Dall’introduzione in Italia del contratto di rete come strumento di crescita delle Pmi alla crisi generata dalla pandemia del Covid-19, che ruolo possono giocare le aggregazioni di rete per rilanciare l’economia nella Fase 3?
La crisi in atto ha reso ancora più evidente la validità del modello economico e giuridico delle reti di imprese, fondato su una strategia di collaborazione fra imprese e di condivisione di obiettivi, strumenti e piani operativi ben definiti e monitorabili. Un’invenzione tutta italiana, pensata per un tessuto produttivo estremamente frammentato di Pmi che hanno bisogno di crescere, valorizzando al contempo identità, eccellenze e autonomia di ogni nodo della rete.
In poco più di dieci anni il bilancio per le reti di imprese è assolutamente positivo, con oltre 36mila imprese di qualsiasi dimensione e settore economico coinvolte in 6.154 reti diffuse su tutto il territorio nazionale.
In questa emergenza, è evidente che la capacità di tenuta del nostro sistema produttivo è strettamente legata alla capacità delle imprese di ottimizzare la gestione aziendale, integrare competenze e risparmiare costi, utilizzare in maniera efficiente spazi, mezzi e servizi, e fare investimenti in maniera strategica utilizzando correttamente la leva finanziaria.
Personalmente e come presidente di RetImpresa sono quindi convinto che le reti e le aggregazioni di imprese possono giocare un ruolo importante per indirizzare il nostro tessuto produttivo verso modelli di business più collaborativi e solidaristici, ridisegnando le caratteristiche del fare impresa in maniera integrata e coordinata.
Ha già riscontrato maggiore collaborazione fra le aziende in questi mesi?
Sì. Abbiamo avuto, già durante la prima fase dell’emergenza sanitaria, numerosi esempi di collaborazione virtuosa tra imprese, spesso “necessitati” dall’esigenza di recuperare competenze e produzioni strategiche di pezzi di filiere purtroppo delocalizzate. Questi esempi dimostrano che lo spirito imprenditoriale collaborativo e solidaristico è più vivo che mai e ci inducono a puntare di più nel futuro prossimo su reti e partenariati stabili e organizzati tra imprese.
Con RetImpresa ci stiamo impegnando proprio in questa direzione, per sostenere e promuovere anche nella classe imprenditoriale un modello di reti di filiera basato su un numero selezionato di interlocutori affidabili e strutturati per meglio gestire la relazione con committenti e clienti internazionali.
Il modello delle reti di filiera, nel nuovo scenario, può essere funzionale a politiche di cosiddetto reshoring per riportare in Italia pezzi di manifattura delocalizzata e, dall’altro lato, per attrarre progetti e investimenti in aree industriali e territori in transizione, consolidando la posizione dell’Italia quale secondo sistema manifatturiero in Europa.
Quali sono le proposte anti-crisi che RetImpresa ritiene strategiche per la promozione e lo sviluppo delle reti?
Come dicevo, stiamo lavorando con le istituzioni affinché le reti vengano stabilmente inserite in una strategia nazionale di politica industriale del Paese come modello economico riconosciuto per la crescita delle imprese e la realizzazione di investimenti per lo sviluppo del territorio, il rilancio delle aree industriali e delle Zes.
È necessario nell’ambito degli strumenti agevolativi superare la logica individualistica e sostenere gli forzi organizzativi di aggregazione e cooperazione delle imprese.
In questo senso, devo riconoscere che proprio per effetto della crisi il livello di attenzione sul tema, nel mondo pubblico e tra gli stessi imprenditori, sta progressivamente aumentando.
Sono stato favorevolmente colpito per esempio dall’attenzione riservata a filiere, reti e aggregazioni nel piano “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022” predisposto dal gruppo guidato da Vittorio Colao: nelle schede presentate viene evidenziata l’opportunità di agevolazioni per promuovere le aggregazioni tra imprese e il lavoro in rete, in particolare, nella filiera turistica, riprendendo spunti e proposte su cui RetImpresa, insieme alla propria base associativa, lavora da tempo.
Sono fiducioso che queste istanze possano essere recepite e in ogni caso il nostro impegno sarà massimo verso le istituzioni a tutti i livelli.
Su quali aspetti occorre intervenire? Ci fa qualche esempio?
A nostro avviso il modello delle reti di filiera, per avere successo, deve essere accompagnato da norme volte a incoraggiare e sostenere il fenomeno aggregativo sotto tre direttive principali: lavoristica, finanziaria e fiscale. Occorre sbloccare il meccanismo della codatorialità introdotto dalla legge nel 2013 e rimasto ancora inattuato a causa della mancanza di indicazioni operative da parte degli enti. La flessibilità dell’organizzazione del lavoro per la gestione di progetti condivisi in rete, accompagnata da un idoneo sistema di tutela e garanzie per il lavoratore, è strategica se si vuole davvero favorire l’integrazione delle persone nelle reti e lo sviluppo delle competenze del capitale umano in ottica di filiera. Inoltre, sul tema del lavoro sosteniamo lo sviluppo di reti di impresa in funzione di solidarietà per mantenere i livelli di occupazione in periodi conclamati di crisi ed emergenza e per l’assunzione di nuove figure professionali per i progetti di rilancio delle filiere in rete.
Puntiamo inoltre a un meccanismo fiscale di agevolazione che favorisca la solidità e la capacità di investimento dei network imprenditoriali, vincolando ad esempio la destinazione dell’utile di impresa a nuovi investimenti nella rete. Esisteva una norma che consentiva di sospendere la tassazione sugli utili delle imprese reinvestiti nei programmi di rete e che potrebbe essere riattivata per consentire alle imprese di rimettere risorse economiche nel circuito produttivo con una prospettiva di medio termine, stimolando piani di investimento congiunti.
Sul tema finanziario il nostro pacchetto di proposte mira a favorire l’accesso delle imprese in rete alla liquidità e al credito, rafforzando per le imprese unite da un contatto di rete le garanzie per i finanziamenti bancari o per i portafogli di finanziamenti ad opera del Fondo di garanzia per le Pmi e di Sace, introdotte con i recenti provvedimenti anticrisi del governo.
Con il decreto Liquidità abbiamo ottenuto una prima misura normativa che consente di creare una “sezione speciale Reti di imprese” del Fondo di garanzia Pmi per riservare risorse alla copertura delle operazioni finanziarie in rete e che speriamo di attivare in tempi brevi con il supporto delle amministrazioni pubbliche interessate.
Ma stiamo lavorando anche con il nostro Gruppo di lavoro di esperti delle associazioni confindustriali per valorizzare la finanza di progetto per l’erogazione del credito, che trova nella rete di impresa un compiuto modello di riferimento, nonché per elaborare un pacchetto di proposte di semplificazione da suggerire al governo.
In questi mesi, anche alla luce dei recenti provvedimenti anti-crisi, è cresciuto il dibattito sul ruolo dello Stato nell’economia, in particolare sull’ingresso dello Stato nel capitale di rischio delle imprese e delle conseguenze che tale scelta può comportare. Cosa ne pensa?
Voglio ribadire su questo punto quanto già espresso in altre occasioni: lo Stato che partecipa attraverso proprie società o fondi al capitale privato non dovrebbe mai giocare un ruolo gestorio, ma tuttalpiù quello di socio investitore, che decide di supportare il progetto strategico dell’azienda con proprie risorse.
In ogni caso, l’obiettivo finale dovrebbe poi essere quello di liquidare – in tutto o in parte – la quota investita una volta raggiunti gli obiettivi prefissati. In questo ruolo lo Stato investitore dovrebbe agire necessariamente a salvaguardia dell’interesse nazionale alla produzione e solo in ipotesi straordinarie valutate caso per caso o in situazioni di grande crisi.
Resta il fatto che l’approccio interventista dello Stato nel capitale delle imprese potrebbe funzionare con le grandi aziende, meno con le medie imprese nazionali e con il loro indotto fatto di tanti piccoli fornitori di beni e servizi.
Avete suggerimenti su come si potrebbe operare?
Come RetImpresa stiamo provando a dare il nostro contributo con una proposta alternativa, o meglio complementare, a quelle attualmente in discussione, per consentire l’iniezione di capitale pubblico nell’iniziativa economica privata in maniera meno invasiva rispetto a ipotesi di partecipazione azionaria diretta, ma egualmente efficace, sfruttando il modello organizzativo delle reti di imprese.
L’obiettivo è fare in modo che il capitale pubblico sostenga i progetti imprenditoriali strategici presentati dalle reti d’impresa nell’ambito delle principali filiere produttive nazionali della manifattura e dei servizi (automotive, aerospazio, agrifood, scienze della vita, sistema moda e arredo, meccatronica, energia, oil&gas, ecc.).
Lo Stato potrebbe, infatti, intervenire attraverso le società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti o altro veicolo societario come partner finanziatore di reti di imprese selezionate o costruite per favorire grandi progetti di investimento industriale, secondo il modello di partenariato pubblico-privato già sperimentato con successo negli anni recenti attraverso gli strumenti di programmazione negoziata previsti dalla legge, in primis accordi di programma e contratti di sviluppo.
Ci può fare qualche esempio di come può funzionare questo meccanismo?
Cito l’esperienza della Rete Toscana Pharma Valley, che RetImpresa ha seguito dalle fasi di progettazione, nata con l’obiettivo di aggregare sotto un comune progetto di investimento alcune importanti multinazionali e medie imprese italiane operanti nel settore Pharma per realizzare un hub logistico-distributivo 4.0, completamente digitalizzato, nel territorio toscano a supporto dell’industria delle scienze della vita, dello sviluppo della filiera e del tessuto socio-economico del Territorio.
In questa esperienza il modello organizzativo e gestionale del contratto di rete ha favorito il dialogo tra il gruppo imprenditoriale e i soggetti pubblici cofinanziatori dell’iniziativa (enti locali, Regione Toscana e ministero dello Sviluppo economico), supportando la rete con il contributo pubblico, ma dall’esterno.
La nuova proposta darebbe invece vita a un innovativo schema di intervento dello Stato nei progetti imprenditoriali di filiera – orizzontale o verticale – di interesse nazionale che vede il soggetto pubblico, quale aderente al contratto di rete, al fianco delle imprese private con il ruolo di promotore delle condizioni finanziarie e amministrative (si pensi anche al tema della semplificazione delle procedure) più idonee a favorire lo sviluppo e il rilancio di aziende e filiere produttive strategiche.
Le modalità e le condizioni dell’ingresso delle società pubbliche in rete sarebbero valutate e negoziate di volta in volta con la filiera interessata o, meglio, con l’impresa capofila sulla base delle specificità del programma di investimento da realizzare e dei relativi tempi e condizioni.
Altri vantaggi?
Il meccanismo proposto non esclude che, in casi particolari, si possano effettuare operazioni di equity agevolate – totalmente defiscalizzate – all’interno della rete a sostegno della patrimonializzazione delle imprese che ne sono parte, allo scopo ultimo di migliorarne la solvibilità e l’accesso al credito (ad esempio credito di filiera o maggiori garanzie a copertura di operazioni e finanziamenti), stabilendo ex ante condizioni di uscita subordinate al raggiungimento di determinate performance individuali o collettive.
Il soggetto pubblico potrebbe così partecipare all’assemblea delle imprese retiste, contribuendo alle decisioni strategiche sugli obiettivi connessi all’investimento, senza entrare nell’executive board della rete e, quindi, nella gestione dei progetti.
Quali sarebbero gli effetti di questo modello di intervento a favore delle reti per grandi, medie e piccole imprese?
Le grandi e medie imprese italiane, campioni dell’eccellenza nazionale in diverse filiere, possono svolgere un ruolo trainante in questo percorso. Attorno alle fabbriche vanno costruite connessioni, partnership, condivisioni di piattaforme collaborative, di competenze e risorse umane e materiali, attraverso la facilitazione resa da tecnologie abilitanti e infrastrutture digitali che possono rendere più sicuri, interattivi e trasparenti i processi produttivi e logistici, le transazioni commerciali e le relazioni con le catene del valore, dando visibilità a tutti gli attori della filiera.
Questo nuovo modello, senza generare indebite invasioni di campo del settore pubblico nella governance delle imprese della rete – che come già detto mantengono ciascuna piena autonomia e indipendenza – garantirebbe al contempo massima trasparenza e vigilanza sull’impiego delle risorse pubbliche e un supporto concreto anche ai fini del superamento di lentezze e ostacoli burocratici alla realizzazione di grandi investimenti, prevedendo ad esempio procedure di fast track.
Senza trascurare la possibilità, con tale modello, di coinvolgere startup e Pmi innovative, orientando i progetti di investimento al raggiungimento di obiettivi di trasformazione tecnologico-digitale e di sostenibilità. E ciò sfruttando il meccanismo unico previsto dalla legge per i contratti di rete, che impone di fissare preventivamente gli obiettivi strategici e i criteri di misurazione degli stessi e di adottare sistemi di monitoraggio periodico delle performance di rete, su cui il partner pubblico eserciterebbe in pieno il proprio ruolo di vigilanza e accountability.