Il Piemonte è una “regione in transizione”. Da un sistema produttivo basato sulla manifattura e i classici settori del made in Italy a un’economia più terziarizzata e agganciata “ai nuovi trend di crescita globale della transizione ecologica, digitale e sostenibile”. È quanto si legge nel rapporto “L’economia piemontese – le 5 eccellenze da cui ripartire” realizzato dal Cdp Think Tank e inserito nell’ambito dei focus territoriali.
Il documento scatta una fotografia d’insieme della quinta economia regionale del Paese, che nel 2019 ha registrato un Pil di quasi 140 miliardi di euro, pari all’8% del totale nazionale, e individua per l’appunto cinque ambiti che potrebbero imprimere uno sprint a un territorio nel quale la crisi del 2007/2008 si è fatta sentire in maniera più forte che altrove proprio a causa delle caratteristiche intrinseche della sua economia.
Manifattura 4.0, chimica verde, design e industrie creative, sistema degli interporti e città metropolitana di Torino. Ciascuno di questi cinque ambiti ha registrato negli anni un percorso virtuoso e, nell’opinione degli autori, potrà concorrere a disegnare una nuova strategia di sviluppo che consenta al Piemonte di recuperare alcuni gap in termini di tasso di crescita e di produttività. Vediamoli in dettaglio.
Manifattura 4.0
La vocazione industriale di questo territorio è innegabile e lo dimostra la quota del manifatturiero sul valore aggiunto totale della regione, “pari al 22% rispetto a una media nazionale del 16,7%”. Una manifattura che ha compreso l’importanza di rinnovare il proprio capitale tecnologico e che quindi ha investito in tecnologia 4.0. “Il Piemonte – si legge nel documento – si aggiudica il primato di regione con la quota più alta di imprese con almeno una tecnologia 4.0, l’11,8% del totale, +3,4% punti percentuali rispetto alla media nazionale”.
Le imprese investono in applicazioni per la gestione dei dati in cloud, nell’integrazione tra macchinari e prodotti e in tecnologie per l’analisi dei Big Data. Il merito è anche di luoghi fisici dove questa contaminazione avviene, basti pensare ai Digital Innovation Hub; oppure di progetti specifici, come quello di un polo per la transizione ecologica dell’automotive che sorgerà negli spazi industriali di Torino Nuova Economia e che è frutto di un’intesa tra l’Unione Industriale di Torino, il Politecnico, l’Università e la Regione Piemonte.
Chimica verde & cleantech
Definiamo subito il perimetro. Parliamo di industria chimica e plastica, di imprese attive nella produzione di energia, di attività di fornitura e trattamento delle acque, nonché di smaltimento rifiuti. Una nicchia nella quale lavorano 56mila persone, “che rappresentano il 4,1% del totale dell’occupazione della regione e il 9,4% rispetto all’occupazione registrata dal settore a livello nazionale”, spiega il rapporto.
A spingere verso un percorso virtuoso di sostenibilità ambientale ed economica sono attività come quelle del cluster Tecnologico nazionale della Chimica verde, esempio di collaborazione tra ricerca pubblica e privata nato nel 2014 che vede in campo importanti aziende come Biochemtex e Novamont. Oppure come quelle portate avanti dalle stesse public utilities regionali, particolarmente attente all’innovazione tecnologica. Lo studio cita Acea Pinerolese Industriale spa e il suo progetto Spotlight finanziato con fondi Horizon 2020 (che consentirà di produrre biocarburanti da fonti rinnovabili) e Smat, la società metropolitana delle acque reflue civili di Torino, specializzata nel trattamento dei fanghi di depurazione.
Design e industrie creative
Le origini risalgono al design industriale del dopoguerra. Una tradizione che non si è mai persa ma si è rinnovata nel tempo ampliando il proprio perimetro di azione. Il settore, infatti, oggi si declina in vari ambiti: design per la comunicazione (grafica editoriale, multimedialità, packaging, web design), design per l’abitare (arredi, illuminazione, oggettistica, arredo urbano), design per la persona (oreficeria, articoli per l’infanzia, apparecchi medici, per fare qualche esempio) e design per gli eventi. Forte il peso occupazionale con oltre 72.500 addetti per circa 2.700 imprese di dimensioni per lo più molto ridotte: “Nel 79% dei casi – si legge – hanno meno di cinque addetti e nel 71% dei casi un fatturato inferiore ai 100mila euro l’anno”.
La particolarità di questo ambito sta nel fatto di aver accresciuto l’attrattività turistica della regione. “In Piemonte – sottolinea ancora il documento – circa la metà della spesa turistica registrata è attribuibile al sistema culturale e creativo, rispetto a una media nazionale del 38%”.
La pandemia ha imposto chiaramente uno stop, ma secondo gli autori potrebbe stimolare un ripensamento, soprattutto nel campo del design per via delle mutate esigenze in fatto di lavoro, uso degli spazi domestici, nonché mobilità e gestione delle aree urbane.
Il sistema degli interporti
Forse non tutti sanno che il Piemonte è la seconda regione in Italia per numero di interporti presenti sul territorio, ben tre a fronte dei cinque del Veneto e su un totale di 24 interporti nel Paese. Quello di Orbassano, in provincia di Torino, e quello di Novara sono riconosciuti fra i 20 migliori a livello europeo, rispettivamente al sesto e 17esimo posto, mentre quello di Rivalta Scrivia, in provincia di Alessandria, si distingue per essere il naturale retroporto del sistema portuale ligure, offrendo quindi servizi doganali e terminalistici. Novara, peraltro, gode di una vicinanza strategica con l’hub di Malpensa, che è il primo aeroporto in Italia per trasporto cargo con oltre il 50% del traffico merci aereo nel Paese.
In generale il sistema degli interporti piemontese beneficia di una posizione geografica invidiabile, in quanto si pone all’incrocio dei due corridoi europei, il Corridoio Mediterraneo e quello Reno-Alpi, e questo, secondo il rapporto, deve rappresentare uno stimolo in più “per intercettare i flussi commerciali delle nuove catene del valore, europee e globali, che si andranno a definire con i nuovi paradigmi post-Covid”.
La città metropolitana di Torino
È proprio nel capoluogo piemontese che si può cogliere il senso della transizione richiamata all’inizio. Come altre città europee ricordate nel rapporto, quali ad esempio Manchester e Bilbao, anche Torino ha modificato la sua identità primariamente industriale e da “capitale manifatturiera italiana” negli ultimi tre decenni si è trasformata in un “centro urbano contemporaneo con una significativa proiezione internazionale”.
Lo studio individua le tappe di questo cammino in primis nell’adozione del nuovo Piano regolatore generale nel 1995 e poi nei Piani strategici per la promozione della città che sono stati pubblicati nel 2000, nel 2006 e nel 2015, “ad esito di un processo partecipativo che ha coinvolto i principali stakeholder del mondo istituzionale, imprenditoriale e della società civile”. Molti ricordano ancora oggi il rilancio dell’immagine della città segnato dai Giochi Olimpici invernali del 2006.
Questo percorso si intreccia con il rafforzamento della vocazione turistica citata in precedenza. Tra il 2008 e il 2019 la città ha registrato un incremento medio annuo degli arrivi superiore al 5%, a fronte di una media nazionale del 2,9% e nel 2016 il New York Times raccomandava Torino come una delle destinazioni da non perdere.
La pandemia apre diversi interrogativi su quest’ultimo aspetto e spinge a chiedersi quale direzione dovrà prendere la città. Nel frattempo, un paio di suggerimenti per il Piemonte nel suo complesso arrivano su due questioni: il sistema delle infrastrutture e il disallineamento qualitativo fra domanda e offerta di lavoro.
Sulla prima il rapporto invita a migliorare la rete ferroviaria regionale, in quanto “ancora la quasi totalità del trasporto merci viene effettuato su gomma, la modalità più inquinante” e a investire sulle infrastrutture per la connettività, poiché la situazione ad oggi è molto disomogenea: basti pensare che la velocità massima di download vede Torino e Cuneo ai due estremi, rispettivamente con 75,8 Mbps e con 32,4 Mbps.
Sulla seconda questione, i giovani qualificati che escono dall’Università non trovano opportunità di lavoro adeguate alle loro aspettative e così si orientano verso mercati del lavoro più dinamici, anche fuori regione. Una sorta di “travaso di cervelli” che il Piemonte consente dopo averne attratti molti da altre aree del Paese grazie a un sistema di istruzione universitaria particolarmente qualificato. Una questione sulla quale sarà opportuno riflettere.
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