La lenta ripresa delle Pmi italiane, che stavano recuperando il terreno perso con la recessione del 2009, si stava arrestando ben prima del Covid-19, un terremoto economico per la nostra economia. La natalità delle Pmi ferma e le stime per i bilanci del 2019 indicano che i tassi di crescita dei ricavi si sono più che dimezzati. Non solo: peggiorano anche le abitudini di pagamento e risale la curva dei fallimenti. La pandemia avrà un impatto senza precedenti sui conti delle Pmi, con ricadute molto pesanti sul tessuto produttivo.
Per fronteggiare la situazione non esiste un’unica ricetta: è necessario, da un lato, garantire tempestivamente risorse finanziarie alle imprese che potrebbero entrare in crisi e, dall’altro, agganciare una ripresa solida, che consenta loro di ripagare i debiti accumulati. A tale scopo occorre sostenere i processi di investimento, riorganizzazione produttiva e occupazionale, soprattutto per quanto riguarda le Pmi, che sono più esposte al rischio chiusura e quindi alle perdite occupazionali, in particolare nel Mezzogiorno.
È questo, in estrema sintesi, il quadro dipinto dal “Rapporto Regionale PMI 2020”, realizzato da Confindustria e Cerved, con la collaborazione di SRM – Studi e Ricerche per il Mezzogiorno.
Diversa rispetto agli anni passati la struttura: niente più ripartizione tra Mezzogiorno e Centro-Nord, ma un unico volume in cui sono confrontati i dati di bilancio delle Pmi di capitali di tutte le macroaree (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro e Mezzogiorno) e delle 20 regioni amministrative.
Inoltre, a partire dalla distribuzione settoriale e territoriale delle attività sospese con il lockdown, si propone una valutazione territoriale dell’impatto economico della pandemia che, prescindendo dalle sole Pmi di capitali, considera il totale delle imprese. Una struttura nuova e più ricca, dunque, ma con gli stessi obiettivi delle scorse edizioni: conoscere meglio la realtà produttiva dell’Italia nel suo insieme e nelle sue articolazioni territoriali, analizzare da un punto di vista quantitativo e qualitativo i fenomeni economici per migliorare la capacità di proposta, favorire l’adozione di policy mirate.
Con oltre 93mila Pmi (53mila nel Nord-Ovest e 40mila nel Nord-Est), il Nord è l’area con la maggiore concentrazione, ma sono particolarmente presenti anche nel Centro Italia (32mila società) e al Sud (31mila unità). Questo aggregato produce un valore aggiunto pari a 224 miliardi di euro: il 39% è prodotto da Pmi con sede nel Nord-Ovest, il 28% da società del Nord-Est, il 18% da imprese dell’Italia centrale e il restante 15% da piccole e medie imprese meridionali.
I dati di consuntivo mostrano che già nel 2018 la ripresa delle Pmi, che durava dal 2013, aveva perso slancio in tutta il Paese. Nel 2018-19 la crescita era rallentata e la redditività era tornata a diminuire. Ciò non aveva, però, intaccato il rafforzamento della struttura finanziaria, che vede le Pmi con pochi debiti in bilancio e con un basso peso degli oneri finanziari. Nonostante ciò, la maggiore solidità finanziaria non sarà sufficiente per molte delle Pmi a reggere l’urto degli effetti economici del Covid-19, che potrebbe trasformarsi in una recessione lunga e con conseguenze sociali difficilmente sostenibili nel caso di fallimenti in massa e di perdita di capacità produttiva.
Le analisi fanno presagire che al termine dell’emergenza la forbice tra le imprese settentrionali e quelle meridionali sia destinata ad aumentare: inizialmente quelle del Centro-Sud risentiranno meno della caduta dei ricavi nel 2020, grazie a una maggiore specializzazione in settori anticiclici o essenziali; d’altra parte, però, i fondamentali più fragili le rendono più a rischio di fronte a shock di forte intensità.
L’emergenza sanitaria potrebbe produrre effetti maggiori sui conti economici delle Pmi che operano nel Nord, ma lasciare ferite più profonde al Sud, in termini di struttura finanziaria e di capacità di rimanere sul mercato.
Su questo si concentra il Rapporto: più di 1/3 delle 156mila società analizzate (60mila unità secondo lo scenario base e 70mila in caso di una nuova ondata di contagi dopo l’estate) potrebbero entrare in crisi di liquidità nel corso del 2020 per effetto del Covid-19: sarebbero necessari tra i 25 e i 37 miliardi di euro per superare questa fase, evitando costi sociali molto importanti, con 1,8 milioni di lavoratori impiegati nelle Pmi con potenziali problemi di liquidità.
Si stima inoltre una contrazione del fatturato del 12,8% nel 2020, che si tradurrà nel complesso in una perdita di 227 miliardi di fatturato nel biennio 2020-21 rispetto a uno scenario tendenziale di lenta crescita delle vendite. In uno scenario pessimistico, in caso di nuove ondate del Covid-19, il calo dei ricavi è stimato a -18,1% per l’anno in corso (+16,5% nel 2021), con minori ricavi che sfioreranno i 300 miliardi di euro per le Pmi analizzate nel biennio di previsione.
L’impatto del Covid-19 sui sistemi territoriali di Pmi dipenderà molto dalla specializzazione settoriale: le previsioni sono di shock maggiori per i settori più penalizzati dalle norme sul distanziamento sociale, dalla riduzione della mobilità e dagli effetti sul commercio internazionale. Il Covid-19 rappresenta una scossa senza precedenti per le Pmi italiane e potrebbe portare a una lunga recessione. L’esito dipenderà sia dall’efficacia delle misure di breve termine con cui il governo è intervenuto durante l’emergenza, sia da quelle con un orizzonte più lungo, mirate ad agganciare una ripresa solida.