, i tecnici dell’associazione hanno calcolato che la spesa energetica per l’industria regionale potrebbe quintuplicare, passando dai 700 milioni di euro del 2019 ai 4 miliardi stimati per l’anno in corso.
A questo scenario per nulla positivo si aggiungono le stime sull’impatto del conflitto in corso in Ucraina. In Emilia Romagna, infatti, sono presenti diverse filiere. Quella della ceramica, ad esempio, importa argilla e caolino, materie prime di fondamentale importanza per la produzione di piastrelle di ceramica. “Confindustria Ceramica – si legge in un documento – stima che al momento le aziende produttrici italiane abbiano scorte di materie prime per meno di un mese di produzione, mentre le aziende importatrici sembra che abbiano scorte stoccate direttamente non superiori a 1-2 mesi”. Gran parte di queste materie arriva dall’Ucraina all’Italia attraverso il porto di Ravenna, che riveste quindi un’importanza strategica per tutto il distretto ceramico di Sassuolo.
Ma quest’ultimo non è l’unico settore a soffrire. Anche la filiera agroalimentare sconta diverse criticità, in considerazione del fatto che da Russia e Ucraina provengono quote significative del mercato dei cereali (grano, mais). Inoltre, forti criticità si registrano nel settore dei fertilizzanti, dove secondo Cai – Consorzi Agrari d’Italia al nostro Paese manca circa il 40% del fabbisogno dei concimi per le campagne primaverili. In Emilia Romagna è un problema che si tocca con mano con la chiusura temporanea dello stabilimento Yara di Ferrara, il più importante centro di produzione di fertilizzanti in Italia, cui non si può sopperire nemmeno aumentando le importazioni dall’estero perché i paesi specializzati nella produzione hanno attivato blocchi a tutela dei rispettivi mercati domestici.
Il tessuto produttivo della regione è dunque sinceramente preoccupato dall’evolversi degli eventi. Un tessuto che si distingue per ricchezza, diversità di specializzazioni (alimentare, packaging, automotive, tessile/abbigliamento, biomedicale, automotive) e propensione all’export. Basti pensare che nel 2021 il Pil dell’Emilia Romagna ha registrato una crescita del 6,9% rispetto al 2020, superiore alla media italiana che è stata pari al 6,3%. Per quanto riguarda l’export, invece, ha conseguito un incremento del +16,9% sul 2020 e, con una quota del 14%, si è confermata seconda regione per contributo all’export nazionale, dietro alla Lombardia (26,3%) e prima del Veneto (13,6%).
“La nostra regione dà un grande contributo alla crescita del Paese e vuole continuare a darlo – sottolinea Minghelli –. Come Emilia-Romagna abbiamo l’export pro-capite più alto tra le regioni italiane, quasi doppio rispetto alla media nazionale, e assieme a Lombardia e Veneto rappresentiamo il 40% del Pil del Paese”.
Microfoni aperti, dunque, l’11 aprile a Bologna per l’appuntamento della roadmap territoriale durante la quale gli imprenditori si confronteranno sulle strategie possibili per affrontare la difficilissima fase economica.