
In un precedente articolo pubblicato lo scorso giugno – Execution, gli errori da evitare nelle Pmi – scrivevo che il risultato delle imprese sarà ancora più legato alle capacità imprenditoriali. Particolarmente attivo in questo sforzo di miglioramento si pone il profilo dell’azienda guidata e non gestita, che è rappresentata da quell’impresa dove ogni collaboratore “spinge” la propria attività piuttosto che farsi “trainare”.
Come già anticipato, dividiamo la gestione aziendale in programmazione, esecuzione e controllo, sapendo bene che nell’ambito dello spirito latino e soprattutto italiano, la triade diventa un unicum: esecuzione. Avendo già dibattuto il tema della necessità della programmazione, fermiamoci ora sull’esecuzione, in quanto il controllo perde valenza quando la programmazione non viene realizzata.
Anche in questa ottica, la crescita deve essere sempre equilibrata tra l’enfasi economica e quella patrimoniale/finanziaria.
Fatte le necessarie astrazioni, l’impresa può essere rappresentata da un’automobile che deve possedere un serbatoio equilibrato al motore, una carrozzeria che non guasti alla vista, un pilota competente alla guida, il tutto coinvolto in un sistema di sicurezza. Così è l’azienda che, possedendo queste caratteristiche, ha un suo pilota per gestire il mezzo per raggiungere l’obiettivo con il minimo spreco di energia. Nell’impresa la gestione si misura con l’indice Irf (Indice di resistenza finanziaria) per la lettura patrimoniale/finanziaria e con il Roi (Return on investment) per l’analisi economica. Non è possibile ora trattare questi due fondamentali indicatori, ma è necessario tenerli presenti quando si deve valutare con attenzione il percorso da compiere.
Dopo l’analisi dell’ambiente esterno contrapposta alla lettura dell’azienda che evidenzia i punti di forza e di debolezza, definiti gli obiettivi e le strategie, è necessario che l’imprenditore abbia in mano due leve che gli permettano di raggiungere la massima ottimizzazione in tempo e in denaro. Queste sono: come risolvere i problemi (problem solving) e come prendere le decisioni (decision making). In merito a questi due fondamentali argomenti, sono stati scritti centinaia di volumi e articoli, proposti suggerimenti che prendono lo spunto da filosofie, esperienze, tradizioni e culture. Migliaia e migliaia di parole che si ripetono negli anni.
Come risolvere i problemi
Qual è il segreto dei bambini per imparare i vocaboli e per conoscere il mondo che li circonda? È risaputo che i bambini, particolarmente quelli molto piccoli, chiedono continuamente il perché di ogni cosa. Domandano continuamente “perché” e su queste informazioni costruiscono il loro primo sapere. Imparando dai bambini, uno dei metodi più semplici per risolvere i problemi è cercare il perché delle cose.
Una strategia di conoscenza si riassume in una semplice domanda: “perché è accaduto?”. Questa formula è poco utilizzata, mentre la domanda: “chi è stato’” fa sempre la parte del leone. La prima domanda cerca di risolvere la problematica ricercandone le cause; la seconda individua il soggetto di un’azione, ma il problema resta irrisolto.
L’esperienza insegna che se si sa rispondere a cinque “perché” concatenati tra loro si trova spesso la ragione del problema. Anche in questo caso non esiste una formula specifica di ordine scientifico, esiste l’esperienza della vita. Facciamo un esempio:
- Perché il magazzino non ruota?
- perché il prodotto alfa non si riesce a vendere
- Perché il prodotto alfa non si riesce a vendere?
- perché il packaging è superato e non attrae più il consumatore
- Perché il packaging è superato?
- perché il Pm (Product manager) che lo seguiva ha lasciato l’azienda
- Perché il Pm ha lasciato l’azienda?
- perché si era incrinato il clima aziendale
- Perché si era incrinato il clima aziendale?
- Perché… (e via, continuando così)
Proseguendo con questo sistema, la ragione perché il Pm ha lasciato l’azienda potrebbe far emergere più ampi problemi organizzativi oltre che di marketing. In sintesi, un problema di magazzino ha evidenziato difficoltà commerciali di struttura e di organizzazione. Esaminando il percorso si risolve, spesse volte, la difficoltà riscontrata.
Come prendere le decisioni
La conseguenza diretta del problem solving è la realizzazione della decisione. In ogni momento della nostra vita ognuno di noi è chiamato a gestire delle scelte, dalla più semplice alla più complessa. Come nella vita privata anche nella vita aziendale, ogni imprenditore, ogni manager deve o è costretto a prendere decisioni che, a secondo della portata e dell’importanza, si possono suddividere tra strategiche e operative. Le prime coinvolgono tutta l’azienda, le seconde sono più funzionali e di minore responsabilità.
Fatta questa doverosa premessa, il suggerimento per prendere le decisioni è molto antico e semplice. È necessario partire dal presupposto che ogni scelta porta sempre con sé valutazioni favorevoli e sfavorevoli: lati positivi e negativi.
Una seconda considerazione è che la decisione umana, per propria natura, non è libera da errori. In ogni azione l’individuo deve cercare di commettere il minor numero possibile di errori: come ci insegna la statistica la precisione assoluta non esiste. Più si conosce, più informazioni si hanno, meno errori si commettono.
Fatte queste considerazioni si segue quanto – riprendendolo dai tempi più antichi – ha delineato Benjamin Franklin (politico degli Stati Uniti e inventore del parafulmine) già nel 1781, rispondendo ad un amico che gli chiedeva come fare per prendere una giusta decisione: “Segna su un foglio i principali punti di forza e di debolezza del problema da risolvere”. Sulla base della numerosità e della importanza dei punti esposti, si evidenzia immediatamente la strada da prendere.
Un ulteriore miglioramento del metodo – chiamato anche dell’algebra prudenziale di Franklin – è quello di ponderare i punti che si analizzano. Nel primo caso si ragiona sulla numerosità, nel secondo caso si tiene conto anche dell’importanza.
Alcune conclusioni
Senza avere la pretesa di essere esaustivo, questo articolo, che si lega al precedente già citato, prosegue nel suggerire come migliorare l’efficienza aziendale. Ricorda inoltre che la ripresa, facile o difficile, secondo il settore e la dimensione, non può essere realizzata senza la conoscenza o cultura imprenditoriale come si desideri chiamarla.
Un monito che si rivolge sia alle imprese in difficoltà che a quelle di successo. Anche per queste ultime valgono i consigli, perché il gestire oggi un’azienda è un’arte difficile, che si allontana sempre più dagli schemi di tanti anni fa, dove in un mercato definito bastava produrre affinché le vendite fossero conseguenti e l’incasso immediato. La logica aziendale si è totalmente rovesciata: l’incasso diventa oggi la ragione principale della gestione. Se questo accade, allora venderò, produrrò e acquisterò.
Questa è solamente la punta dell’iceberg. L’imprenditore e il manager della Pmi conoscono la massa di ghiaccio che si è formata sotto il livello dell’acqua e che prende il nome di gestione aziendale?
(L’autore è componente del Comitato Scientifico Consultivo di Piccola Industria)