
Chi lo conosce sa che è una persona preparata, meticolosa, estremamente puntuale nelle sue osservazioni. D’altra parte, per il settore in cui opera queste sono qualità fondamentali. Parliamo di Lorenzo Pagliuca, 47 anni, amministratore unico della Uniservice, società di servizi che fornisce assistenza contabile, fiscale e giuslavoristica alle imprese e supporto nella presentazione di progetti di finanza agevolata.
Attivo dal 2002, anno di costituzione dell’impresa insieme al fratello Nicola, negli anni ha scelto di diversificare costituendo la Emulsion Power, specializzata nella progettazione e realizzazione di macchinari per la produzione di emulsioni on demand e stabili a base di idrocarburi e oli vegetali. Si tratta di miscele green, utilizzabili sia per la produzione di energia che per il riscaldamento e l’autotrazione.
Mentre questa seconda impresa lavora principalmente con commesse dall’estero e ha risentito degli effetti della pandemia in modo più contenuto, la prima offre un punto di osservazione privilegiato sul mercato interno e consente di misurare quanto i provvedimenti legislativi degli ultimi mesi abbiano effettivamente raggiunto il territorio.
“Abbiamo sede a Melfi e seguiamo parecchie aziende dell’indotto Fiat – racconta Pagliuca. – L’automotive veniva già da un periodo di stop & go e questo doveva essere l’anno della ripresa. L’effetto Covid-19 si sconta sulla bilancia dei pagamenti, i clienti hanno chiesto e continuano a chiedere dilazioni. D’altra parte, siamo coscienti delle difficoltà oggettive che i fornitori stanno attraversando”.
Per il tipo di attività che svolge, la Uniservice si rapporta spesso con il sistema bancario. E qui si tocca con mano la difficoltà di trasformare le disposizioni normative in atti concreti in tempi celeri. Quelli che hanno chiesto le imprese per restare a galla e superare la crisi economica dovuta agli effetti del Covid-19.
Pagliuca spiega: “Dimostrare la bancabilità di un’impresa, e quindi la sua capacità di ripagare un debito, non consiste soltanto nello sviluppo di un business plan e di una posizione finanziaria prospettica. Oggi vuol dire dimostrare le criticità per le quali si chiede il finanziamento – dunque la riduzione del fatturato – e insieme un’oggettiva capacità di ripresa. La difficoltà dell’azienda nel produrre questa documentazione si riverbera sulla banca, che dovrà fare le proprie valutazioni prima di sottoporre l’istanza al Fondo di Garanzia o ad altri”.
Ma l’imprenditore (che è anche vice presidente di Piccola Industria con delega alla fiscalità per la crescita, ndr) è ancora più chiaro: “I tempi necessari per un’istruttoria sono figli degli obblighi ai quali è necessario adempiere per avere accesso agli strumenti”. Per Pagliuca, infatti, è sbagliato parlare genericamente di burocrazia e addebitarle tutte le responsabilità. Il problema sta a monte e, come lui stesso chiarisce, “la scelta di queste misure è la causa principe dei ritardi nell’erogazione”. D’altra parte, fa notare, il Fondo di Garanzia esiste dal 1996 e i tempi di istruttoria sono sempre gli stessi, non sono mai cambiati, a differenza degli importi massimi garantiti, i quali sono stati portati fino a cinque milioni di euro.
La domanda allora è d’obbligo. Che cosa si sarebbe dovuto fare? Qui Pagliuca si concede una battuta: “Spesso l’ammalato, vivendo la quotidianità, conosce la malattia meglio di chi la studia”. E lavorando da quasi vent’anni a stretto contatto con le aziende, l’imprenditore si è fatto un’idea ben precisa: “A volte non serve costruire ex novo gli strumenti, ma è sufficiente usare bene quelli che esistono già”.
È il caso della cambiale agraria, suggerisce, alla quale si può avere accesso in assenza di crediti deteriorati o segnalazioni in Centrale Rischi e adatta per finanziare piccoli importi. “In caso di esigenze di cassa maggiori, si sarebbe potuto ricorrere a forme di smobilizzo patrimoniale come il lease back, che consente di vendere contestualmente ricomprando un bene monetizzandone il valore senza però perderne il controllo. Le aziende manifatturiere, e non solo, avrebbero così potuto smobilizzare il capitale investito negli anni in beni strumentali. Un’operazione di questo tipo si sarebbe potuta fare a costo storico e l’unico documento da allegare era il bilancio, peraltro già in possesso dello Stato e al quale eventualmente allegare una visura catastale per dimostrare l’effettiva proprietà del bene. Ciò, a mio avviso, avrebbe consentito tempi di erogazione più veloci”.
Ma non è l’unica perplessità di Pagliuca, che intravede alcune criticità in relazione all’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa, prevista a settembre del prossimo anno. Le misure varate dal governo durante l’emergenza Covid-19 consentono infatti di sterilizzare i soli effetti che avranno le perdite di esercizio 2020 sul patrimonio netto ai fini degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione. Tuttavia, nella nuova normativa sulla crisi d’impresa il patrimonio netto rappresenta uno degli indicatori principali e, se negativo, farà scattare da parte dell’imprenditore l’obbligo di autodenunciare uno stato di crisi. “È come dare un calcio al pallone – commenta. – Quella perdita del 2020 prima o poi tornerà indietro”.
Che cosa si potrebbe fare? Secondo Pagliuca i maggiori costi sostenuti in questo periodo di lockdown– “un’azienda sopporta costi fissi anche quando sta ferma” – andrebbero trasferiti dal conto economico allo stato patrimoniale e capitalizzati tra le immobilizzazioni immateriali come “investimenti Covid”. Su questi determinare l’intensità di un aiuto di Stato per la ripartenza da erogare nella forma di credito di imposta. Questa soluzione avvantaggerebbe, oltre che l’imprenditore, anche lo Stato, visto che, sterilizzate le perdite da Covid-19, l’impresa tornerebbe ad essere un contribuente attivo su cui poter pianificare le entrate previsionali da parte dell’Erario.
Più in generale Pagliuca teme che il post Covid-19, se non ben gestito, possa determinare una scrematura innaturale delle aziende, dove la competitività non dipenderà dall’efficienza, ma dalla capacità più o meno agevolata delle imprese nell’accesso agli strumenti di finanza. Questa emergenza sta determinando soprattutto nelle Pmi una vera e propria metamorfosi, che impone l’avvio di un percorso di spersonalizzazione. “La digitalizzazione e la managerializzazione mi auguro restino anche dopo questa brutta parentesi la via maestra da seguire – conclude, – nell’intento di generare un sano valore aggiunto che, seppur intangibile, sono certo troverà sempre maggiore riconoscimento nel posizionamento sul mercato delle nostre aziende”.