

MARIO ROSSO
Passato assieme al suo approccio filosofico attraverso molte fasi della storia d’Italia, Mario Rosso racconta un modo a tratti insolito di interpretare il ruolo di manager d’alto profilo. Entrato in Fiat all’inizio degli anni Settanta, da quel momento in poi ha vissuto, da posizioni apicali, fortune e passi falsi delle maggiori aziende del Paese – è stato responsabile risorse umane di Telecom Italia, Senior vice president in New Holland a Londra, Ad dell’agenzia Ansa e del Gruppo Tiscali –. Un viaggio corposo e mai banale, descritto con dovizia di particolari senza fare sconti a nessuno. Lui compreso.
Può spiegare qual è stata la molla che le ha fatto decidere di scrivere questo libro?
È stata una richiesta venuta dai miei nipoti. “Non sappiamo nulla della tua carriera”, mi hanno detto, e così ho iniziato a scrivere. Per loro, ma anche per i giovani e i colleghi. Volevo spiegare cosa avevo fatto, una sorta di cronaca, ma poi in itinere il libro si è tramutato nella storia di come sono diventato ciò che sono – sottolinea Rosso –. La gente spesso perde la memoria dei fatti, ma credo invece sia doveroso conservare il ricordo e la risposta vibrante venuta dai lettori mi ha fatto capire di aver probabilmente colpito nel segno.
Cosa c’è dietro i concetti di potere e retorica del vincere?
Il fatto è che da sempre odio violenza, sopraffazione e ingiustizia perciò non ho voluto mai usare la forza derivante dalla posizione come arma di lotta tra uomini. Un qualcosa che mi ha pure penalizzato in corso d’opera, derivante dalla mia formazione filosofica. Sono modi di fare comunissimi nelle dinamiche lavorative, ma in ogni caso indegni: mi sono sempre rifiutato di trovare identità e autostima nel dominare e voler essere più forte di chi ti sta davanti. Noi, come manager, quali valori esprimiamo mentre facciamo questo mestiere? È la domanda che affollava in molte occasioni la mente di una persona fondamentalmente inquieta come me, attenta comunque, dopo qualsiasi esperienza portata a termine, ad estrarre il significato profondo di quella parte di viaggio.
Come avete fatto a far passare New Holland dal quasi fallimento al grande rilancio?
L’emergenza dà una forza straordinaria se la sai usare al meglio. Innanzitutto, è stata necessaria una ristrutturazione pesantissima: in partenza eravamo 32mila persone e siamo scesi a 16mila nell’arco di poco meno di due anni con grandi sacrifici in termini di posti di lavoro soprattutto negli Stati Uniti e in Brasile, ma anche da noi, considerato che pagò un prezzo altissimo pure la Fiat Trattori. Decidemmo in seguito per un’organizzazione parecchio snella, semplificata e ridisegnammo tutti i flussi trasversali operativi e decisionali in modo molto innovativo.
La scelta di ridurre i costi unita alla velocità nel prendere decisioni ha fatto il resto, consentendoci di essere ben posizionati sul mercato quando questo, un anno e mezzo dopo, è ripartito.
Ha messo a repentaglio veramente il posto per quell’articolo estremamente critico che scrisse sulla Fiat?
Ho rischiato tutto ciò che avevo costruito negli anni. Ma sentivo di dover fare qualcosa per far capire alla gente quanto fossero state disastrose certe scelte, errori compiuti e poi confermati pure dai modelli. C’erano altissime probabilità di essere messo all’indice dalla Fiat, eppure decisi di farlo: non ce la facevo proprio a tenerlo dentro di me.
Quali sono le figure, tra quelle descritte nel libro, che l’hanno più positivamente influenzata durante la carriera?
Dal punto di vista personale sicuramente Enrico Auteri, l’allora direttore del personale del gruppo Fiat, che mi ha protetto, insegnato, sopportato nonostante fossi poco disciplinato. È stato il primo mentore, un uomo in grado di farmi comprendere due delle regole più importanti da seguire per andare bene nelle grandi organizzazioni: individuare le persone di valore standogli vicino il più possibile e, la seconda, fare le cose sempre al massimo senza mai mollare la presa.
L’altro è stato Riccardo Ruggeri, all’epoca amministratore delegato di New Holland, manager creativo e intuitivo che mi ha aiutato molto a fare un notevole salto di qualità in termini di globalizzazione ed emancipazione nel ruolo. Una persona che ricordo con grande rispetto.
Cosa le è rimasto dentro, infine, in questo lungo viaggio da essere umano senziente?
La conferma che essere un uomo consapevole, interpretando al meglio la propria vita, implica avere principi e saperli seguire mentre stai assumendoti responsabilità anche pesanti. E poi che tutto passa, ad esclusione di quanto costruito nei rapporti con le persone che ti hanno accompagnato in parti significative della tua vita.