“Ho sempre ritenuto e penso tuttora che l’Africa sia una grande opportunità per le aziende italiane, che possono trovare occasioni di crescita in mercati che sono ancora poco conosciuti nel nostro Paese”. Massimo Dal Pozzo (nella foto in alto) racconta come, fin dagli esordi, la sua carriera sia stata sempre legata a doppio filo all’Africa. Prima come general manager di un’importante compagnia di navigazione e poi, dal 2005, come Ceo di Sodimax, spedizioniere internazionale con sede a Genova. “Lavorare in Africa richiede tempo, programmazione e un approccio consapevole verso la cultura di quelle aree”, dice Dal Pozzo. In questa intervista ci racconta come fare.
Di cosa si occupa la sua azienda?
Sodimax è uno spedizioniere internazionale fondato a Genova nel 2005, che opera nell’ambito delle spedizioni marittime, aeree e terrestri da e per tutto il mondo. Storicamente legati all’Africa, con presenza diretta in Senegal e in Costa d’Avorio e rappresentanze in tutti i paesi del continente, oggi contiamo sulla sede di Genova e uffici a Parma per il project cargo e a Milano Malpensa per l’aereo.
Com’è iniziata la sua esperienza nel settore dei trasporti?
Comincia tutto nell’83 con il primo lavoro in un’agenzia marittima, dove mi occupavo di trasporto merci. Nell’86 sono entrato nella compagnia di navigazione Ignazio Messina, che era in procinto di aprire il servizio per il West Africa. Grazie alla mia conoscenza della lingua francese, mi è stato affidato il progetto e da lì è cominciata la mia avventura nel continente. In breve tempo sono diventato General manager per quell’area e ho acquisito una conoscenza concreta e capillare dei territori e della cultura africana.
Quando nasce Sodimax?
Dopo aver lasciato Ignazio Messina, a marzo del 2005, ho fondato la Sodimax (Società di Massimo, ndr). È iniziata così la terza fase della mia vita lavorativa: lo spedizioniere. Grazie alla rete di contatti creata nelle mie precedenti esperienze, all’inizio il 99% del nostro business era legato all’Africa Occidentale.
Dal 2007 l’ingresso in società del gruppo assicurativo Cambiaso & Risso di Genova ha incrementato la nostra vocazione internazionale, permettendoci di essere ancor più presenti in tutti i continenti con agenzie facenti parte del loro network.
Nel 2020 abbiamo acquisito una parte della Sealog Steamship Agency, una società di Genova che si occupava di agenzia marittima e di spedizioni, inglobando 4 persone in più e cominciando ad aprirci anche ad altre destinazioni. Non più solo Africa, ma anche Medio Oriente, Far East e altre destinazioni del Nord Africa.
A febbraio 2021 siamo entrati in contatto con i fratelli Fagioli, della Fagioli SpA che, usciti anni prima dall’impresa di famiglia, avevano creato una società di nome SHL a Parma, che si occupava unicamente di project cargo per tutte le destinazioni del mondo. Abbiamo, quindi, pensato di unire le nostre realtà per poter offrire un servizio completo ai nostri clienti. Dalla fusione delle due società è nata la nuova Sodimax Srl, operante dal 1° giugno 2021, per offrire oltre ai servizi di forwarding anche la parte di project forwarding.
Quante sedi avete e qual è il fatturato aziendale?
Sodimax ha sede a Genova. Abbiamo un ufficio a Parma e nei prossimi mesi apriremo un ufficio a Campogalliano, in provincia di Modena, per la parte commerciale nella zona veneta. Per il 2022 chiuderemo con un fatturato di 11,5 milioni di euro.
Lo scorso anno, inoltre, abbiamo rilevato il ramo d’azienda di una società che fa trasporto aereo, che si chiamava Nas Martignoni, e abbiamo creato una nuova società: Martignoni Air Cargo, dove Sodimax ha il 70% di quota e dove lavorano due persone.
La Martignoni Air Cargo, operativa dal 1° aprile 2022, chiude questi 9 mesi con un fatturato di 1,5 milioni di euro, con un utile prima delle imposte di 100-120mila euro. Di questa società controlliamo la parte amministrativa e di business plan, pur lasciando alle persone che lavorano l’autonomia di operare a livello commerciale ed operativo. Oggi con Martignoni Air Cargo forniamo ai nostri clienti anche il servizio per la parte aerea, in modo da poter uscire sul mercato con tutto lo scibile dei trasporti.
Com’è strutturata l’azienda?
Ad oggi la società conta 18 dipendenti. Io sono il Ceo, Carlo Fagioli è il presidente e il terzo socio, Mauro Iguera, è un consigliere delegato. Il cda dell’azienda è composto da noi tre, il che rende tutto più snello e permette di condividere le idee e prendere le decisioni molto celermente.
Rispetto ai nostri competitor, offriamo ad alcuni clienti con cui lavoriamo costantemente un servizio supplementare, dedicando loro singole risorse che seguono l’attività dall’inizio alla fine. In questo modo abbiamo sempre il controllo sugli eventuali problemi che potrebbero sorgere e sappiamo quali sono le loro esigenze specifiche.
Cosa rappresenta l’Africa per voi?
Fin dall’inizio della mia carriera mi sono sempre occupato di Africa. Oggi il continente rappresenta circa un 35-40% del fatturato. Abbiamo, poi, una parte di Medio Oriente, anche quella abbastanza importante e il resto varia tra il Nord Africa e gli Stati uniti.
Noi abbiamo una forte presenza in Libia e in Egitto, cioè in tutti i paesi che necessitano di una maggiore preparazione e conoscenza. Il che dà valore aggiunto al servizio che offriamo ai nostri clienti. In Africa, in partnership con uno dei maggiori NVOCC per carichi Groupage, siamo presenti con una sede in Senegal e una in Costa d’Avorio. Queste due filiali si occupano prevalentemente di fare da nostri corrispondenti e sono specializzate nel servizio Groupage. La sede di Dakar fa capo a Sodimax Italia, mentre quella di Abidjan, che si chiama Central Shipping West Africa, è una partecipata di Sodimax Senegal.
Avete intenzione di aprire altre sedi in Africa?
Il prossimo step sarà creare qualcosa di simile in Ghana. È già stato programmato nei prossimi mesi un viaggio nel paese per comprendere meglio il mercato e capire con chi creare una partnership. Per questo tipo di operazioni, infatti, normalmente ci affidiamo a soci locali, anche per agevolare le attività di gestione.
Poi l’idea è di compiere la stessa operazione di studio in Africa Orientale – Kenya, Tanzania e Mozambico – e aprire anche lì delle sedi.
Quali opportunità ritiene ci siano per le imprese italiane in Africa e che approccio consiglia per coglierle?
Il mio approccio all’Africa è stato casuale. Grazie all’esperienza sul campo e alla conoscenza delle realtà locali è nata in me una forte passione sia per il continente sia per le persone. È stata la mia prima esperienza fuori dall’Italia e mi ha fatto crescere sia a livello umano che lavorativo.
Ho sempre ritenuto e penso tuttora che l’Africa sia una grande opportunità per le aziende italiane, che possono trovare occasioni di crescita in mercati che sono ancora poco conosciuti nel nostro Paese.
Lavorare in Africa significa andare in Africa. Non si può lavorare dall’Italia e mandare giù della merce. Bisogna andare in prima persona, capire la mentalità di ogni singolo paese. Perché è vero che l’Africa è un singolo continente, ma è composto da 54 paesi con 54 mentalità differenti ed è necessario conoscere le varie realtà locali. Se un’azienda decide di investire, come abbiamo fatto noi, è perché vuole essere presente e avere un approccio volto a capire la loro cultura, quali sono le esigenze reali del paese e come confrontarsi con le persone.
E le difficoltà? Ad esempio, come superate le criticità che si incontrano nella mancanza di infrastrutture, che hanno inevitabilmente riflessi sui trasporti e sulla logistica?
Sicuramente ci sono problemi, come la mancanza di strade, ma in realtà le criticità sono meno marcate di quanto si pensi stando dall’altra parte del mondo. Programmazione e partner giusti sono componenti essenziali per lavorare in queste aree.
In alcuni paesi ci sono società di trasporto che hanno camion affidabili, controlli satellitari dei mezzi, personale qualificato a fare operazioni relative allo svuotamento dei contenitori, alle consegne e al magazzinaggio stesso, come lo abbiamo noi nei magazzini a Dakar. Bisogna andare sul campo a vedere, capire le problematiche. È una ricerca che va fatta in maniera capillare, cercando le persone giuste alle quali potersi affidare per una collaborazione proficua ed efficace. Può capitare, inoltre, che nella stagione delle piogge non si possa spedire la merce in un determinato paese. Il lavoro va quindi programmato in funzione del fatto che la merce arrivi prima o dopo la stagione delle piogge.
Chi vuole lavorare in Africa deve essere consapevole che dovrà investire tempo, senza credere di poter andare lì facendo una “toccata e fuga”. È necessario uno studio e una buona capacità di programmare le spedizioni e l’approvvigionamento.
È vero esiste la concorrenza cinese, dei turchi in particolar modo, che stanno penetrando in maniera aggressiva nei vari mercati, offrendo servizi e merci di qualità inferiore alla nostra, ma che si pongono a metà tra quella cinese e italiana. La Turchia sta aprendo consolati e ambasciate in tutti i paesi dell’Africa, ma anche in paesi piccoli come il Togo o il Benin che hanno mercati irrisori. Il loro governo le sta aiutando ad insediarsi in loco e questa strategia sta facendo ottenere loro molti successi.
Dal 1° gennaio 2021 è entrata in vigore l’African Continental Free Trade Area, che riunirà l’intero Continente in un’unica area di libero commercio. Quali riflessi osserva sulla logistica e nei trasporti?
Con il progressivo avanzamento dell’AfCFTA si assisterà ad un aumento dell’interscambio tra i paesi africani. Vedo già alcuni clienti che dal Senegal stanno cominciando a spedire merci in paesi confinanti con meno difficoltà.
A livello di logistica e trasporti bisognerà vedere come si adatteranno le compagnie di navigazione e le compagnie aeree per il trasferimento della merce da un paese all’altro, perché ad oggi tanti collegamenti sono complicati. Ad esempio, non ci sono navi che fanno certi porti in diretta. Pertanto molte compagnie marittime imbarcano in un paese, portano la merce in Europa e la trasbordano su un’altra nave che va a servire un altro paese, con lunghi tempi di transit time e di costi.
Bisognerà capire come verrà adattato il servizio marittimo e aereo in base alle esigenze che si creeranno nelle varie offerte di trasporto e di richieste fatte dagli importatori/esportatori.
L’accordo però non è ancora stato applicato uniformemente in tutti i paesi dell’area. Un mio cliente senegalese, che spedisce in alcuni paesi, mi ha detto che le tasse doganali vengono applicate come se questo accordo non esistesse. Tuttavia i segnali sono forti e visibili, si stanno cominciando a costruire strade e a pensare di fare la trans-africana. Sicuramente il percorso sarà lungo, ma tutto fa pensare che da qui a qualche anno sarà molto più semplice collegare i vari paesi, sia a livello stradale che a livello marittimo.
Che ruolo giocherà la digitalizzazione per lo sviluppo del settore del trasporto e della logistica in Africa?
Gli effetti della digitalizzazione sono di intensità diversa a seconda dei paesi. Ce ne sono alcuni molto più avanzati di altri, ma siamo comunque in una fase iniziale rispetto ai livelli europei, anche se sono stati fatti molti passi in avanti.
Ad esempio, noi facciamo un traffico regolare che va su e giù per il Mali e tutti i camion sono forniti di sistema satellitare per poter essere reperiti in qualsiasi momento. Il magazzino che abbiamo a Dakar è gestito in maniera digitale: sappiamo dove è posizionata la merce, quando esce e quando entra. Questo offre sicuramente un vantaggio rispetto ai vecchi sistemi manuali.
Sicuramente l’avanzamento della digitalizzazione darà loro la possibilità di gestire meglio l’attività di magazzinaggio, trasporti e controllo della qualità della merce.
Quali sono stati gli effetti del blocco dei trasporti verso l’Africa causati dalla pandemia?
L’incidenza del Covid-19 in Africa è stata meno marcata rispetto all’Europa. La risposta è stata migliore, anche grazie anche al fatto che l’età media della popolazione è molto bassa.
L’Africa si è trovata, in realtà, in mezzo ad un blocco europeo che ne ha minato i sistemi di approvvigionamento. Da noi c’è stato il blocco della produzione, ma loro hanno continuato a comprare. Per cui hanno sofferto più dalla parte dell’approvvigionamento che sul discorso locale. Navi e aerei hanno continuato a viaggiare ma in misura minore, perché non c’era la possibilità di riempirle o di avere la merce sufficiente per poter viaggiare.
Quanto è importante l’aggiornamento professionale e normativo?
È fondamentale informarsi continuamente sulle novità normative, fare corsi di aggiornamento, farsi mandare dai paesi in cui si lavora le regolamentazioni e gli aggiornamenti delle stesse.
Bisogna sapere se nei paesi in cui si opera ci sono problemi e/o divieti. Ogni paese ha le sue regole, i suoi dazi doganali, le sue tasse. Un problema evidente è sicuramente la mancanza di collegamento tra le nostre dogane e quelle africane e ciò crea problemi, perché spesso manca la corrispondenza dei codici doganali. Ma sicuramente, con il perfezionarsi dell’Accordo di libero scambio e il conseguente codice doganale, le norme andranno ad uniformarsi.
(Prossima uscita: 3 febbraio)
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Meghini: (Metalmont): “L’Africa è ricca di opportunità”
Cesarini (Aviogei): “La nostra presenza in Africa è capillare”