“Ci siamo trovati nel bel mezzo di un’onda di piena a dover costruire su il muro”. Marco Occhi, componente della Task force PGE di Confindustria e vice presidente dell’Unione Parmense degli Industriali, sceglie la metafora dell’inondazione per descrivere quanto è accaduto nei mesi scorsi. Se il fiume esonda è perché gli argini non sono stati manutenuti, perché si è costruito dove non si dovrebbe. Ed è il paragone più adatto perché pone il Paese di fronte alle proprie responsabilità invitandolo a fare tesoro degli errori e delle sottovalutazioni del rischio.
L’epidemia da Covid-19 ha colpito duro in Italia con oltre 34mila morti, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, di cui poco meno della metà nella sola Lombardia, collocando il nostro Paese fra i primi quattro in Europa per numero di contagiati, dopo Russia, Regno Unito e Spagna. Per evitare che la “piena” si ripresenti, è fondamentale, dunque, mettere in campo tutte quelle azioni che possano aiutare a contenere il rischio di una seconda ondata in autunno ed essere pronti nel caso ciò avvenga. La questione mascherine rappresenta uno dei nodi principali.
“Si tratta di uno strumento di protezione – chiarisce Occhi – non di prevenzione. Lo uso perché il virus è già in circolo. Motivo per il quale, essendo consapevoli che il coronavirus non sarà l’unica e l’ultima epidemia ad affacciarsi, dobbiamo attrezzarci per soddisfare la domanda di mascherine nei tempi e nelle quantità che saranno necessarie”.
I risultati raggiunti grazie al Programma Gestione Emergenze con il supporto di Confindustria Dispositivi Medici e Assosistema sono un buon punto di partenza: otto accordi che hanno consentito di mettere a disposizione delle aziende oltre dodici milioni di mascherine (di cui tre milioni del tipo FFP2/KN95) e per le quali, inoltre, erano state valutate tutte le certificazioni disponibili.
A questo va aggiunto il portale Fornitori Covid-19, che mette a disposizione degli utenti un elenco di aziende associate specializzate nella produzione di beni e servizi necessari in questo frangente. Si va dai guanti di protezione ai termoscanner, dai servizi di sanificazione ai disinfettanti, ai camici. Proprio questi ultimi, insieme a calzari e visiere, nella fase iniziale dell’emergenza spesso sono mancati alla disponibilità di medici e personale sanitario.
Oggi siamo più attrezzati? “Bisogna fare alcune distinzioni – spiega Roberto Cardinali, Responsabile PGE Confindustria. – Attualmente i dispositivi di protezione come le mascherine sono sufficienti perché l’importazione è libera e perché una produzione nazionale è stata attivata. Ma oggi non ci troviamo in una fase di emergenza”.
E dunque, per usare la stessa metafora di prima, ci si è strutturati per contenere una nuova piena? “Parzialmente – risponde Cardinali. – Molto dipende dal comportamento degli altri paesi. Finché sussiste la libera circolazione delle merci tutti trovano soddisfazione, ma se dovessero subentrare blocchi all’esportazione da parte di alcuni paesi produttori oppure vincoli sulla destinazione delle merci da parte dei governi, le aziende potrebbero trovarsi nuovamente in difficoltà. Una parziale riconversione produttiva è stata fatta, ma le imprese che l’hanno avviata devono poter stare sul mercato con standard qualitativi e di prezzo”.
“L’Italia non è in grado di rispondere alla domanda interna in totale autonomia – aggiunge Occhi. – Ciò significa che occorre organizzare adesso, con anticipo, il flusso degli approvvigionamenti dall’estero stipulando gli accordi necessari e costituendo le scorte che serviranno a fare fronte alla prossima emergenza”.
E, non ultimo, occorre stabilire le priorità. Nella chiacchierata con Occhi e Cardinali, due tra i moltissimi imprenditori che hanno vissuto in prima linea i giorni frenetici dello scoppio dell’epidemia, emerge infatti come avere ben chiaro quali siano i soggetti e gli istituti da rifornire per primi aiuti a guadagnare tempo. Tempo prezioso.
Così come su una persona si interviene subito sugli organi vitali, allo stesso modo in un paese ospedali, case di cura e forze dell’ordine avranno la priorità. A seguire le imprese che producono beni di prima necessità e via via tutti gli altri. Un ordine di priorità che, pur essendo intuitivo, nel caso del Covid-19 si è costruito giorno per giorno a mano a mano che l’epidemia avanzava.
Occhi ricorda ad esempio come a un certo punto il problema non fosse più reperire ventilatori e attrezzature, bensì medici e operatori sociosanitari. Da qui i bandi emanati dalle istituzioni, anche locali, per sopperire alla carenza di personale sanitario.
O ancora la questione dei codici Ateco, il criterio adottato dal governo per stabilire le attività che potevano proseguire durante il lockdown. Forse l’unico utilizzabile in tempi così ristretti, ma oggi non più così rappresentativo e comprensivo di tutta la filiera che sta dietro a beni ritenuti essenziali. “Considerando che i dati Inail all’8 maggio scorso hanno dimostrato come nelle aziende manifatturiere la percentuale dei casi Covid-19 codificati fosse solo del 2,6%, a comprova di un elevato livello di sicurezza, – afferma Occhi – perché in futuro non fare tesoro di questi risultati dando più fiducia alle imprese e uscendo dalla logica approssimata dei codici Ateco?”.
Inoltre, ragionando sulla stessa “filiera delle mascherine”, bisognerebbe verificare se tutti i tasselli che la compongono sono presenti. Il dibattito pubblico infatti ha posto l’accento sulla produzione, meno sulla questione delle materie prime. Le mascherine di tipo chirurgico, ad esempio, sono composte da tre strati. Quello intermedio, che svolge la funzione filtrante, è fatto in tessuto non tessuto (Tnt) realizzato con tecnologia melt-blown e costituito da microfibre di diametro 1-3 micron. Si tratta di un derivato del polipropilene, prodotto in quantità limitate in Italia e in Europa. I maggiori produttori si trovano negli Stati Uniti ma soprattutto in Asia ed è chiaro che un aumento della domanda – o un blocco all’esportazione da parte di questi paesi – ne farebbe salire il prezzo. “Quante proposte abbiamo ricevuto nei mesi scorsi dai colleghi cinesi – ricorda ancora Occhi – che ci volevano vendere i macchinari per produrre le mascherine? Non è quello il problema. È avere le materie prime per alimentare macchine e, se non si hanno o non si producono da noi, non doverle pagare dieci volte il loro prezzo”.
Nel frattempo il dialogo fra il PGE e il Dipartimento della Protezione civile prosegue. “I contatti sono costanti – sottolinea Cardinali. – È un metodo ormai consolidato. Con la nostra struttura, che ha tantissime antenne sul territorio, ci siamo naturalmente occupati della parte emergenziale. È quella è stata ancora una volta l’attività core, se così possiamo dire, che rientra nell’ambito del Protocollo firmato con la Protezione civile, ma in realtà la nostra missione principale è costruire e diffondere la cultura della resilienza, di cui la prevenzione è parte fondamentale”.
Prevenire per eliminare il rischio; e se questo non è eliminabile, la frazione che resta va affrontata con la protezione, facendo tesoro delle esperienze pregresse. Questo, in estrema sintesi, l’iter da seguire. “Dobbiamo prepararci prima e meglio – conclude Cardinali. – La sorpresa nelle emergenze sarà un elemento sempre presente, ma avendo ben chiare le procedure potremo superare l’onda”.