L’allarme del presidente di Confindustria Serbia, Patrizio Dei Tos: “Senza aiuto del governo serbo rischiamo di perdere le aziende. A seguito delle disposizioni del governo italiano le nostre aziende in patria sono chiuse, non ricevono materiali, non producono, non spediscono. Tutto ciò porta ad un inevitabile rallentamento delle corrispondenti in Serbia, fino all’inevitabile chiusura”.
La benzina sta per finire: ancora una settimana, per fare un po’ di scorte di magazzino e consumare le materie prime, poi i motori delle imprese italiane insediate in Serbia rischiano di doversi spegnere. “Siamo davvero molto preoccupati – insiste Patrizio Dei Tos –, non siamo in grado di resistere ancora a lungo. Le nostre consociate sono molto preoccupate: gran parte dei beni che producono, direi un buon 80-90% viene esportato nei paesi dell’Unione europea, che però ha chiuso o sta chiudendo le produzioni. Noi potremmo produrre, ma le merci non potranno essere consegnate e quindi, una volta riempiti i magazzini di stoccaggio, saremo costretti a chiudere”.
Confindustria Serbia associa circa 170 imprese italiane, molte grandi e labour intensive come Benetton, che impiegano circa 30mila addetti e rappresentano un importante zoccolo duro di investimenti nel paese, in diversi settori produttivi, dall’Information technology alle calzature, dalla meccanica al legno (come l’azienda del presidente), dall’alimentare al tessile. “Germania e Italia rappresentano gran parte degli investimenti esteri in Serbia – spiega Dei Tos –, il governo ci ha dato una mano ad insediare qui le nostre attività”.
Ed è proprio su un nuovo impegno del governo che il presidente conta per poter resistere: “In Serbia non esistono gli ammortizzatori sociali come in Italia – spiega –. Come possiamo mantenere l’occupazione senza una rete di protezione pubblica? Per una settimana ancora riusciremo a tenere aperto. Poi possiamo utilizzare le ferie ma se l’emergenza, come sembra ormai probabile, continua dopo il 3 aprile, rischiamo di dover alzare bandiera bianca”.
Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si è mosso con grande tempestività – e durezza – per fronteggiare l’emergenza del coronavirus ed evitare che il contagio si diffonda in un paese dove la sanità pubblica si troverebbe in forte difficoltà. Ha dichiarato il coprifuoco dalle 17 alle 5 di mattina, con multe draconiane in caso di violazione e chiuso le frontiere per le persone. Solo i residenti serbi possono rientrare rispettando 28 giorni di quarantena. Una strategia che al momento ha limitato i casi di positività a meno di 400.
Le merci, invece, possono passare, in particolare i prodotti alimentari e i sanitari, grazie ai “green corridors” istituiti dalla Commissione europea. Anche le altre tipologie, in teoria, circolano, ma le frontiere dell’Unione europea, comprese quelle interne, sono difficoltose. Senza contare i problemi alle dogane, il timore di entrare in contatto con gli autisti dei Tir, le lungaggini burocratiche.
“Nella conference call che abbiamo fatto con tutti i presidenti delle Confindustrie dell’Est Europa – continua il presidente – abbiamo lamentato tutti la stessa difficoltà: lavoriamo per il mercato europeo, con le frontiere quasi chiuse non siamo in grado né di spedire né di ricevere merci per rifornire le nostre filiere. Ma se fermiamo il ciclo produttivo sarà un disastro. Come potremo pagare i dipendenti? E il resto dei costi?”.
Da qui la pressante richiesta al governo serbo di mettere in atto misure che aiutino le imprese straniere a resistere ora, per poter poi riprendere a produrre non appena si tornerà alla normalità. “Anche l’impossibilità di rientrare in Serbia ai non residenti ci mette in grande difficoltà, rendendo pressoché impossibile la mobilità dei manager – aggiunge Dei Tos –. Chi rientra in Italia deve chiudersi in auto-quarantena fiduciaria per due settimane e, ad oggi, non può più rientrare in Serbia”.
Un altro problema sottolineato dal presidente Dei Tos è quello degli obblighi contrattuali: “Le nostre aziende non sono più nelle condizioni di rispettare gli obblighi contrattuali in relazione alla consegna delle forniture. Penso per esempio alle tempistiche dell’automotive, di Fca e Mercedes: il ministero dello Sviluppo economico ha incaricato le Camere di Commercio di fornire i certificati di causa di forza maggiore da poter esibire: ci auguriamo che vengano riconosciuti”.