
Turchia. Un paese che spesso suscita impressioni diametralmente opposte tra chi lo vive tutti i giorni dall’interno e quelli che si sono fatti un’idea affidandosi solo al sentito dire. Un gap amplissimo che Gino Costa continua a cercare di rendere meno pronunciato, aiutando le imprese italiane prima a pianificare un’esperienza commerciale e poi ad allargare il proprio raggio d’azione mettendo radici sul territorio turco. “È proprio questa una delle sfide maggiori – conferma Costa, Country Advisor di Invest in Turkey –. Provare a convincere delle potenzialità di questa parte di mondo pure le aziende che magari hanno remore derivanti da fatti extra commerciali. La percezione che hanno gli imprenditori operanti in Turchia è tutt’altra: a noi tocca il compito di offrire alle imprese interessate dati in grado di far comprendere la solidità del mercato turco”.
Un mondo in parte ancora tutto da scoprire, che ha i propri punti di forza in due aspetti da tenere ben presenti dagli interessati a fare il grande salto commerciale verso questo paese geograficamente unico al mondo, diviso tra Europa ed Asia. “Per prima cosa la Turchia può offrire un personale estremamente qualificato, mentre l’altro elemento importante da considerare è la marcata flessibilità del sistema, da sempre abituato a forti ciclicità – spiega Costa –. Se è vero che c’è sempre da tenere sotto controllo come fonte di rischio la fluttuazione della valuta, considerato che al momento l’inflazione varia tra il 15 e il 20%, affidandosi ad un direttore finanziario turco di buona esperienza si potranno trasformare le incognite in opportunità. E nei miei molti anni alla guida di aziende in Turchia ho potuto constatare di persona quanto siano bravi a navigare nel mare delle grandi inflazioni e, di conseguenza, di svalutazioni violente”.
Instabilità, per quanto “controllata”, che ha finito per pesare nell’anno appena trascorso sull’arretramento di due posti (dal terzo al quinto) dell’Italia nella classifica delle nazioni che più importano dalla Turchia. “Sì, nel 2020 abbiamo assistito ad un calo dei nostri acquisti, un decremento dovuto in larga parte alla svalutazione della lira turca. Di contro, però, l’Italia nello stesso periodo è risultato il paese che ha più investito in questi territori con 977 milioni di euro, dato che fa comprendere quanto sia forte il legame commerciale. Rafforzato da un paio d’anni dall’elezione di un presidente di origine italiana alla guida della Confindustria turca”.
Link storicamente saldo – vista la presenza ormai quasi millenaria degli italiani in Turchia – che può essere sfruttato pure dalle Pmi, comunque già presenti in alcuni settori economici. “Ce ne sono in molti campi, anche nei maggiormente innovativi come quelli legati alla digitalizzazione e per loro c’è sicuramente spazio – sottolinea Costa –. Ovviamente, quando si muovono, non hanno la stessa potenza di fuoco dei grandi gruppi, ma possono lo stesso contare sull’appoggio di uffici istituzionali nell’individuazione di eventuali partner o di siti in cui istallarsi, come anche nell’accompagnamento burocratico alla ricerca dei diversi incentivi statali dedicati alle aziende straniere che decidono di investire”.
Nel frattempo, nel corso del webinar organizzato nel gennaio scorso da Confindustria ed Invest in Turkey, si è parlato in particolare di energie rinnovabili e dell’ICT (Information and Communications Technology) applicato ai macchinari. Giornata a cui Gino Costa ha partecipato da qualificato relatore. “Il nostro ruolo, come ufficio investimenti è quello di aiutare a far aumentare i flussi commerciali in direzione della Turchia, magari indirizzandoli verso aree di priorità. Lavoro che a me viene piuttosto facile in considerazione degli undici anni passati alla guida di imprese in quel territorio. Ho infatti sperimentato sulla mia pelle i vantaggi di essere radicati in regioni in cui, soprattutto negli ultimi tempi, le infrastrutture fisiche, ma anche quelle digitali si sono molto sviluppate”.
Miglioramenti complessivi che pare abbiano soddisfatto ancor più le nostre aziende operanti sul suolo turco, come viene fuori dal sondaggio commissionato nel 2019 da CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale) all’istituto Ixè. Questionario a cui hanno risposto 78 nostre imprese – sulle 560 presenti in Turchia –, la maggioranza delle quali produce direttamente in loco e si occupa principalmente di automotive, servizi ed edilizia. “Per l’85% delle aziende intervistate il mercato turco è solido e anche sicuro. In più, per molte di queste, investire nel paese offre la possibilità di avere un hub affidabile, un ponte privilegiato verso le nazioni confinanti”, conclude Costa.