
Come è percepito un brand e quali pensieri e azioni genera un marchio nella mente delle persone? È una delle domande – per nulla banali – cui da anni risponde la classifica Global RepTrak 100, graduatoria che identifica le migliori aziende al mondo attraverso una serie di parametri ben identificati, considerata dagli addetti ai lavori – marketers e comunicatori – una sorta di “Bibbia della competitività”.
A guidare l’analisi è il Reputation Score, un punteggio che sintetizza la percezione del pubblico in relazione a fattori legati in primis alle credenziali ambientali, sociali e di governance (Esg) dell’azienda. I risultati dell’ultima edizione dello studio, chiusa a marzo, focalizzano i fattori di successo di alcune delle imprese più performanti sul mercato e aprono a una riflessione profonda sulle traiettorie di sviluppo per i brand nei mesi che ci attendono. Driver chiave non solo per realtà strutturate, come la maggior parte di quelle coinvolte nella “competizione”, ma anche per le Pmi.
L’elenco si basa sui dati raccolti da 230mila valutazioni in 14 economie globali e proviene da sondaggi online, contenuti media e fonti terze. Non si limita a focalizzare la qualità del prodotto o servizio che l’azienda offre, ma si concentra sul come lo offre e sul cosiddetto “why”: il “perché” che guida ogni scelta aziendale. È finita da tempo l’epoca in cui le aziende dovevano solo fornire un bene di qualità a un prezzo adeguato: oggi è d’obbligo dimostrare che lo stanno facendo in modo etico e rispettoso della società e dell’ambiente. Perché senza un approccio responsabile, non si va lontano.
Non tutti possono entrare nel radar del Global RepTrak 100: per essere prese in esame le aziende devono rispondere a precisi requisiti, ovvero un fatturato globale di oltre due miliardi di dollari, una soglia di familiarità media globale superiore al 20% in tutti i 14 paesi misurati, un punteggio di reputazione qualificante sopra la media fissata a 67,3 punti.
Sul podio ancora una volta è la danese Lego, già premiata in passato e quarto marchio più apprezzato dai millennials, quinto dai baby boomer. Seconda la tedesca The Bosch Group e terza l’inglese Rolls-Royce. Seguono in ordine, dal quarto al decimo posto: Harley-Davidson, Canon, Rolex, Miele, Sony, Nintendo e Mercedes-Benz. In classifica anche Walt Disney Company, al 37° posto, e Mattel al 61° esimo. E poi ci sono le italiane, sette per la precisione, legate ai settori food, moda e motori. Prima tra tutte, al posto numero 13, la casa del cavallino rampante: la Ferrari è l’unico marchio italiano nella top list delle persone nate tra il 1965 e il 1980. Al 15° posto ecco Pirelli, tra le aziende più cresciute sotto l’aspetto della reputazione negli ultimi anni, con maggiore apprezzamento riservato dagli over 65, e in ambito food, al 30° posto, Ferrero, seguita da Barilla al gradino 33 e da Lavazza al 44. E come non assegnare un posto a un’eccellenza della moda, icona senza tempo, riconosciuta per stile in tutto il mondo come Giorgio Armani? Per lui il 47° posto, mentre al 99° c’è Prada.
Tutti marchi noti, certo: niente realtà “minori”. Ma chi da anni cura la classifica assicura: gli asset per eccellere valgono per la multinazionale come per la piccola impresa di provincia e il focus, per tutti, ha un comune denominatore: la responsabilità sociale di impresa. Un termine oggi più che utilizzato, che reca benefici alle imprese solo quando porta con sé azioni concrete e coerenti: al consumatore attento, infatti, non sfuggono cadute di stile e le “operazioni di facciata” non pagano. Senza contare che i competitor sono spesso pronti a cogliere ogni scostamento tra le promesse e le effettive attività e non tardano a comunicarlo all’esterno per mettere in difficoltà il concorrente.
Il mondo sta cambiando e il percepito sui fattori Esg oggi è più importante che mai. Conta e conterà sempre di più “chi siamo” rispetto a “cosa vendiamo”.
(Articolo pubblicato sul numero di luglio dell’Imprenditore)