Confindustria Slovenia è la più giovane tra le associazioni imprenditoriali italiane nei paesi dell’Est Europa. È nata a novembre del 2019 e sta muovendo i primi passi, associando le aziende italiane insediate del paese e che lì hanno dislocato fasi della loro attività, con una presenza diversificata in diversi settori, dall’energia alla meccanica, dal legno-arredo al credito, alle assicurazioni.
Fortunatamente, pur mettendo in conto che le difficoltà non mancano, la situazione resta relativamente gestibile, gli impianti produttivi sono in gran parte aperti, gli spostamenti per lavoro consentiti così come il transito dei tir, previo controllo sanitario degli autisti, grazie anche a un impatto contenuto dell’epidemia di coronavirus sul paese.
“Il lockdown è in vigore anche in Slovenia – racconta il presidente di Confindustria Slovenia, Dino Feragotto –, le attività terziarie e commerciali sono chiuse, le persone invitate a rimanere in casa, ma le aziende manifatturiere restano aperte. Faccio l’esempio della mia, che opera nel settore dell’illuminotecnica: l’attività prosegue abbastanza normalmente, pur avendo ridotto gli addetti presenti in azienda nel rispetto dei protocolli di sicurezza sul lavoro, mentre una parte del lavoro prosegue in smart working. Vale per me come per altri imprenditori, anche se ci sono aziende che hanno maggiori difficoltà, per il tipo di produzione, a garantire il distanziamento sociale richiesto nei luoghi di lavoro”.
Certi comparti, però, come accade in Italia, si sono fermati: per esempio l’edilizia e l’automotive, visto che le supply chain del settore sono bloccate anche in Germania, il turismo e il trasporto aereo; continua, invece, senza interruzioni, l’operatività di banche e assicurazioni. “Non siamo un’isola felice – concorda il vice presidente Igor Pahor –, parlando con i colleghi sloveni la percezione è che i problemi ci siano anche qua, pur se più contenuti”.
Come nel confinante Friuli Venezia Giulia, l’epidemia da Covid-19 è rimasta circoscritta: in Slovenia si contano meno di duemila persone contagiate su due milioni di abitanti e il sistema sanitario nazionale ha mostrato di essere in grado di gestire l’impatto della malattia. Così come il nuovo governo sloveno insediatosi tre settimane fa ha mostrato di sapere subito prendere le misure economiche necessarie a sostenere le imprese, predisponendo un piano di agevolazioni.
Il direttore di Confindustria Slovenia, Franco Coglot, le riassume così: “Parliamo, ovviamente, di agevolazioni previste per le società di diritto sloveno. Per le aziende che continuano la produzione lo Stato si accolla gli oneri sociali dei dipendenti e contestualmente l’azienda si assume l’obbligo di erogare un premio detassato di 200 euro in busta paga. Il risultato di questa operazione è che a parità di costo aziendale il lavoratore ha una busta paga più alta. Così facendo lo Stato immette liquidità nel sistema, senza creare ulteriori aggravi per le imprese. Per le aziende che sono bloccate a causa del coronavirus, tutte le aziende, negozi compresi, si prevede una sorta di cassa integrazione, sempre con gli oneri sociali a carico dello Stato e l’80% dello stipendio viene pagato dalle aziende, che ne otterranno il rimborso entro 30 giorni, per i primi tre mesi, rinnovabili al 60% dello stipendio per i successivi tre mesi attingendo ai fondi di crisi. In cambio chi ne usufruisce si impegna a non licenziare i dipendenti. Per tutte le aziende che ne faranno richiesta è poi previsto il blocco del rimborso dei finanziamenti con una semplice richiesta alla banca”.
“La situazione dovrebbe sbloccarsi a breve – aggiunge Igor Pahor –. Già dopo Pasqua si avvierà un progressivo allentamento delle restrizioni e un graduale ritorno alla normalità. Continuiamo, però, a registrare difficoltà e ritardi nella circolazione delle merci. I tir che attraversano la Slovenia per raggiungere, per esempio, la Bosnia e la Serbia devono viaggiare in convoglio con attese e code ai punti di frontiera, visto che si tratta di frontiere esterne all’Unione europea. Il che comporta un allungamento dei tempi di viaggio e un conseguente aumento dei costi”.
Pahor apre anche una finestra sulla situazione in Bosnia, dove è responsabile di Confindustria Bosnia: “La questione delle merci e dei tempi di viaggio tra Gorizia e Sarajevo è particolarmente sentita. Marzo è andato bene, ma gli approvvigionamenti non sempre funzionano come dovrebbero. La crisi non è così marcata, abbiamo qualche centinaio di persone che risultano positive al coronavirus su tre milioni di abitanti. Anche in Bosnia, come in Serbia, vige il coprifuoco, dalle 8 di sera alle 5 del mattino e l’assoluto divieto di uscire per i minori di 18 anni e dopo i 65 anni, anche se i più anziani da qualche giorno possono uscire per qualche ora”.