
Presidente De Furia, celebrate un traguardo importante. Ma facciamo un passo indietro. Cosa è e come nasce la Miami Scientific Italian Community?
La Msic nasce come centro di trasferimento tecnologico. Il nostro obiettivo è facilitare l’incontro delle Pmi con le nuove tecnologie attraverso programmi di sviluppo tecnologico e partecipando a grant americani, bandi Horizon e usufruendo di misure regionali e nazionali italiane.
Il progetto ha preso il via nel 2013, grazie all’iniziativa di soggetti sia pubblici che privati, in particolare Cnr, Enea, gli atenei La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre e Luiss, e poi Unindustria Lazio, il Polo tecnologico e industriale di Roma, la Camera di Commercio capitolina, nonché nomi del calibro di Finmeccanica e Unicredit Group, insieme ad altri soggetti quali Radio Dimensione Suono, Guida Monaci, il mio Gruppo (Gruppo De Furia, ndr) e un team di ricercatori italiani operativi a Miami.
Siamo riconosciuti, inoltre, come Associazione dei ricercatori italiani all’estero dal ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale, con il quale abbiamo fatto iniziative congiunte, e dal ministero dell’Università e Ricerca. Successivamente, seguendo lo stesso modello, sono nate le consorelle in Texas e California.
Che cosa vi ha spinto a mettere in piedi questo progetto?
Dieci anni fa ci siamo resi conto che il trasferimento tecnologico e la valorizzazione dei risultati della ricerca applicata stavano acquisendo un ruolo sempre più rilevante nelle dinamiche di sviluppo dei sistemi economici e sociali moderni. In Italia, però, la cronica carenza di fondi penalizzava il dialogo fra università e impresa, premiando solo i progetti con un’immediata ricaduta commerciale oppure le realtà imprenditoriali economicamente più forti. Abbiamo provato quindi a trovare spazio altrove.
E così create la piattaforma…
Esattamente. Nel 2013 abbiamo messo su la prima piattaforma italiana per l’estero con l’obiettivo di favorire per lo scouting di tecnologie brevettate provenienti dal mondo della ricerca pubblica italiana. Troppo spesso si associa il made in Italy esclusivamente ad alcuni settori, come l’agroalimentare e la moda; noi abbiamo voluto dimostrare che nei nostri centri di ricerca e università ci sono tecnologie che possono competere negli Stati Uniti e nel mondo.
Come funziona?
Lo strumento punta a fare incontrare università, aziende e finanziatori. Offre una rapida consultazione da parte delle imprese, che consente loro di individuare con chiarezza le innovazioni che possono trovare applicazione nel mondo della produzione industriale e di razionalizzare i contatti con il mondo della ricerca italiana.
Parliamo di una massa critica di oltre 2mila tecnologie, che spaziano in tutti i principali settori tecnologici e industriali, descritte ciascuna nella propria “scheda brevettuale”. L’obiettivo, ripeto, è suscitare l’interesse di potenziali investitori e creare punti di contatto con le aziende.
Ma la competizione internazionale in settori innovativi è altissima.
Ha letto chi sono i nostri partner? Possiamo esportare ricerca scientifica e nuove tecnologie avendo a disposizione il meglio dell’intero Paese. Per farle un esempio, posso citare i dipartimenti della Sapienza, del Cnr, dell’Enea, dell’Istituto italiano di tecnologia, o ancora i Politecnici di Torino e Bari.
Vantiamo competenze altissime nei settori dell’aerospazio, delle biotecnologie, dell’Ict per i beni e le attività culturali, della green economy o su temi ancora più specifici come la robotica o l’intelligenza artificiale. La nostra idea è portare tutto questo in giro per gli Stati Uniti, indicando chiaramente che sosteniamo non soltanto le Pmi italiane, ma anche le aziende americane che hanno bisogno di tecnologia italiana.