
“Gli scenari stanno cambiando a una velocità incredibile, i problemi in campo sono molto complessi e vanno affrontati in modo serio, non a colpi di slogan, capendo bene quali sono tutti i contrappesi da considerare. Per questo dobbiamo fare sistema, dobbiamo essere vicini alle nostre Pmi ed aiutarle ad orientarsi”. A parlare è Giovanni Baroni, nuovo presidente di Piccola Industria per il biennio 2021-2023, eletto dal Consiglio Centrale il 30 novembre scorso. A lui, che nella presidenza precedente ricopriva la delega per Energia sostenibile ed Economia circolare, il compito di guidare le piccole in un periodo storico tutt’altro che semplice.
Che Piccola Industria sarà?
Una Piccola Industria che prosegue il suo cammino nel solco tracciato dalla presidenza Robiglio, fermo restando che le attività da mettere in campo dovranno giocoforza tenere conto delle novità di scenario che ci stanno accompagnando da qualche tempo.
A cosa si riferisce?
In primo luogo alla transizione digitale, che sta travolgendo in modo pesante le nostre imprese e per la quale occorre un adeguamento culturale affinché esse siano in grado di raccoglierne le opportunità e al tempo stesso di mitigare i rischi che questa comporta. Ciò significa intervenire anche sui divari infrastrutturali nazionali, che non rendono possibile, in alcune aree del Paese, procedere con la transizione digitale.
Un’altra priorità, poi, è accompagnare le Pmi nella tempesta che da circa un anno le vede in balia degli effetti di una consistente inflazione post pandemia. Un fenomeno strutturalmente correlato sia all’aumento del costo delle materie prime che alla transizione ecologica. Si metta, ad esempio, nei panni di una Pmi che fa parte della filiera dell’automotive, cui forse si sta imponendo una transizione troppo repentina verso la mobilità elettrica. Il singolo imprenditore comincia a ingegnarsi, a capire come diversificare, ma non è facile per una piccola impresa, che dispone di risorse economiche e capitale umano limitati: ci si sente persi. Qui il nostro ruolo come Confindustria è fondamentale perché possiamo aiutare le nostre Pmi a orientarsi meglio.
A proposito di transizione ecologica, l’Europa sta lavorando per definire la tassonomia delle fonti e dei processi produttivi sostenibili. Il dibattito è in corso e il 7 dicembre, il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha affermato che la Commissione adotterà una tassonomia che include anche il nucleare e il gas. Che cosa ne pensa?
Il fatto che il provvedimento della Commissione europea venga analizzato in modo critico, volto a migliorarlo nella logica dei contrappesi democratici delle nostre istituzioni, lo valuto positivamente, così come l’inserimento del nucleare e del gas, il quale fino a poco tempo fa era stato demonizzato e ora invece è visto come una fonte fossile utile per una transizione graduale.
Più in generale, l’adozione di una tassonomia condivisa è una misura di buon senso, ma bisogna fare molta attenzione perché una scelta più o meno arbitraria può determinare la cancellazione di intere filiere e decine di migliaia di posti di lavoro. Le nuove tecnologie comporteranno sì una creazione di posti di lavoro anche superiore a quelli che verranno persi, ma questo funziona sui grandi numeri. La verità è che molte persone perderanno il posto di lavoro e avranno difficoltà a ricollocarsi: è un problema generazionale fatto di competenze, formazione ma anche motivazione. Per questo dobbiamo individuare percorsi graduali ed evitare semplificazioni dozzinali. E poi mi lasci dire un’altra cosa.
Che cosa?
La neutralità tecnologica deve restare un principio base. L’obiettivo imprescindibile è la riduzione delle emissioni per contribuire ad avere un pianeta più sostenibile da consegnare alla generazione future. Pertanto a livello comunitario occorre stabilire gli obiettivi politici, ma non si possono dettare dall’alto le tecnologie. Deve essere il mercato a individuarle, sulla base del maggior equilibrio fra efficacia e sostenibilità economica. E anche rispetto alle scelte già annunciate, la virata sull’auto elettrica non è priva di incognite. La questione delle batterie e delle terre rare necessarie a produrle sono argomenti aperti. Non vorrei che si spostasse il problema a 10mila chilometri di distanza da noi pensando, ad esempio, che la questione dell’estrazione di queste materie prime o dello smaltimento delle batterie a fine vita non ci riguardi. Sarebbe un modo molto miope di affrontare il problema.
Di questioni ambientali si è naturalmente parlato alla Cop26 di Glasgow, da alcuni ritenuta deludente per il fatto che Cina e India non hanno preso impegni precisi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Cosa ne pensa?
Noi come Europa negli ultimi decenni abbiamo ridotto drasticamente le nostre emissioni e oggi a livello mondiale pesiamo per meno del 10%. Questa transizione sarà costosa perché introduce elementi di discontinuità molto forti. Va quindi affrontata a livello globale, altrimenti rischiamo di minare la competitività globale del nostro Continente. Se Cina e India vanno per la loro strada, tocca alla diplomazia internazionale far capire loro che il fine è comune e che bisogna lavorare insieme in questa direzione. Dal mio punto di vista, quindi, la Cop26 è stata un grande bagno di realismo. Non si possono affrontare i problemi per slogan.
La transizione ecologica è anche uno dei tre assi strategici del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Cosa pensa di quella che viene considerata come un’occasione storica per l’Italia?
È proprio così, è un’occasione storica per cambiare il nostro Paese ed è un’opportunità economica perché può generare un indotto tale da accelerare la crescita delle nostre imprese. Il punto è che queste risorse passeranno soprattutto attraverso la Pubblica amministrazione e qui ci scontriamo con l’annoso problema della capacità di quest’ultima di spendere le risorse che ha a disposizione. Siamo di fronte, di nuovo, a un divario fra regioni più virtuose e altre meno. D’altra parte, come ho potuto constatare personalmente, alcuni territori sono già preoccupati che queste risorse non arrivino a destinazione.
Negli ultimi tempi si è tornato a parlare di filiere, tema peraltro dell’ultimo Forum di Piccola Industria ad Alba. È un argomento che seguirà anche nella sua presidenza? In che modo si può concretamente rafforzarle?
Di filiere ci occuperemo senz’altro. Storicamente sono state uno degli elementi alla base della crescita delle nostre piccole imprese. Conosco tante aziende che hanno cominciato con poco, magari all’interno di un distretto, e oggi sono grandi e internazionalizzate. La filiera è un tratto tipico della nostra economia e oggi grazie alla tecnologia possiamo creare ecosistemi che superano i confini italiani. Spazio e tempo, infatti, hanno assunto una dimensione diversa e oggi siamo in grado di ridurre le distanze geografiche e di fare molte più cose in minor tempo. La digitalizzazione, inoltre, ci consentirà sempre di più il passaggio cross-filiera, ovvero di mettere a fattor comune le competenze sviluppate all’interno di una filiera con indubbi vantaggi anche nella gestione del rischio. Noi della Piccola Industria dobbiamo lavorare in questa direzione.
E, più in generale, quale ruolo avrà Piccola Industria all’interno del Sistema?
Quello di fare emergere il punto di vista delle piccole imprese, che altrimenti rischierebbero di restare indietro perché ci sono sfide che le grandi aziende ormai hanno superato. Inoltre, credo che tutta la questione dei parametri ESG rappresenti per noi una grande opportunità. Le Pmi sono molto avanti sul paradigma della sostenibilità a 360 gradi e dobbiamo farlo emergere. Questo ci consentirebbe di entrare in un processo di crescita ulteriore perché la finanza, sia quella di debito che quella di credito, guardano ai parametri ESG in modo sempre più importante. Possiamo davvero essere moderni e riuscire a definire degli standard.
(Intervista pubblicata sul numero di dicembre dell’Imprenditore)