
Il 2022 si è aperto con un quadro politico europeo tendenzialmente euro-favorevole, grazie ad alcune scadenze chiave per gli equilibri dell’Unione.
A Berlino, il voto del 26 settembre, pur avendo posto fine al lungo regno di Angela Merkel e portato ad una “coalizione semaforo” formata da Spd, Verdi e liberali dell’Fdp, conferma il forte ancoraggio europeo della politica tedesca. In Bulgaria, dopo tre elezioni inconcludenti, il 13 dicembre è nato il nuovo governo di Kiril Petkov all’insegna della lotta alla corruzione.
A Parigi, Emmanuel Macron ha assunto la presidenza semestrale del Consiglio dell’Ue e deciso di fare dell’Europa uno dei temi centrali della sua campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali. All’Aja, dopo nove mesi di negoziati (in seguito al voto del 17 marzo 2021), a gennaio si è insediato il governo Rutte IV, la cui composizione è identica a quella del Governo Rutte III ma il cui programma sembra orientato ad un approccio più flessibile alle regole di rigore fiscale.
A Roma, Mario Draghi è rimasto a Palazzo Chigi, e Sergio Mattarella, dopo un’elezione che ha tenuto con il fiato sospeso l’Ue e diverse capitali, è rimasto al Quirinale per garantire che i partiti non siano tentati da improvvidi colpi di coda che possano pregiudicare la puntuale esecuzione delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Da ultimo, il premier socialista Antonio Costa è stato confermato alla guida del governo portoghese con la maggioranza assoluta dei consensi su una piattaforma programmatica in linea con le aspettative e le richieste delle istituzioni europee.
Tuttavia, il quadro politico europeo potrebbe mutare nei prossimi mesi. Innanzitutto, c’è l’incognita tedesca. In molti si chiedono se, come e quanto cambierà la politica europea della Germania. I segnali su politica estera, finanze ed economia sono al momento abbastanza contraddittori. Per tutti, il primo vero banco di prova sarà il negoziato sulla revisione del Patto di stabilità e crescita che si terrà nel corso di questo primo semestre.
In Slovenia si terranno poi le elezioni politiche il 24 aprile. L’attuale governo si è finora sempre distinto per una politica europea tendenzialmente predatoria e muscolare, molto in linea con quella polacca, ungherese e bulgara. Un cambio di rotta potrebbe incrinare la solidità di questo asse orientale, ma al momento il primo ministro uscente Janez Jansa è in testa nei sondaggi. A Malta si dovrebbe votare in giugno, ma non dovrebbero esserci grandi sorprese per il premier laburista uscente Robert Abela.
La Svezia andrà alle urne l’11 settembre e l’estrema destra dei democratici svedesi potrebbe essere decisiva per spodestare la socialdemocratica Magdalena Andersson e riportare al governo una coalizione di centrodestra, segnata da forti accenti euroscettici. In Lettonia le elezioni parlamentari si terranno il 1° ottobre e il primo ministro conservatore ed europeista Arturs Krišjānis Kariņš dovrebbe essere riconfermato, così stabilizzando il blocco baltico soprattutto nelle richieste di una politica europea più muscolare verso la Russia di Putin.
Accanto a queste scadenze, due sono particolarmente delicate. La Francia, con le elezioni presidenziali del 10 e 24 aprile e le legislative del 12 e 19 giugno, e l’Ungheria di Viktor Orban, alle urne tra aprile e maggio (con data ancora da definire). Per quanto riguarda la Francia, attualmente alla guida della presidenza di turno dell’Ue, il presidente uscente deve fare i conti, in particolare, con due candidati di estrema destra, il cui obiettivo è una politica anti-Ue, e una candidata della destra gollista, che intende riprendere la bandiera del sovranismo anche se con un’impostazione non molto differente da quella di Macron. A questo si aggiunge l’incertezza sulla maggioranza politica all’Assemblea nazionale dopo le elezioni legislative.
La vittoria di un presidente di destra o neo-sovranista potrebbe avere duri contraccolpi sulla politica europea, a cominciare dalla tenuta dell’asse franco-tedesco e di quello franco-italiano, a vantaggio di alleanze inedite, come quelle con il blocco orientale e dei Visegrád, che rischiano di compromettere passi avanti nel processo di integrazione. Anche l’Ungheria può rappresentare un’incognita sugli equilibri europei, legata a doppio filo all’esito delle elezioni in Francia: in ballo c’è la riconferma di Viktor Orbán e del suo progetto sovranista paneuropeo o un cambio di pagina a favore di una politica più filo-Ue con la leadership del candidato dell’opposizione Péter Márki-Zay.