“Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”.
La citazione di Lao-tzŭ, filosofo cinese del quinto secolo avanti Cristo, esprime la nostra mission: innanzitutto la necessità per gli imprenditori di cambiare passo, di contaminarsi, e per noi, come Sistema, di aiutarli nei processi di cambiamento.
Oggi la chiave del successo, della competitività, della capacità di resistere in un mondo complesso a causa della globalizzazione, risiede anche nella volontà di contaminarsi, di formarsi continuamente, ma soprattutto di evolvere. Cambiare passo è diventato per noi un mantra. Su questo continueremo ad impegnarci con attività basate su tre pilastri: cultura d’impresa, ruolo sociale dell’imprenditore e crescita.
UN NUOVO CONCETTO DI CRESCITA
La parola crescita per noi riveste un significato più ampio del termine stesso. Dobbiamo innanzitutto essere consapevoli che il concetto “Piccolo è bello” non è più necessariamente tale. Spesso la stessa accezione di “Piccola Industria” rischia di rappresentare quasi un recinto o una riserva indiana. “Piccolo” può essere un momento della vita dell’impresa, ma non può essere fine a se stesso. Ciò non significa che bisogna essere per forza “grandi” in termini dimensionali, ma sicuramente “piccolo” rappresenta la fase di un percorso che deve approdare alla sostenibilità, alla crescita armoniosa dell’azienda e alla capacità di competere sui mercati.
Rispetto a questi obiettivi occorre guardare ad una prospettiva di sviluppo, aprendosi ad una cultura della responsabilità e alla consapevolezza del proprio ruolo di imprenditore, che non è finalizzato solo alla propria azienda.
CULTURA D’IMPRESA, OVVERO APRIRSI AL MONDO
È un valore fondamentale. Il concetto è molto ampio, ma per noi cultura d’impresa significa comunicare sempre meglio sia all’interno che all’esterno delle nostre imprese, verso gli stakeholder, gli azionisti e verso noi stessi. E questo vuol dire capacità di uscire dall’impresa per confrontarsi.
Sono convinto – e credo lo siano anche tantissimi altri colleghi – che partecipare a occasioni di confronto, incontri e momenti di formazione e approfondimento consenta innanzitutto di metterci in discussione, facendo venire meno quella autoreferenzialità a volte tipica di noi imprenditori.
Dobbiamo aprire l’azienda alle competenze perché tutto questo è anche cultura d’impresa e comunicazione. In tale ottica abbiamo firmato un accordo con 4.Manager, che ci vedrà nei prossimi mesi lavorare insieme sul tema della managerializzazione.
L’imprenditore deve fare il suo mestiere, richiamando all’interno dell’azienda competenze e valori che possono aiutare l’impresa a crescere.
FILIERE, UN PATRIMONIO DA VALORIZZARE
Ad aprile abbiamo firmato l’addendum con Intesa Sanpaolo, che pone al centro la crescita dell’imprenditore e con il quale stiamo dando forte attenzione allo sviluppo delle filiere. Anche questa è cultura d’impresa perché dove opera una grande o media azienda che esporta ci sono tante piccole imprese fornitrici. È importante che queste ultime crescano e comprendano come beneficiare al meglio della filiera. Rispetto al passato oggi il paradigma è diverso: le imprese capo filiera trasmettono alle aziende fornitrici cultura e competenze. In questo modo anche una piccolissima impresa diventa sempre più capace di giocare una partita anche per se stessa e di guardare ai mercati internazionali.
Con Intesa Sanpaolo stiamo lavorando per valorizzare, nel rating, gli aspetti qualitativi, e questo è un altro grande cambio di paradigma. L’attenzione all’imprenditore come persona, alla crescita dei suoi collaboratori, ai progetti di sviluppo, diventano nel rating qualitativo driver di successo e di relazione trasparente tra banca e impresa.
Il contratto di filiera e la possibilità di equiparare la valutazione del merito di credito dei fornitori a quella del capo filiera è anch’esso un parametro qualitativo perché le aziende che lavorano in filiera acquisiscono competenze che possono essere certificate dall’azienda capofila che, a sua volta, si giova della loro capacità produttiva.
UNA COMUNITÀ CHE DÀ E RICEVE DAL TERRITORIO
Comunicare verso l’esterno vuole dire anche avere attenzione verso la comunità. Persone e territorio sono le parole d’ordine del nostro lavoro quotidiano. Comunità vuol dire anche restituire al territorio quello che dal territorio si è ricevuto. Se la piccola impresa è così forte in questo Paese, è perché la nostra tradizione nasce dalle botteghe rinascimentali e da competenze diffuse sui territori che le hanno rese eccellenti grazie a manodopera qualificata, capacità, idee, relazioni ed ecosistemi.
L’impresa quindi restituisce al territorio ciò che dal territorio ha ricevuto. La stessa attenzione va posta anche verso la politica. Mai come in questo momento è necessario essere presenti e disponibili al confronto. È vero che siamo equidistanti dai partiti, ma non possiamo e non dobbiamo essere equidistanti dalla politica.
Sostenere che siamo contrari al depotenziamento di Industria 4.0 o all’eliminazione del credito d’imposta per la formazione, vuol dire rivendicare un ruolo e avere una visione del proprio compito nel Paese.
Affermare che per noi è incomprensibile avallare un reddito di cittadinanza invece di pensare a un reddito di formazione alle imprese o a una forte decontribuzione per assumere, è visione politica.
IL DIALOGO CON LE SCUOLE
Con spirito costruttivo richiamiamo l’attenzione anche sulla scuola e la formazione, sottolineando l’importanza di non depotenziare l’alternanza scuola-lavoro. Occorre maggiore attenzione alla formazione tecnico-scientifica, ancora oggi spesso considerata non “appealing”.
Al contrario, bisogna puntare proprio su questi percorsi perché nei prossimi cinque anni le imprese italiane richiederanno circa 500mila figure professionali con competenze tecnico-scientifiche che sarà molto difficile reperire. Il nostro è un grido di dolore, ma è soprattutto uno stimolo che rivolgiamo alla politica, al governo, per ragionare insieme.
La cultura d’impresa si concretizza anche con azioni per le nuove generazioni – pensando non soltanto a coloro che entreranno nelle nostre aziende – che hanno bisogno di certezze per il loro futuro. I giovani devono poter conoscere l’impresa, i suoi valori e ciò che essa rappresenta sui territori. A tal proposito, il nostro fiore all’occhiello è il Pmi Day. Giunto alla nona edizione, ha registrato un ulteriore grande successo con decine di migliaia di partecipanti che hanno invaso le nostre imprese.
Uso il termine “invaso” perché sono state 1.200 le aziende che hanno aperto le loro porte per mostrare agli studenti che l’impresa non è soltanto un posto dove si lavora e si produce, ma anche un luogo di crescita sociale e culturale.
È importante inoltre l’aver portato il Pmi Day all’estero: negli Stati Uniti, dove abbiamo coinvolto 50 aziende di origine italiana che hanno accolto 1.200 ragazzi, nei Balcani e in Belgio, dove ho partecipato alla visita dell’Ariston Thermo di Namur, con 50 studenti delle scuole del territorio. È stato per me motivo di grande orgoglio come italiano vedere quanto queste aziende che lavorano all’estero siano eccellenze ammirate.
IL RUOLO SOCIALE DELL’IMPRENDITORE
L’imprenditore non è solo colui che svolge attività d’impresa, ma è anche una persona che può fare moltissimo per la società, per il proprio Paese e per la comunità di riferimento. Il ruolo sociale dell’imprenditore deve essere volto sia verso la propria impresa, affinché possa crescere e creare valore, sia verso i territori. Azione questa che si può esplicare attraverso comportamenti, best practice e impegni che sono soprattutto quelli finalizzati a rendere l’impresa sostenibile.
SOSTENIBILITÀ A 360 GRADI
A nostro avviso vi sono tre declinazioni di sostenibilità: economica, sociale e ambientale, quest’ultima molto legata al tema della resilienza. Partiamo dalla prima e facciamo chiarezza. Mi rivolgo ai colleghi e a tutti noi, invitando a una comune riflessione. Gli strumenti per le imprese sono un supporto, le imprese devono essere in grado di stare su da sole, devono saper competere sui mercati. Devono pretendere un rapporto molto trasparente col sistema bancario e dei capitali e devono a loro volta essere trasparenti. Devono aprire le porte ai manager e alle competenze perché è necessario avere una visione di medio-lungo periodo di quanto si vuole fare. A questo proposito ricordiamo nuovamente l’accordo con 4.Manager, che va in questa direzione e si collega al “passaggio generazionale”. Un tema che riguarda tantissime imprese e che nei prossimi anni diventerà una questione fondamentale per tutto il Paese.
Anche questo concetto quindi dovrebbe essere sostituito con quello di “continuità aziendale”, perché il dovere dell’imprenditore non è necessariamente tramandare l’azienda ai figli, ma darle continuità affinché sia sostenibile e perché possa non solo creare posti di lavoro e valore per gli azionisti, ma anche valore per la comunità.
Per quanto concerne la sostenibilità sociale, vogliamo rivolgerci a chi ancora non conosce questo termine. Oggi lo sviluppo del welfare aziendale è diventato un altro grande parametro sul quale tanti imprenditori si stanno misurando.
Anni fa il welfare era vissuto come paternalismo, frutto della tradizione italiana nella quale le aziende erano anche grandi famiglie. Oggi il welfare aziendale è un driver di successo e, se strutturato e realizzato in modo efficace, può diventare un elemento fondante della competitività aziendale, oltre che avere anche ricadute molto positive sulla società.
PREVENZIONE E RESILIENZA
In merito alla sostenibilità ambientale, rappresenta uno scambio virtuoso tra azienda e territorio, tra imprenditore e comunità. Viviamo in un Paese fragile, segnato purtroppo in questi ultimi anni da calamità che hanno creato gravi traumi e tragedie per le persone, ma anche pesanti danni alle imprese.
Per reagire e contribuire all’opera di prevenzione, nel 2016 abbiamo sottoscritto un accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, con il quale oggi esiste un legame fortissimo e di grande collaborazione. Questa best practice vede Piccola Industria e tutta Confindustria lavorare in particolare sulla resilienza, ovvero la capacità di mettere in sicurezza sempre di più le nostre imprese attraverso la prevenzione.
In caso di calamità è importante assicurare la continuità della produzione e del lavoro nei territori colpiti. Laddove infatti continua ad esserci lavoro, continua ad esistere la comunità; e laddove c’è comunità c’è vita. Inoltre, come evidenziato da una ricerca della Comunità europea, un euro speso in prevenzione e resilienza ne fa risparmiare quattro ex-post per il ripristino dei danni.
Per questo vogliamo lanciare una grande campagna come Confindustria, presentando al governo alcune proposte e lavorando insieme a banche e ad assicurazioni, per stimolare le imprese ad investire in prevenzione.
Voglio inoltre ricordare che precedentemente all’accordo con la Protezione Civile, dalla sensibilità dell’Associazione territoriale di Fermo è nato il Programma Gestione Emergenze, altro nostro fiore all’occhiello.
In momenti tragici e di grande difficoltà per alcune comunità del Centro Italia, questo progetto è stato capace di attivare una macchina organizzativa che ha portato ciò che serviva, quando serviva e dove serviva: in tempo pressoché reale, la rete del Pge ha coinvolto 250 imprese di tutta Italia, per un controvalore di circa tre milioni di euro di beni e servizi assicurati a diversi territori. Questa credo sia una delle cose più belle che, come imprenditori, abbiamo potuto fare finora per il nostro Paese ed è qualcosa sulla quale vogliamo spenderci ancora di più nei prossimi anni.
Per questo chiediamo l’ausilio del governo, per ragionare e lavorare insieme. Perché insieme possiamo fare tanto per il nostro Paese. Infine, dobbiamo ricordarci che questo progetto è nato spontaneamente dalla capacità dei privati e degli imprenditori, oltre che dalla sensibilità delle persone. Ecco perché poniamo la persona al centro, perché è la persona che mai come oggi fa la differenza.