
Flavia Ballico è direttore finanziario e responsabile dei rapporti con l’estero della PertEngineering, azienda specializzata nella fornitura di impianti per il settore siderurgico con sede a Tavagnacco in provincia di Udine, che con la controllata PertEco ha sviluppato anche il settore del trattamento delle acque e dei fumi. Frequenta l’Africa da una decina d’anni – Tanzania, Uganda, Ghana, Angola e soprattutto Etiopia – e la sua testimonianza fa capire quanto questi paesi interessino non soltanto l’Europa.
“I nostri clienti – racconta – ci dicono che siamo più cari, ma all’ultimo tender cui abbiamo partecipato in Etiopia, la differenza con l’azienda cinese che è arrivata prima era del 15%. Bisognerebbe valutare se la loro e la nostra offerta siano realmente equivalenti, anche in termini di assistenza post vendita offerta. In ogni caso non sono i cinesi ormai a farci paura, se il dollaro scende”.
E chi invece?
In Etiopia in particolare a crearci qualche problema potrebbe essere la Turchia. Gli imprenditori arrivano supportati da una serie di agevolazioni del loro governo, che garantisce le esportazioni e spesso sostiene le spese di promozione durante le fiere, pagando gli stand e quant’altro; inoltre la Turkish Airlines offre collegamenti con quasi tutta l’Africa. Se a questo aggiunge che, come ci raccontava l’ambasciatore turco in Italia, il loro governo ha intenzione di aprire scuole di formazione nelle principali città africane, pensi agli effetti economici che questo può avere.
Quali attività svolgete nei paesi dell’Africa subsahariana?
Con PertEco lavoriamo soprattutto con comunità piccole e isolate, che hanno problemi di approvvigionamento idrico, sia perché sono prive di collegamenti con la rete nazionale di distribuzione, sia perché l’acqua stessa fornita dallo Stato non è potabile e necessita di ulteriori trattamenti domestici di depurazione. Spesso queste comunità non hanno nemmeno l’allacciamento alla rete elettrica. A loro noi forniamo impianti di potabilizzazione, che vengono interamente prodotti in Italia e poi montati sul posto in un paio di mesi sotto la supervisione di un nostro tecnico.
Puntiamo sulla semplicità di gestione riducendo l’automazione, forniamo manuali e video di supporto e ci assicuriamo che le persone incaricate della manutenzione imparino realmente come funziona l’impianto.
Stesso iter per gli impianti di desalinizzazione, l’altro filone con il quale siamo presenti. Applichiamo il trattamento di osmosi inversa, attraverso il quale specifiche membrane – oggi molto meno costose che in passato – trattengono le impurità e consentono di ottenere un’acqua di altissima qualità dal punto di vista microbiologico. A seguire sotto il profilo tecnico e di processo è il nostro ingegnere Silvia Cattarino, responsabile di processo per PertEco.
Avete stabilimenti produttivi sul posto?
Al momento no, ma potrebbe essere una strada da percorrere pensando, ad esempio, alla produzione di pezzi meno complessi. Dobbiamo comunque tenere presenti i costi di importazione del resto della componentistica, che sono elevati, e capire se il governo locale è disponibile a venirci incontro. L’Etiopia sarebbe uno dei paesi più adatti, ha una posizione privilegiata e con la popolazione locale c’è un ottimo feeling. Degli edifici e delle strade costruiti dagli italiani gli etiopi lodano ancora oggi la durata.
Cinesi e turchi sono i più presenti. E gli italiani?
Ci sono e in aumento perché la crisi ha spinto moltissimi a rimettersi in gioco all’estero e l’Africa in generale, per la sua relativa vicinanza, è balzata al primo posto fra i paesi target. La presenza italiana, nei paesi dove lavoriamo noi, è composita. C’è chi lavora bene e chi no e i secondi provocano danni di reputazione > notevoli. In Costa d’Avorio abbiamo faticato parecchio prima di ottenere una commessa proprio perché un’azienda italiana, prima di noi, aveva fornito materiale scadente. Esattamente l’opposto, invece, ci è accaduto in Tanzania. In questo ritengo che le nostre ambasciate dovrebbero fare un lavoro di selezione a monte.
Quali difficoltà avete incontrato nel processo di internazionalizzazione?
Fermo restando che prima di ingranare occorre tempo – in Africa abbiamo cominciato per l’appunto dall’Etiopia partecipando a una fiera nel 2006, ma i primi contratti sono arrivati dopo tre anni – un problema di tutta la fascia subsahariana è l’assenza di istituti di credito italiani. Eccezion fatta per Intesa Sanpaolo, che lavora con la Commercial Bank of Ethiopia, nel resto dei paesi dobbiamo servirci di banche inglesi oppure sudafricane. Più sono gli intermediari e più aumentano i costi.
Poco fa parlavo del sostegno che il governo turco assicura alle sue imprese. Ecco, qualcosa sembra muoversi in Mozambico, dove l’Eni ha forti interessi e sta coinvolgendo altre aziende italiane e il governo è stato in missione. Staremo a vedere, noi intanto siamo disponibili.
Avete avvertito la crisi di questi anni?
Lavorare sul mercato estero ci ha protetti. Il nostro fatturato è rimasto costante, circa 10-12 milioni di euro. Va detto che nei periodi più floridi abbiamo accantonato risorse ed anche per questo motivo non abbiamo chiesto crediti alle banche e ci autofinanziamo. A chi ci accusava di non voler crescere rispondo che siamo passati dai cinque dipendenti del 2008 ai 26 attuali e che abbiamo investito in innovazione fino al 30% del nostro fatturato.
Una percentuale elevata. Come mai?
La PertEngineering viene fondata da mio marito, Claudio Tomba, nel 1990 come società di ingegneria. I nostri clienti erano grosse aziende del settore siderurgico (Concast, Tenova, Pomini, Gfm) che, al fine di avere un interlocutore unico, ci coinvolsero anche nella fornitura di macchine e impianti. Nel 2000 comincia la nostra diversificazione, oltre all’ingegneria iniziamo la fornitura di impianti completi ed io entro in azienda per impostare tutta la divisione estero, sia sotto il profilo amministrativo che organizzativo. Iniziamo con la fornitura di impianti di seconda mano: sostituiamo i meccanismi di automazione obsoleti e vendiamo gli impianti “revampati” (che hanno subito una ristrutturazione anche delle parti meccaniche, ndr) a quei clienti che necessitano di entrare in produzione in tempi brevissimi e con impianti già testati in produzione.
Banco di prova è stato l’Iran, dove abbiamo trasferito quattro impianti, e questo grazie anche al supporto della Camera di Commercio italo-iraniana.
Quali motivi l’hanno spinta a diventare imprenditrice?
Provenivo da 25 anni di lavoro in una multinazionale, nella quale però il mio percorso professionale era già arrivato al suo culmine: ero segretaria di direzione e sapevo che oltre non sarei andata. Mi sono rimessa in gioco studiando la contrattualistica, le normative doganali, imparando a usare gli strumenti per esportare come le lettere di credito, frequentando corsi per migliorare l’inglese.
Per natura amo le sfide e ricominciare da una piccola azienda mi consentiva di imparare a 360 gradi. Ho avuto anche la fortuna di circondarmi di consulenti capaci e di avere il supporto di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, alla quale sono iscritta dal 2007 e della quale, con mio grande orgoglio, sono diventata membro del Consiglio direttivo lo scorso dicembre.
Oggi operiamo non solo in Africa, ma anche in Sudamerica e in Medio ed Estremo Oriente. Garantiamo un prodotto al 100% italiano con fornitori distribuiti tra Friuli, Lombardia e Piemonte.
Produrre in Italia non è poi così costoso come si dice, ma soprattutto ci dà la garanzia di non avere sorprese sull’affidabilità e la durata dei pezzi.