L’aquila di Confindustria ha accompagnato tutta la sua vita professionale. Un’ala protettrice sotto la quale ha attraversato ben undici presidenze, da Vittorio Merloni a Carlo Bonomi. La sua conoscenza del Sistema è profonda, attenta, mai didascalica. Il suo cursus honorum è stato robusto, costruito negli anni con la pazienza di chi sa che solo lo studio e la curiosità intellettuale aprono a nuove opportunità e proteggono dai marosi. Parliamo di Luigi Paparoni, 66 anni il prossimo luglio, direttore dell’Area Brand Identity di Confindustria fino al 2020 e dallo scorso marzo in pensione.
Oltre ad essere stato l’anima e l’organizzatore di tutti gli eventi di Confindustria per quasi quarant’anni – cosa che ne fa un personaggio notissimo all’interno del Sistema – è stato contemporaneamente direttore di Piccola Industria dalla fine del 2006 all’aprile del 2018, componente alla quale è rimasto profondamente affezionato e che ha contribuito a far crescere in autorevolezza all’interno e all’esterno della confederazione.
“Lavorare in Piccola Industria per me ha rappresentato un ritorno alle origini – racconta –. Mi sono laureato in economia con Federico Caffè e la mia famiglia aveva un’azienda specializzata in lavorazioni meccaniche di precisione, nell’indotto del siderurgico a Terni. Ho sempre respirato, quindi, aria di impresa e con la Piccola ho potuto recuperare e portare avanti tante istanze del mondo imprenditoriale che avevano fatto parte della vita familiare. Allo stesso tempo, l’esperienza maturata nel settore degli eventi mi ha consentito di innestare nel gruppo di lavoro nuovi fattori di crescita nella comunicazione e nella visibilità delle iniziative”.
Sotto la guida di Paparoni lo standing della Piccola Industria cambia, i convegni biennali (Genova 2007, Palermo 2009, Bergamo 2011, Torino 2013, Venezia 2015) diventano momenti di confronto attesi non soltanto dagli associati, ma anche da istituzioni e mondo economico e si distinguono per le location scelte per i momenti conviviali – il settecentesco Palazzo Valguarnera-Gangi del capoluogo siciliano, set del celeberrimo Gattopardo di Luchino Visconti, resta fra i ricordi più vividi e spesso citati dal direttore.
D’altra parte, se il gusto per il bello e per l’arte è dote innata di Paparoni, la capacità di realizzare grandi eventi proviene da lontano e, come a volte accade, è un percorso che comincia quasi per caso. È proprio durante la presidenza di Vittorio Merloni che Confindustria abbandona l’aura un po’ austera del predecessore (l’ex governatore della Banca d’Italia Guido Carli, ndr) per farsi più popolare e vicina al grande pubblico.
Nel 1982, quando Paparoni viene assunto dopo aver superato un concorso per titoli ed esami, non esisteva un ufficio immagine. I dirigenti di allora manifestarono poco interesse a seguire un aspetto che probabilmente appariva loro frivolo o comunque distante dalle attività principali della confederazione e così, a interpretare i desiderata del nuovo presidente, viene mandato avanti un giovane Paparoni.
Età e preparazione – “forse anche l’accento umbro, più vicino di altri alla cadenza marchigiana di Merloni”, ricorda – giocano a favore di questo sipario che sta per aprirsi e dal convegno al Teatro Petruzzelli di Bari del 7 giugno 1983 in poi gli eventi lo vedranno sempre più abile sceneggiatore e promotore.
Per ciascuna delle grandi manifestazioni Paparoni ha spesso un “dietro le quinte” da raccontare, gustosi siparietti che narrano gestazioni, e mediazioni, lunghe e faticose. Il titolo definitivo di Bari, ad esempio, venne proposto dopo moltissime bocciature e quando fu portato al cospetto di Merloni, il presidente, finalmente soddisfatto, lo lesse accentando la seconda sillaba della prima parola “Associati per lo sviluppo”. Solo allora chi lo aveva concepito si rese conto della doppia lettura “Assòciati/associàti”, ma poiché tutto funzionava a meraviglia anche così, nessuno si prese l’incomodo di sottolinearlo più di tanto.
Nel suo ultimo comitato di presidenza Merloni approvò il nuovo emblema confederale che stilizzava l’aquila, frutto di quattro anni di studi e prove. “A un certo punto però – racconta Paparoni – al Direttivo le cose si stavano mettendo male. Scese allora al centro grafico il Segretario con il nuovo logo e in maniera accorata ci disse ‘Fate il becco più aguzzo. Di sopra dicono che così pare un piccione!’”. E con questo ritocco la nuova aquila finalmente divenne realtà.
Negli anni successivi molti sono stati i progetti e le manifestazioni direttamente o indirettamente curati da Luigi Paparoni. Dalla prima ricognizione sull’archeologia industriale, per la quale si avvalse di Franco Fontana, tra i fotografi italiani più apprezzati al mondo, fino al Festival del Cinema industriale e al Festival della Pubblicità, che durò fino al 1997.
L’attenzione per la cultura, intesa in senso lato, ha contraddistinto fortemente la carriera della persona e questo aspetto trova conferma nei diversi libri che punteggiano il suo percorso, specialmente in Piccola Industria.
“Cento anni di imprese per l’Italia”, l’antologia fotografica edita nel 2010 da Alinari/Il Sole24 Ore e realizzata per celebrare con le mostre di Milano e Roma il secolo della Confederazione generale dell’industria italiana racconta lo sviluppo del Paese attraverso una vasta ricerca di immagini e lo sguardo di dodici fotografi contemporanei. “Confindustria si era resa conto che la sua storia era stata sempre raccontata dagli altri – spiega – e spesso si trattava di una storia parziale, incompleta. Per questo motivo per la stessa occasione venne realizzata anche un’opera storica e di alto respiro. Dopo quasi due anni di lavoro, condotti insieme con il professor Valerio Castronovo, Laterza pubblica il volume ‘Cento anni di imprese per l’Italia’”.
Ancora Castronovo firma nel 2017 il volume “L’Italia della Piccola Industria. Dal Dopoguerra ad oggi”, voluto dal presidente di allora, Vincenzo Boccia, come passaggio ineludibile per conoscere le radici di una componente fondamentale della manifattura italiana, mentre l’ultima fatica “La cultura italiana dal Novecento al nuovo millennio”, edito da Rizzoli, vede Paparoni coautore (con Castronovo) di un libro che rispecchia profondamente le sue convinzioni in materia di cultura.
“Scienza, tecnologia e tutti i temi legati al mondo produttivo che hanno determinato l’ascesa del nostro Paese al rango di settima potenza industriale sono stati sempre relegati in secondo piano – spiega –. Con questo libro abbiamo voluto restituire loro la stessa dignità della quale godono le arti figurative, il cinema e il sapere umanistico in generale”.
Gli anni in Piccola Industria sono stati caratterizzati anche da un intenso lavoro di elaborazione di proposte a favore delle Pmi, frutto del dialogo che Paparoni intavola con tutte le aree tecniche del Sistema. Ai tempi della presidenza Boccia ne viene fuori un documento che sarebbe poi diventato il “Progetto per l’Italia” del presidente Squinzi, mentre al 2009, gli anni della presidenza di Giuseppe Morandini, risale la firma del primo accordo con Intesa Sanpaolo per la liquidità e la ricapitalizzazione delle imprese, che di fatto anticipa la cosiddetta moratoria sottoscritta con l’Abi.
Fra i maggiori successi di Piccola Industria, l’ex direttore annovera l’aver avvicinato gli imprenditori ai temi dell’innovazione e della resilienza grazie al piglio di Alberto Baban, mentre con Carlo Robiglio (che segue solo per pochi mesi, ndr) viene posto in agenda il tema della cultura d’impresa. “Un imprenditore colto”, lo definisce Paparoni, che ricorda Morandini l’infaticabile – “maratoneta, non a caso” – Baban “l’antifragile” e Boccia un mix di “riflessione e azione”.
Cosa avrebbe fatto Paparoni se non avesse lavorato in Confindustria? “Difficile dirlo. È stato il mio unico grande amore. Ho fatto quello che desideravo fare, spesso come ritenevo fosse il modo migliore e se sono riuscito a farlo per undici presidenti, forse, vuol dire che non ho sbagliato troppo”.
(Articolo pubblicato sul numero di maggio de “L’Imprenditore”)