Reggio Emilia, un giorno di luglio, riunione del nuovo amministratore delegato con i lavoratori dello stabilimento. Una voce dal gruppo: “Noi siamo in Italia. Poi abbiamo la branch in Costa d’Avorio”. “Ragazzi, non c’è una branch, è la stessa azienda”, corregge l’Ad.
Questo articolo potrebbe anche finire qui perché nella risposta di Sergio Tommasini, amministratore delegato di Airone Italia, nonché presidente e amministratore di Airone Costa d’Avorio, c’è già tutta la sua visione aziendale e il possibile, nuovo, modello industriale italiano per questo epocale periodo che sta rivoluzionando i sistemi produttivi mondiali. Che ribalta la prospettiva di un’Africa “da beneficare” e/o da “temere” per considerare invece i fondamentali economici e di mercato di un continente che sta continuando a costruire un proprio autonomo futuro, facendo tesoro della rottura delle catene degli approvvigionamenti e del valore determinati dal Covid-19.
A velocità asimmetriche le imprese dei paesi industrializzati, oscillanti tra neo-protezionismo e desiderio (o speranza) di tornare alla comfort zone del periodo pre-pandemia, stanno cercando un modo di lavorare che permetta agli inesorabili indicatori della redditività aziendale e del Pil nazionale di non crollare. L’export, secondo recenti dati Istat-Sace rappresenta circa il 30 % del Pil italiano. Ma come e dove cercare mercati e domanda di beni e servizi?
La exit strategy italiana potrebbe allora essere il modello, italiano e africano insieme, locale e internazionale di Airone, media impresa italiana che opera dal 1994 nel settore delle conserve ittiche e alimentari. Fin dalle sue origini, l’azienda ha una filiera produttiva dedicata in Costa D’Avorio e il cuore strategico, finanziario e commerciale in Italia. Un’azienda italiana con genoma africano, quindi, perché l’investimento originario era stato fatto nel paese africano. Poi, a valle dell’incremento produttivo e dell’evoluzione commerciale, è nato lo stabilimento di Reggio Emilia, con circa 30 addetti e un magazzino di stoccaggio del prodotto finito.
Malgrado la Costa d’Avorio abbia conosciuto guerre civili e momenti molto difficili, l’azienda ha sempre mantenuto una presenza importante nel paese, riuscendo con un modello inclusivo a creare il sentimento che le persone che vi lavorano sono una sola azienda, una sola identità che va oltre il rispettivo paese di appartenenza.
Il mondo alla rovescia? Forse. Ma resta il fatto che nella relazione con la Costa d’Avorio, sede della prestigiosissima Banca Africana di Sviluppo di cui anche l’Italia è azionista, Airone è un modello di cultura industriale assolutamente positivo, che rafforza anche i rapporti bilaterali tra i due paesi.
È anche un campione di “Italian nation branding” che, senza grandi investimenti pubblicitari internazionali ma solo con la sua politica aziendale, con una indiscussa qualità di prodotto ittico e alimentare e lo schema imprenditoriale di filiera internazionale, riesce in Africa a dare visibilità all’Italia industriale, non sempre adeguatamente conosciuta nel continente.
I numeri sono lì, con tutta la loro evidenza: italiana la parte di management, strategia commerciale, finanza, qualità e in Costa d’Avorio lo stabilimento produttivo, che conta oltre 2mila dipendenti, una capacità produttiva pari a 150 tonnellate giorno di materia prima, ovvero il tonno.
In più c’è anche un altro elemento innovativo perché l’azienda ha investito su un canale, al momento unico, di pesca a canna, attraverso una cooperativa di pescatori locali – di cui fa parte – che consegna il pescato del giorno ad Airone. Viene trasformato fresco in prodotto di qualità e immesso sul mercato ad un prezzo più alto, che garantisce la crescita proporzionale di tutta la filiera, dal pescatore al prodotto finito. Un fattore che lega ancora di più l’azienda al territorio, creando un ulteriore canale di occupazione nazionale e completa il suo profilo di fattore propulsivo di industrializzazione dell’economia ivoriana. Che è quello che chiedono tutte le delegazioni istituzionali africane a Confindustria Assafrica & Mediterraneo, di cui Airone fa parte.
Attenzione, non è il mondo dei sogni, è un’azienda. Che ha anche problemi di concorrenza e, in relazione al settore, di sostenibilità rispetto dell’ecosistema in cui opera. Al di là della fisiologica concorrenza con le aziende dell’Africa dell’Ovest, Airone lavora con il private label, con la doppia complicazione del dover essere competitivi nella lavorazione come trasformazione della materia prima in prodotto finito e, dall’altra, della necessità di avere una filiera competitiva per portare sul mercato un prodotto ad un prezzo adeguato e concorrenziale che copra fasce di mercato diversificate: dal discount alle marche di alta qualità attraverso varie tipologie di prodotto.
Il tutto senza trascurare la sostenibilità nella pesca del tonno, argomento delicatissimo, attraverso l’uso di rigorose certificazioni di filiera che impongono all’azienda controlli stringenti su zone di cattura, su origine e qualità del pescato. Una visione semplice e complessa allo stesso tempo, che mette a punto un doppio canale, attraverso un brand “africano” per il mercato locale e continentale e che, mantenendo anche ad Abidjan l’azienda a livelli europei, dall’Africa esporta in Europa.
Una architettura imprenditoriale con standard di qualità (e indubbia fantasia) tutta italiana, che punta sul prodotto e sui propri lavoratori, investendo anche su programmi di scolarizzazione professionale e che non trascura la comunicazione, aprendo anche l’azienda alla visita della stampa ivoriana, in tutta trasparenza. Diventando così un attore della vita nazionale della Costa d’Avorio.
Un approccio “visionario”, in cui l’azienda è una sola, in Italia e in Costa d’Avorio e in cui l’Africa è l’hub produttivo e commerciale da cui lavorare su mercati maturi che si accompagnano a quelli africani, creando sviluppo e occupazione nei due paesi e aprendo mercati. Perché l’Africa ha una popolazione di un miliardo e duecento milioni di persone, dove dal primo gennaio 2021 cadranno 80mila km di barriere doganali, con l’apertura della Zona Continentale Africana di Libero Scambio.