“Io non mi abbatto”. Cinzia La Rosa lo ripete più di una volta, con emozione. Il blocco delle attività produttive imposto a causa dell’epidemia da coronavirus ha colto la sua azienda mentre era nel pieno di una fase di espansione. La Rosa Energy si occupa di coibentazioni termiche industriali seguendo il cliente dalla progettazione all’installazione. Oltre alla sede storica di Verona, che esiste dal ’66 e nella quale lavorano 35 persone, negli ultimi anni aveva aperto una sede a Belgrado, in Serbia, e una a Houston, in Texas. Da pochissimo era stato inaugurato anche un ufficio a Chicago, dove sono aperti alcuni cantieri. Ora è tutto fermo, o quasi.
“La nostra rientra fra le attività che in Italia potrebbero proseguire – racconta la vice presidente di Piccola Industria con delega all’Internazionalizzazione, nuova imprenditoria e inclusione sociale – ma al momento solo una squadra sta lavorando perché il resto si è fermato. Nel breve periodo sono tranquilla perché ho una discreta liquidità che mi consente di ragionare con più freddezza. La mia preoccupazione riguarda il dopo. Un’attività come la nostra si basa su manutenzioni e investimenti. Temo che alla riapertura molte imprese che avevano programmato di investire sospenderanno tutto in attesa di tempi migliori”.
Cosa comporterebbe per un’attività come quella della La Rosa Energy, a metà fra metalmeccanica – “trasformiamo la materia prima, alluminio e acciaio” – e servizi per l’edilizia? Sostanzialmente una perdita di posti di lavoro. La sola manutenzione non assicura lavoro sufficiente per tutto il personale. All’estero la situazione è la stessa, con l’aggravante che negli Stati Uniti, ad esempio, la popolazione non si rende ancora bene conto di quanto stia accadendo. “In Texas c’è il lockdown – racconta La Rosa – ma le aziende cercano di tenerle aperte. Hanno una cultura diversa, per gli americani l’economia deve funzionare, ma è anche vero che sono molto più organizzati di noi. In poco tempo, ad esempio, i supermercati hanno assunto nuovo personale e si sono attrezzati per consegnare la spesa in modo che la gente non esca di casa”.
Ciononostante anche là mascherine e igienizzanti sono merce rara e l’impossibilità di garantire adeguate condizioni di sicurezza ha spinto La Rosa a far rientrare in Italia i propri dipendenti. “Preferisco avere una causa piuttosto che i miei collaboratori ammalati per il Covid-19. In Italia ci si ostina a pensare che le aziende badino solo al profitto. Non è vero. Le imprese sono fatte di persone”.
L’azienda ha lavorato a pieno ritmo fino al 20 marzo. Adesso, quand’anche si potesse riprendere, il problema si presenterebbe sul lato dei fornitori. Le scorte accumulate prima del blocco garantiscono all’azienda ancora un mese di autonomia. Dal lato dei pagamenti, lavorando per grandi nomi del calibro di Unilever, Coca Cola, Pastificio Rana, l’imprenditrice è serena e non ha registrato rallentamenti. “Io stessa ho pagato dipendenti e fornitori e bene ha fatto il presidente Boccia a richiamare tutti a non interrompere il flusso”.
Detto questo, le preoccupazioni aumentano se le si chiede un parere sull’azione del governo. “Troppa incertezza e confusione: autocertificazioni che cambiano di continuo, comunicazioni in tarda serata da cui non si capisce se il giorno dopo si potrà lavorare o meno. Navighiamo a vista – sottolinea – e non è possibile che in Italia, secondo paese manifatturiero in Europa, le aziende vengano trattate in questo modo”.
Anche misure come il potenziamento del Fondo di Garanzia non rassicurano a sufficienza: “Di fatto vado a indebitarmi senza sapere se fra due mesi avrò da lavorare o meno”. Da una parte quindi la sensazione è di smarrimento, condivisa con molte altre aziende del Veneto che in questo momento hanno richieste dall’estero che non possono esaudire e sono piene di merci che non riescono a far partire, rischiando quindi di perdere quote di mercato; dall’altra, però, c’è anche voglia di reagire e ricominciare. “Io non mi abbatto – ripete Cinzia La Rosa –. “Approfitterò di questi giorni in cui l’attività è minore per studiare una strategia per rimettere in piedi l’azienda. Va ripensato un po’ tutto”. Da dove partire? “Bisogna puntare molto sulla comunicazione, ma non solo quella rivolta alle aziende. Dobbiamo parlare alle persone e fare capire che chi lavora con noi è fondamentale. Sono qui dal ’91, mia figlia è cresciuta in ufficio con me, l’azienda è la mia vita”.