
Domenico Virgilio, Health, Safety, Environment & Public Affairs manager di Huvepharma Italia
La sicurezza e la cura sono concetti per definizione presenti nel dna di ogni azienda farmaceutica. Cosa significano per voi?

DOMENICO VIRGILIO
Sicurezza, tutela della salute delle persone e salvaguardia dell’ambiente sono requisiti senza i quali non si può avviare una produzione farmaceutica. Costituiscono priorità imprescindibili. È necessario declinarli facendo informazione, sia ai dipendenti che alla popolazione, con un focus particolare sulle scuole del territorio. La comunità deve essere consapevole dei rischi e delle misure di protezione che l’azienda mette in campo per ridurli. La prima regola è essere trasparenti, iniziando a dialogare in primo luogo con i giovani, alimentando così la crescita della “cultura della sicurezza”.
Huvepharma Italia è nata nel 2015 acquistando da Sanofi lo stabilimento di Garessio fondato nel 1894. Quanto conta essere un’azienda giovane che lavora in uno stabilimento storico, come si coniugano tradizione e modernità nella gestione delle emergenze?
Prima di tutto non bisogna avere paura di affrontare i problemi. Il nostro stabilimento è composto da strutture antiche, nate con esigenze completamente diverse, costruite lungo il fiume per avere accesso diretto all’acqua. La legislazione nel tempo si è evoluta e, per gli edifici più compatibili con le nuove regole, sono stati necessari interventi di adeguamento. Per forza di cose la modifica di un edificio molto vecchio deve avvenire a piccoli passi e l’efficacia degli interventi sarà maggiore tenendo conto dei possibili sviluppi normativi. Questa fabbrica è nata per estrarre il tannino dagli alberi di castagno, sostanza che serviva per la concia delle pelli. Oggi facciamo sintesi chimica e produzione di principi attivi e intermedi per la produzione di farmaci come antimalarici, antistaminici, antitrombolitici, ma anche sostanze a uso veterinario e integratori alimentari. L’unica possibilità di stare sul mercato, infatti, è diversificare i prodotti con processi ad alto contenuto tecnologico. Al di là delle criticità, però, avere una sede storica ha il valore aggiunto di codificare nel dna dell’azienda il legame con il territorio e la sua tradizione, un bagaglio culturale che contribuisce a trovare sempre soluzioni adatte, innovative e praticabili alle opportunità che si presentano. Senza dimenticare che abbiamo la possibilità di mostrare, soprattutto agli studenti, le tracce visibili della nostra storia: abbiamo in esposizione i primi reattori in gres di fine ‘800 e i sistemi antincendio degli inizi del ‘900.
Siete stati colpiti da due grandi alluvioni nel 1994 e nel 2016. Che danni avete subìto?
Nel 1994 la catastrofe naturale ci ha colti totalmente impreparati, vittime della falsa credenza che non essendo mai successo nulla, niente sarebbe mai accaduto. Abbiamo avuto notevoli danni economici, persone isolate all’interno del sito e perdita di prodotti e materie prime che il fiume ha portato via nella sua corsa, in parte ritrovati a 100 chilometri dallo stabilimento. Siamo insediati nell’Alta Valle del Tanaro e dai noi quando il fiume esonda non allaga, travolge. In quell’evento ci sono voluti tre mesi per far ripartire la produzione con un grosso impegno finanziario. Abbiamo sofferto di mancanza di organizzazione, affrontando i problemi alla giornata, soprattutto nella ripartenza.
Cosa avete imparato?
Questa calamità è stata uno spunto per riflettere e iniziare lavorare per la messa in sicurezza dello sito, con la politica dei piccoli passi. Abbiamo cominciato dalle misure organizzative, più immediate da attuare, per avere ben chiaro cosa fare prima, durante e dopo le emergenze ed essere in grado di velocizzare tutte le procedure. Per le misure strutturali, la strategia per contenere i danni in caso di inondazione ha due opzioni: cercare di chiudere il fiume nel suo alveo o proteggere singolarmente gli edifici dall’ingresso di acqua e detriti. Per una serie di considerazioni noi abbiamo scelto la seconda strada ma la soluzione futura potrà essere un compromesso tra le due alternative. L’alluvione del 2016 ci ha trovato più pronti. Infatti, ha provocato solo danni limitati alle strutture: in due settimane siamo stati in grado di riaccendere la caldaia e in tre settimane eravamo pronti a ripartire avendo effettuato tutti i test dei sistemi automatizzati.
Il legame con il territorio caratterizza da sempre le Pmi. In che modo collaborate con la Protezione Civile e le altre istituzioni per il benessere e la salvaguardia della vostra comunità di riferimento?
Lavoriamo quotidianamente con la protezione civile perché siamo uno stabilimento a pericolo di incidente rilevante. Abbiamo un Piano di Emergenza con la Prefettura e per noi le alluvioni sono solo uno degli scenari possibili di incidente. I nostri rapporti sono soprattutto con il sistema AIB (Antincendi boschivi) e Vigili del Fuoco, invitandoli a partecipare alle nostre esercitazioni e simulazioni di emergenza. Poi, come ho già detto, abbiamo un dialogo continuo con le scuole, con l’Università e il Politecnico di Torino.
La prevenzione è un costo oppure un investimento?
È sicuramente un impegno di capitale, un esborso che in condizioni normali non dà alcun ritorno, quindi dal punto di vista economico è soprattutto un costo. In situazioni di emergenza, però, si trasforma in un investimento fruttuoso perché permette di riprendere velocemente la produzione.