
L’amore che la società esprime per l’arte e la cultura ha cambiato forma e natura nel tempo. Se in epoca rinascimentale questa relazione si esplicava principalmente attraverso il mecenatismo, oggi il rapporto con gli artisti si manifesta in modo differente e proviene da soggetti diversi. Le imprese stesse sono in prima linea per spingere sempre più in là questa relazione. Lei che ne pensa?
Partirei col dire che il mecenatismo, anche in epoca rinascimentale, è un’idea meno romantica di quanto si pensi. Va un po’ smitizzata questa concezione dell’arte per l’arte, separata dai processi economici e sociali.
Il mecenate è sì un fine amante dell’arte e della cultura, ma, come si è dimostrato nel corso della storia, è sempre stato anche un imprenditore a tutti gli effetti, che si avvale dell’artista per comunicare qualcosa di sé. Un esempio su tutti: nell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (oggi il dipinto è custodito alla Galleria degli Uffizi di Firenze, ndr) commissionato da Palla Strozzi, i Magi sono vestiti con indumenti straordinariamente ricchi e alla moda. Si tratta di una vera e propria operazione di marketing con cui il banchiere e finanziatore dell’industria tessile fiorentina ha voluto trasmettere una certa immagine del brand “famiglia”.
Eccolo, il rapporto tra arte e impresa è sempre stato lì e non è molto diverso, nelle finalità complessive e nell’approccio, a quello al quale assistiamo oggi.
Il centro di ricerca Aiku che lei dirige nell’Università Cà Foscari è un ottimo esempio di questa interazione. Ce ne parla?
Aiku è il centro dell’Università Ca’ Foscari dedicato all’interazione tra cultura, processi creativi e mondo delle imprese. Le aree di lavoro sono sei: Art&Business, Musei di impresa, Teatri di impresa, Cultural heritage, Politiche e Management della cultura, Turismo e territorio.
Ognuno di questi campi di intervento ci consente di spaziare all’interno dell’ampia sfera di incontro tra arte e impresa. Ad esempio, con “Art&Business” sviluppiamo progetti di ricerca e pubblicazioni, approfondimenti e studi mirati. L’area “Politiche e Management della cultura” ci consente di entrare a contatto con le amministrazioni e i centri di politica pubblica per promuovere traiettorie di sviluppo per un futuro sostenibile e utile all’economia e alla società. Con “Teatro d’impresa”, invece, abbiamo lanciato un format nuovo, una collaborazione tra compagnie teatrali e imprese per la diffusione innovativa della cultura d’impresa: lo spazio aziendale diventa “spettacolo”, i dipendenti diventano teatranti.
C’è qualcosa che accomuna tutte queste aree di lavoro: quello che cerchiamo di stimolare, quello a cui siamo realmente interessati, è l’interazione che può anche non avere un esito pubblico purché l’incontro tra i due mondi, quello artistico e imprenditoriale, non sia solo di superficie.
In base alla sua esperienza, come si percepiscono gli artisti e gli imprenditori in questo rapporto? Ci stanno un po’ stretti o trovano facilmente un equilibrio?
In generale, assistiamo a due scenari diversi, entrambi con pro e contro. Da un lato c’è l’imprenditore che ha uno spiccato interesse per l’arte, a volte magari è un collezionista. Questo processo è generalmente più direttivo e si rivela efficace perché è veloce: l’artista, ispirato dall’interazione con l’imprenditore, intuisce rapidamente quale dev’essere la destinazione finale del suo processo creativo. Di contro, si riduce lo spazio per la libera creatività e si sacrifica un po’ di estro.
Nell’altro scenario troviamo l’imprenditore meno esperto di arte contemporanea, disposto a lasciare di più le redini agli artisti. Questo modello è più generativo ma, di contro, può rivelarsi più lento e fatica a chiudersi in un esito preciso.
Se si trova l’equilibrio tra queste due polarità allora il matrimonio è ben riuscito. Altrimenti, se artista e imprenditore sono troppo simili e vicini, l’alleanza svanisce per le eccessive resistenze e la poca inclinazione a mettersi realmente in gioco.
Quali sono quindi, secondo lei, gli ingredienti necessari ad una relazione vincente tra arte e impresa?
La relazione funziona quando è compenetrazione, quando l’arte è intesa come partner e non solo come compagna ancillare o mera decorazione in un processo produttivo che si dimostra poco flessibile e incline all’evoluzione.
La relazione si definisce anche chiarendo cosa non è. Non è certamente l’acquisto di un quadro da parte di un’impresa. Quello è il frutto di una passione individuale – che va benissimo per inciso – ma non è una relazione generativa che, al contrario, nasce solo da una sensibilità declinata in un contesto produttivo.
Andrebbe anche cambiato il vocabolario di questa relazione: non dobbiamo temere di definire l’artista un fornitore di servizi e l’arte uno strumento generativo dell’innovazione che può essere legittimamente ispirato da logiche imprenditoriali e commerciali. E questa definizione non è penalizzante per la potenzialità artistica: al contrario, l’arte viene così nobilitata in senso rinascimentale perché viene accolta all’interno di un modello di business in cui è coprotagonista. Gli artisti, infatti, sono disponibili e felici di entrare in connessione con le imprese, che talvolta conoscono poco, e trovano nella vita aziendale nuova ispirazione. Restano affascinati dalle fabbriche: nuovi materiali, nuovi spazi, nuovi processi in cui le macchine si trasformano. Tutti elementi che nutrono la loro creatività. E l’imprenditore vede nell’artista un po’ il riflesso di sé stesso, essendo per, definizione, naturalmente portato all’invenzione e, con la costruzione della sua idea imprenditoriale, dà forma a qualcosa che non c’è.
Che ruolo può avere la stessa Confindustria per rafforzare e promuovere questa interazione?
Esistono già delle belle esperienze nate in Confindustria che vanno nella direzione giusta: quella, come detto prima, dell’interazione, della contaminazione positiva tra i due emisferi. Un’iniziativa pioneristica è stata Alchimie Culturali, promossa nel 2016 da Confindustria Veneto, Fondazione Bevilacqua La Masa e Regione Veneto, che ha indagato le possibilità d’interazione tra impresa, cultura, arte e territorio, con effetti quanto mai originali sul piano delle iniziative di ricerca e promozione.
Confindustria occupa una posizione strategica in grado di favorire il moltiplicarsi di iniziative simili, accompagnando strutturalmente le imprese verso l’arte contemporanea. Questo è fare cultura d’impresa in modo nuovo, dando un senso più appagante e compiuto al rapporto con l’arte.