No, lo smartworking non è il telelavoro, attenzione a non confonderli. Inizia da qui, da questa prima, fondamentale precisazione la conversazione sullo smartworking con Giancarlo Turati, vice presidente della Piccola Industria con delega al Welfare e alle Relazioni industriali, membro della task force istituita da Confindustria per governare l’emergenza. Tornato prepotentemente di attualità e all’attenzione degli imprenditori per “stato di necessità” imposto dall’epidemia, la sua implementazione potrebbe essere un “side effect” positivo delle restrizioni da coronavirus che il Paese sta vivendo. Crisi che si trasforma in opportunità, in particolare per le piccole e medie imprese, grazie anche al nuovo decreto del governo che ne rende più semplice l’uso fino al 31 luglio.
“Il telelavoro è regolato dalla legge 81 del 2017 – chiarisce subito Turati – e prevede che a casa del dipendente venga ricostruita la medesima postazione di lavoro che aveva in azienda, compresi i dispositivi per la sicurezza, dallo schermo del computer alla sedia ergonomica. Una condizione di fatto irrealizzabile, iper-regolata, che ha reso difficilissimo il suo utilizzo. Lo smartworking, invece, permette di lavorare da fuori azienda con grande elasticità e flessibilità. Ovviamente, garantendo sempre la protezione dei dati aziendali e sensibili da possibili attacchi e dotando i dispositivi di tutti gli strumenti necessari”.
Nella sua azienda, la Fasternet di Borgosatollo nel bresciano, per i suoi 36 dipendenti, Turati lo smartworking l’ha adottato da tempo, da quattro anni: “È vero noi operiamo nel terziario, realizziamo reti per collegare i computer e accompagniamo le aziende medio-piccole nel percorso di digitalizzazione, non abbiamo impianti produttivi e lo smartworking è nelle nostre corde. Ma se ragioniamo in ottica di Industria 4.0 le aziende che potrebbero utilizzarlo sono davvero tante, la gamma delle possibilità è ampia. Come stiamo toccando con mano: una nostra associata di Brescia, dopo averlo sperimentato per una settimana, ora lo sta utilizzando per l’85% del personale. E con grande soddisfazione”.
Il vero problema, secondo il vice presidente di Piccola Industria, è di mentalità. “Bisogna entrare in una logica diversa, programmare per obiettivi da raggiungere e non attraverso il controllo dei tempi di lavoro. A me non interessa se il dipendente lavora da casa, dalla piscina, dal parco con i bambini, e nemmeno se sta alla scrivania 3 o 5 ore. M’interessa che consegni il risultato concordato nei tempi stabiliti”.
La “grandissima disgrazia” del coronavirus, come la definisce Turati, potrebbe, dopotutto, lasciare in eredità un paio di vantaggi: il primo, l’aver stimolato le aziende, soprattutto le piccole e medie più restie ad adottarlo, a scoprire le opportunità offerte dallo smartworking, in particolare per la forza vendita o per la funzione amministrativa; il secondo, nel campo dell’istruzione, l’aver mostrato che si possono impiegare strumenti finora snobbati, come le videoconferenze e le connessioni telematiche. “Vale anche per noi imprenditori – aggiunge -. Non è sempre necessario andare di persona, e si riducono consumi, emissioni e traffico”.
C’è un altro, importante vantaggio che lo smartworking può innescare: l’aumento della produttività, questione quanto mai decisiva per l’Italia. “Tre anni fa abbiamo valutato che, anziché cambiare sede per allargarci, potevamo ridurre il numero delle postazioni di lavoro – racconta ancora Turati –, visto che, grazie allo smartworking, dal 40 al 50% restava libera. Due anni fa abbiamo rivoluzionato il lay out degli spazi interni: niente più postazioni personali, ognuno si siede al primo posto libero che trova. Così area commerciale e area tecnica si sono mescolate in un unico, grande open space. Poi abbiamo creato una zona di silenzio, dove non si parla e non si telefona, da usare alla bisogna. L’operazione si è rivelata assolutamente benefica: sedendosi fianco a fianco le persone hanno smesso di lavorare per compartimenti stagni e iniziato a collaborare per risolvere insieme i problemi, man mano che si presentavano. E la nostra produttività si è alzata di parecchio”.
Ora la sfida, per Piccola Industria è “tenere botta, mantenere alto il registro e non tornare indietro. Spingere le aziende a sperimentare, a valutare questo strumento anche una volta finita l’emergenza, fino a quando lo smartworking non diventerà un’abitudine”, conclude il vice presidente.