
Molte piccole e medie imprese oggi stanno subendo l’effetto di sollecitazione da parte di grandi aziende, che dall’alto della catena di fornitura, devono definire un percorso sostenibile nel quale collocare tutti i fornitori. Le grandi aziende richiedono dati qualitativi e quantitativi sempre più complessi e necessitano di verificare in particolare le performance ambientali. Per rispondere a queste esigenze le Pmi sono chiamate ad accelerare il proprio passo verso una strategia di sostenibilità. Sono, però, pronte ad affrontare questo percorso e hanno i giusti strumenti a disposizione?
Prima di tutto è importante scardinare il concetto che la sostenibilità sia appannaggio delle grandi aziende o multinazionali. La sostenibilità non è dettata da leggi o normative, è un imperativo di business. Se è pur vero che le recenti direttive europee in materia di sostenibilità (es. la Tassonomia europea, la Corporate Sustainability Reporting Directive, la Corporate Sustainability Due Diligence o la Sustainable Finance Disclosure Regulation) si rivolgono per i prossimi tre anni esclusivamente a grandi aziende, le Pmi, anche se indirettamente, ne sono comunque coinvolte già oggi, e presto alcune disposizioni, come il reporting di sostenibilità, diverranno obbligatorie anche per tutte le grandi imprese e per le Pmi quotate[1]. L’indirizzo della comunità europea è chiaro: la rendicontazione di sostenibilità diventerà l’equivalente del bilancio civilistico e prima o poi coinvolgerà tutti.
Alcune piccole e medie imprese non sono però già oggi del tutto estranee ai temi ESG. Secondo un recente studio[2], solo il 31% delle Pmi italiane ha dichiarato di aver implementato una strategia ESG (era il 6% nel 2020!).
Tuttavia, ciò che più colpisce è che il 56% di aziende non solo non ha adottato ancora una strategia ma non l’ha nemmeno pianificata. Ciò significa che, se gli ultimi due anni hanno accelerato i trend già in corso, rimangono comunque insormontabili barriere di partenza che scoraggiano gli imprenditori a intraprendere la strada verso la sostenibilità e a sviluppare un approccio strutturato e integrato.
I principali ostacoli sono i costi elevati, seguiti dalla scarsità di incentivi e, infine, dalla carenza di standard dedicati alle Pmi, ovvero semplificati e specifici di settore.
La richiesta di dati alle Pmi da parte delle grandi imprese nelle loro filiere sta avvicinando molte piccole imprese ma lo sta facendo con un limite di fondo: la non certificazione dei dati presentati dalle Pmi stesse, rendendo di fatto molto probabile il fenomeno del greenwashing anche all’interno delle filiere stesse.
Il termine greenwashing è ormai sulla bocca di tutti, per questo è meglio comunicare meno, ma essere certi di quello che si comunica, a partire da dati affidabili. La comunicazione di profili ESG non veritieri o verificabili potrebbe danneggiare competitor che non presentano sé stesse e/o i propri prodotti come “sostenibili”, oppure la quantità o la qualità dei dati potrebbe risultare poco accurata per una corretta analisi delle aziende investite/investibili dal punto di vista dei rischi e degli impatti di sostenibilità.
Esistono quindi strumenti per prevenire che questo fenomeno accada, soprattutto immaginando le dichiarazioni volontarie delle Pmi all’interno delle catene di fornitura delle grandi aziende? Qualcosa esiste ma è di difficile adozione e ancora molto ad appannaggio della grande impresa, visti i costi della revisione volontaria in questo ambito.
Le principali normative dell’Unione europea, citate prima, volte a incrementare la trasparenza sui temi ESG per aumentare quantità, qualità e comparabilità delle informazioni sulla sostenibilità sono standard difficili da adottare per una Pmi perché troppo generici e complessi nel reperimento delle informazioni interne.
Ci sono poi iniziative come il progetto European Single Access Point (ESAP), che punta ad aumentare la trasparenza e visibilità delle imprese e la comparabilità dei dati ESG. Cito anche l’attività dell’organizzazione non-profit CDP, che si occupa di raccogliere dati sugli aspetti ambientali attraverso l’invio di questionari alle aziende affidandosi a certificatori terzi per verificare le emissioni dichiarate, prima di attribuire rating elevati alle società. E ancora i Science-Based Targets (SBTi), che nascono proprio con l’intento di guidare le aziende nella direzione di una Climate Action ambiziosa e ispirata da evidenze scientifiche.
Tutti questi standard però presentano per una Pmi lo stesso problema: raccogliere le informazioni all’interno dell’organizzazione e calcolare le emissioni.
Un’altra risorsa a disposizione di imprese, investitori e consumatori potrebbe risiedere nelle certificazioni. Ad oggi, l’unico marchio di qualità ecologica riconosciuto a livello europeo è l’Ecolabel UE, ma è limitato solo alla certificazione di prodotti e/o i servizi caratterizzati da un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita. Infine, la Certificazione del Sistema di Gestione della Parità di Genere, di recente attuazione, attesta l’impegno delle aziende sui temi della diversità e inclusività, che consente di dimostrare agli stakeholder interni ed esterni il proprio impegno sulla tematica ma è solo una parte del grande mondo degli ESG.
In un mercato che chiede alle aziende di essere sostenibili, come è possibile rendere la sostenibilità a sua volta sostenibile? Oggi non è più un tema per chi se lo può permettere o per le grandi aziende: è una necessità per tutti, per chi è capofila di una filiera e per chi ne è parte.
Servono quindi standard semplificati per la raccolta dei dati, che siano uniformati sia per clienti, committenti o le agenzie di rating e certificazioni a basso costo che consentano di dare affidabilità ai dati, evitando i fenomeni di greenwashing. Una proposta potrebbe essere uno standard aperto in cui tutti i fornitori di una supply chain inseriscono i propri dati e informazioni e, grazie a meccanismi di verifica e certificazione, possono essere condivisi con tutta la catena. Il sistema per coinvolgere tutte le imprese in un percorso comune di miglioramento e sviluppo sostenibile è solo all’inizio, ma è una necessità di tutto il sistema Europa.
[1] https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/sustainable_finance_-_implementation_timeline.pdf
[2] Sustainability Lab di SDA Bocconi School of Management, con il contributo di Assicurazioni Generali nell’ambito del progetto SME EnterPRIZE (2021), Fostering Sustainability in Small and Medium-sized Enterprises – Generali SME EnterPRIZE White Paper, seconda edizione
Nota sull’autore

MATTEO GIUDICI
Appassionato di innovazione e imprenditore con esperienza ventennale, Matteo Giudici è amministratore delegato e socio fondatore del Gruppo MESA, una realtà di riferimento nel mondo della trasformazione digitale, specializzata in tecnologie, servizi e formazione.
Da anni si interessa al tema della sostenibilità e del risk management, studiando come declinare nel lavoro le sfide di un futuro sostenibile a livello economico, sociale e ambientale.