Giovanni, 43 anni, si infila la cuffia e il camice nello stabilimento dell’azienda di Pescara dove da 20 anni lavora alle macchine che sparano pannolini sulle linee di confezionamento. Stavolta sui rulli non passano i prodotti assorbenti del più noto brand di settore, ma mascherine. Centinaia, migliaia, per la Protezione Civile.
Sono le 9.30 del mattino del 30 marzo e in una storica fabbrica d’armi di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, si costruiscono le valvole per le maschere modificate, la casa del Cavallino Rampante di Maranello ingegnerizza i respiratori, un medico e due ingegneri bresciani trasformano le maschere da sub in respiratori, Cracco cucina per l’ospedale di Milano. Così, negli stabilimenti di Re Giorgio, escono camici usa e getta per gli infermieri invece che abiti per le boutique di via Montenapoleone, e il più noto marchio di Rum Cuba style mette sul mercato 1,1 milioni di litri di disinfettati per le mani. Intanto nell’ex ospedale psichiatrico di Pratozanino, in provincia di Genova, un brand sconosciuto ai più – ma che esporta cateteri per pacemaker in tutto il mondo – adegua le linee alla produzione di mascherine.
E ancora, nei giorni più bui dell’Italia che resiste, il patron di uno degli amari più bevuti in Italia e in Germania passa dai liquori al gel disinfettante, l’atelier a 5 stelle dei piumini ultraleggeri di Novara sforna 400 camici al giorno per medici e infermieri degli ospedali di Domodossola, Verbania e Omegna, e in una storica veleria ligure sfrecciano sulle macchine mascherine chirurgiche destinate ai tre ospedali di Sestri Levante, Rapallo e Lavagna che servono una popolazione di quasi 150mila persone.
E sempre mascherine – rare e preziose come oro in questa emergenza – arrivano dalla Brianza grazie al marchio che partendo dai sacchi per le patate negli anni è diventato leader mondiale di abbigliamento sportivo senza cuciture: nella sala esposizione dei capi tecnici sportivi dell’azienda c’è il body indossato da Serena Williams in una finale degli Open Usa di tennis, ma adesso l’attenzione è altrove. E mentre decine di aziende tessili tentano una riconversione-lampo impensabile fino a poche settimane prima (stop alle produzioni tradizionali e avanti con le mascherine), decine di imprese rispondono all’appello dei territori lombardi: chi può riconverta la produzione per proteggere gli eroi di questa guerra, fate presto.
E poi ci sono le aziende del farmaco, in campo a 360 gradi per aiutare l’Italia ad affrontare il Covid, con milioni di donazioni in denaro e farmaci, la riconversione di linee produttive per avere subito respiratori, mascherine, guanti, tute da isolamento, schermi protettivi, gel disinfettante, senza lasciare indietro ricerca e sviluppo di nuove cure e vaccini. Tanto lavoro in più nel cuore del distretto biomedicale di Medolla, in provincia di Modena, dove un’azienda leader nella produzione di dispositivi biomedicali per autotrasfusione e cardiochirurgia quadruplica la produzione di ossigenatori polmonari extracorporei che riproducono il lavoro degli alveoli e generano artificialmente lo scambio anidride carbonica-ossigeno, mettendo a riposo completo i polmoni, quando neppure i ventilatori bastano più.
L’orgoglio italiano passa per questi nomi e questi numeri, e molti altri che non possono trovare spazio tanto è lunga la lista di chi si è messo in gioco, ha donato, si è inventato un nuovo modo per essere Sistema ed essere Italia. Un’Italia dove, per una task force di 300 medici volontari, hanno risposto in più di 1.500, inclusi medici ottantenni. Un’Italia dove all’appello per 500 infermieri volontari, hanno risposto in 8mila.
Diversificare il business in un momento in cui il blocco degli ordini è una realtà amarissima è un’operazione coraggiosa e complessa. Ma ci hanno provato – e ci sono riusciti – in tanti: dalla Lombardia alla Sicilia passando per l’Emilia, alla Toscana passando per il Lazio, l’Abruzzo, la Puglia, la Campania e decine di territori ancora.
I prodotti e servizi offerti dalle nostre aziende, il crowdfunding a tappeto e le donazioni-fiume arrivate da tutto il Sistema per far fronte all’emergenza, sono ossigeno per un Paese allo stremo: medici, infermieri lavorano dall’inizio dell’epidemia senza protezioni adeguate. I famosi Dispositivi di protezione individuale. Sono pochi, spesso inadatti. Un dramma nel dramma, in questa corsa contro il tempo dove il nemico è invisibile e potente e dove le soluzioni si inventano al momento perché non ci sono precedenti.
La fotografia scattata dalla task Force Nazionale Coronavirus di Confindustria e dal Programma Gestione Emergenze mostra energia da vendere e la forza motrice della Rete. I numeri della solidarietà e la lunga lista dei suoi protagonisti mostrano il volto migliore della nostra industria, delle nostre associazioni e delle nostre persone: davanti al mostro si tira fuori resilienza, tenacia e creatività. La capacità tutta italiana di reinventarci davanti ai nuovi scenari, di intercettare il bisogno collettivo. E si tira fuori responsabilità e coerenza perché ogni impresa, indipendentemente dalla sua dimensione, categoria o settore, è funzionale alla sopravvivenza del nostro tessuto produttivo. E allora, quale che sia il contesto, è d’obbligo mantenere gli impegni presi nei pagamenti, difendere le nostre filiere, proteggere le nostre persone e comprendere che non ci sono scorciatoie per nessuno, perché questa sfida epocale si vince solo così. Consapevoli che sui nostri comportamenti di oggi si disegna la storia di domani.