

ANTONIO CALABRÒ
Il “saper fare” delle imprese italiane è uno straordinario punto di forza, ancora più prezioso in tempi di difficoltà, tensioni e radicali cambiamenti dei contesti geopolitici ed economici. E adesso è necessario insistere su una dimensione complementare, quella del “far sapere”. Costruire, cioè, un nuovo e migliore racconto delle caratteristiche e delle qualità dell’impresa, che valorizzi il loro essere non solo attori economici capaci di reggere le sfide di mercati sempre più selettivi e severi, ma anche attori sociali e culturali, componenti essenziali di una comunità che ha radici nei territori produttivi e sguardo largo sul mondo. Un racconto, ancora, che sappia esprimere il valore di un capitale sociale composto da una sintesi originale tra competitività e inclusione, consapevolezza storica e apertura all’innovazione, attenzione alla produttività ma anche sofisticata etica d’impresa: una vera e propria “morale del tornio” che merita una qualificata valorizzazione.
È questo il contesto in cui si inquadrano progetti e programmi del nuovo Gruppo Cultura di impresa di Confindustria, coordinato da chi scrive, con l’affiancamento di Giovanna Ricuperati e in stretto raccordo con il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, che ha tenuto per sé la delega per la Cultura d’impresa, segno evidente dell’importanza strategica di questa visione.
“IMPRESE APERTE” E DIALOGO CON GLI INFLUENCER
Il Gruppo ha cominciato a lavorare su tre linee d’impegno: le iniziative riunite sotto l’indicazione strategica delle “imprese aperte”; la sperimentazione di nuovi linguaggi e nuove forme di narrazione, attraverso un rapporto stretto con il mondo degli influencer e un’attenzione speciale per le nuove generazioni; la promozione di biblioteche aziendali, in relazione con le biblioteche scolastiche e con quelle comunali e regionali dei vari territori e in collaborazione con l’Associazione degli editori (Aie) e le organizzazioni e le istituzioni, pubbliche e private, che si muovono per la promozione del libro e della lettura.
Il punto di partenza sta nel rafforzamento e nello sviluppo di un’idea che da tempo assume peso crescente nella strategia dei valori confindustriali: fare impresa significa fare cultura, se cultura è non solo letteratura e arti figurative, musica e teatro, cinema e fotografia ma anche l’universo dei saperi scientifici e delle conoscenze tecnologiche, dell’economia e delle relazioni professionali nel mondo del lavoro.
Cultura è infatti, a nostro parere, una nuova formula chimica, un dinamico processo di produzione meccanico e meccatronico (rileggere “Il sistema periodico” e “La chiave a stella” di Primo Levi, per averne conferma), un brevetto o un nuovo materiale industriale high tech, l’architettura di una fabbrica sostenibile, un algoritmo che migliora la ricerca per prodotti d’avanguardia o una molecola farmaceutica che innova profondamente il mondo delle life sciences, con ricadute positive sulla salute e la qualità della vita di migliaia di persone.
Il punto di riferimento di questa idea di cultura d’impresa può stare in una frase famosa di Gio Ponti, intelligenza tra le più creative e produttive dell’architettura e del design: “In Italia l’arte si è innamorata dell’industria. Ecco perché l’industria è un fatto culturale”.
QUALITÀ E SOSTENIBILITÀ: RACCONTARLE DI PIÙ E MEGLIO
“Fabbriche aperte”, dunque, come obiettivo di percorsi già sperimentati (da Federchimica, oramai da tempo, ma anche in Piemonte, nel Nord Est e in Puglia, nel Pmi Day e nelle tante attività di Museimpresa). Di raccordi, con la Giornata del Made in Italy promossa a metà aprile dal ministero per le Imprese e il Made in Italy. E di promozione di nuove iniziative, con un’apposita giornata in coincidenza con l’apertura della Settimana della Cultura d’Impresa, a metà novembre.
Imprese aperte al pubblico degli stakeholder e alle scuole, fin dagli istituti primari, agli appassionati del turismo industriale – è sempre più interessante vedere dove e come si producono gli oggetti del miglior Made in Italy – ma anche alle donne e agli uomini che per professione raccontano e documentano, scrittori e registi, fotografi e attori.
Per costruire così una nuova e più reale rappresentazione della qualità e della sostenibilità, ambientale e sociale, delle nostre imprese. E contribuire, anche così, a superare quella cultura anti-industriale e anti-scientifica e tecnologica purtroppo ancora tanto diffusa nel nostro Paese.
I VALORI DELLA CULTURA POLITECNICA
È un’operazione ambiziosa di “cultura politecnica”, sintesi tra conoscenze umanistiche e scientifiche, ben oltre le rappresentazioni autoreferenziali del tradizionale storytelling. E una scelta strategica che sostiene e rafforza le capacità competitive del sistema produttivo: storia e memoria, bellezza e qualità, creatività e tecnologia d’avanguardia come componenti essenziali di un “orgoglio industriale” che rilancia il made in Italy a livello globale.
Serve, in questa strategia, capire bene come il mondo dell’impresa venga percepito e come usare tutte le leve della comunicazione, anche digitale, per dare voce adeguata ad alcune caratteristiche ben presenti nei nostri territori: l’intraprendenza, la capacità di fare impresa, l’importanza del lavoro nella stagione della “economia della conoscenza” e delle opportunità offerte dagli sviluppi dell’Intelligenza artificiale. Un impegno di ascolto e poi di proposta, di confronto critico e di costruzione di una nuova e migliore immagine dell’imprenditoria italiana, sensibile all’innovazione, aperta al mondo.
PROMUOVERE LE BIBLIOTECHE AZIENDALI
Anche la diffusione delle biblioteche aziendali, in relazione con tutte le componenti del “mondo del libro”, rientra in questa strategia culturale. Fare tesoro delle iniziative già in corso in alcune aziende esemplari. E fare crescere, così, l’abitudine alla lettura, coinvolgendo bambine e bambini, le famiglie, le comunità, migliora la qualità della vita, la conoscenza dei problemi comuni, l’attitudine a prendersi cura delle comunità. Rafforza il livello culturale generale nelle imprese. Consolida la coscienza civile. E incide positivamente anche sulla qualità del lavoro e sulla creatività.
Ne fanno fede, tra le tante possibili, due citazioni esemplari. La prima è di Marguerite Yourcenar, tratta dalle pagine di “Memorie di Adriano”: “Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.
La seconda è di Adam Michnik, scrittore polacco, una delle firme più autorevoli della dissidenza contro il totalitarismo sovietico: “Un libro è come una riserva di libertà, di pensiero indipendente, una riserva di dignità umana. Un libro è come aria fresca. Dovremmo costruire un monumento di libri”.
(Articolo pubblicato sul numero di maggio dell’Imprenditore)