Oggi ricorre il quinto anno dal referendum sulla Brexit che ha dato avvio al processo – lungo e tortuoso – di uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
Due le tappe fondamentali: l’Accordo di recesso raggiunto il 17 ottobre 2019 e l’Accordo commerciale tra le parti (Trade and Cooperation Agreement-TCA) siglato il 30 dicembre 2020 ed entrato in vigore il 1° gennaio di quest’anno.
Il TCA, raggiunto in extremis e che ha scongiurato il temutissimo “no deal”, non modifica in alcun modo lo status di paese terzo assunto dall’Uk nei confronti della Ue ma regola i rapporti tra le parti con l’obiettivo di gestire le divergenze e ridurre al minimo le frizioni commerciali (e non solo): di fatto l’intesa raggiunta semplifica, ma certamente non esclude, l’obbligo di applicare le regole e le procedure doganali da parte delle imprese che operano con il Regno Unito.
A poco più di sei mesi dall’entrata in vigore dell’Accordo, è possibile avanzare alcune valutazioni sulla sua applicazione e sulle principali questioni operative di interesse delle nostre imprese. Tra queste, il tema riguardante la mancata chiusura di molte operazioni di transito e la conseguente impossibilità allo svincolo della garanzia sulla merce. Inoltre, restano incompiuti i cambiamenti procedurali previsti per l’export verso lo Uk in considerazione della proroga delle scadenze per alcuni importanti adempimenti. Le prossime tappe sono:
Il 1° gennaio 2022 è fissata l’entrata in vigore di tutti i meccanismi di controllo stabiliti dall’Uk come paese terzo, tra cui la necessità di presentare, per i prodotti interessati, i certificati sanitari e fitosanitari e verrà attivata la finale descritta nel Border Operating Model, cioè il sistema di procedure di controllo alla frontiera previste da Uk. Inoltre, il marchio CE sarà sostituito dal marchio UKCA (UK Conformity Assessed) e dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre tale marcatura potrà essere riportata su etichette amovibili o su documentazione commerciale, mentre dal 1° gennaio 2023 il marchio UKCA dovrà essere apposto sul prodotto (anche con etichette amovibili e in coesistenza con il marchio CE).
Il 1° marzo 2022 è prevista l’entrata in vigore di tutta la normativa riguardante i prodotti di origine animale per il consumo umano; infine, è stata prorogata a fine settembre 2021 il termine per l’entrata in vigore delle misure di controllo definitive al confine con l’Irlanda del Nord (il termine del cosiddetto “periodo di grazia” era originariamente previsto per il 1° aprile 2021).
Il Regno Unito non è un partner qualunque per la Ue, negli ultimi quattro anni l’interscambio tra le parti ha movimentato mediamente circa 500 miliardi di euro. In particolare, per le imprese italiane il Regno Unito è l’undicesimo mercato estero di fornitura e il quinto di destinazione, rappresentando il 5,2% del totale esportato. Approfondendo l’analisi sulle interconnessioni esistenti tra Italia e Regno Unito a livello di catene del valore globali emerge che le esportazioni inglesi, nel 2018, hanno attivato un valore aggiunto italiano superiore a quello attivato dalle esportazioni americane e, allo stesso tempo, il valore aggiunto inglese incorporato nelle esportazioni italiane è maggiore di quello nelle esportazioni americane. Tutto ciò è messo profondamente in discussione dal nuovo status del Regno Unito.
È già possibile avere una prima quantificazione dell’impatto della Brexit in termini di scambi commerciali tra le parti. I dati ad oggi disponibili coprono i primi quattro mesi del 2021. L’evoluzione degli scambi tra le parti in questi primi mesi dell’anno è stata confrontata con gli stessi mesi non solo dell’anno precedente, essendo il 2020 del tutto “particolare”, ma dei tre anni precedenti 2018-2020. In questo modo l’effetto sugli scambi dovuto alla pandemia è stato diluito. Anche in presenza di questo accorgimento diversi sono i motivi di cautela.
In primo luogo, la pandemia di coronavirus ha colpito tutto il commercio mondiale indipendentemente dagli specifici partner commerciali. In secondo luogo, è necessario un tempo più lungo, rispetto ai quattro mesi qui a disposizione, affinché l’economia assorba completamente shock di questa portata.
In terzo luogo, le imprese si sono mosse in anticipo, accumulando scorte negli ultimi mesi del 2020 per ridurre il rischio di eventuali problemi di approvvigionamento nei primi mesi del 2021. In quarto luogo, la metodologia con cui vengono raccolti i dati sul commercio tra Regno Unito e Ue è cambiata nel gennaio 2021.
Pur in presenza di tutti questi limiti, i dati ci dicono che l’impatto Brexit è stato molto negativo sugli scambi della Ue con Uk, anche se le imprese italiane sono riuscite a contenerlo (-16,9% sulle proprie esportazioni verso il Regno Unito) relativamente a quello sostenuto dagli esportatori tedeschi (-22,1%). È importante sottolineare, inoltre, che l’esposizione dell’export italiano al mercato inglese è inferiore a quella tedesca: la quota di mercato delle imprese tedesche è più che tripla rispetto a quella detenuta dagli imprenditori italiani (3,9% nel 2019).
IMPATTO BREXIT SU IMPORT ED EXPORT
(Variazioni % gen.-apr. 2021 su gen.-apr. 2018-2020)
Fonte: elaborazioni CSC su dati ONS, ISTAT, DESTATIS