Apio nasce nel 2014 dalle brillanti menti di quattro giovanissimi studenti di ingegneria informatica (Alessandro Chelli, Lorenzo Di Berardino, Matteo Di Sabatino, Alex Benfaremo, ndr), che decidono di sfruttare le competenze acquisite nell’Internet of Things per metterle a servizio delle aziende attraverso una piattaforma sviluppata internamente. Sulla scorta delle esperienze legate alla tracciabilità e alla blockchain nel settore dell’energia, Apio ha sviluppato la piattaforma Trusty (www.trusty.id), dedicata alle imprese del settore agrifood, che utilizza diverse tecnologie blockchain tra cui anche uno dei network principali nel mercato agroalimentare, ovvero IBM Food Trust.
Nel 2020 Var Group è entrata nel capitale sociale di Apio. Nel 2021 Apio, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (Aics), ha potuto tracciare con la piattaforma blockchain Trusty la filiera del cacao e del cioccolato, importando alcune barrette prodotte in Costa d’Avorio e vendute in Italia dall’azienda italiana Domori. Ne parliamo con Alessandro Chelli (nella foto in alto), Ceo e cofondatore di Trusty.
Come è nata la vostra realtà?
Abbiamo deciso di dar vita a questo progetto sulla scorta della nostra profonda competenza della parte implementativa delle tecnologie innovative.
Quando è stata fondata Apio, eravamo giovanissimi e non avevamo alcun tipo di network. Ci siamo impegnati molto per affermarci, ma la vera svolta è arrivata nel settore dell’energia, quando abbiamo cominciato a lavorare con grandi gruppi, come Acea, A2A e Enel.
Da quel momento, abbiamo lavorato a progetti di maggior valore e, sempre sviluppando piattaforme di monitoraggio energetico, nel 2017 abbiamo avvicinato la tecnologia blockchain all’Internet of things. Utilizzata inizialmente nel campo energetico, questa tecnologia è stata applicata anche al settore alimentare.
La blockchain, infatti, abilita un sistema di tracciabilità democratico e universalmente accettabile, che permette ad ogni attore di verificare le informazioni (quando e da chi sono state dichiarate). Questo tipo di tracciabilità, nel settore agroalimentare, è di centrale importanza per garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo e per raggiungere la sicurezza alimentare.
Quali sono i tratti distintivi di Trusty rispetto ad altre piattaforme di blockchain?
Dal 2022 Trusty è una startup innovativa e società benefit, conta tre collaboratori ed ha un fatturato complessivo di 100mila euro, di cui il 20% è dedicato alla quota estero.
Il sistema di Trusty è racchiuso in un Qr-code apposto sull’etichetta dei prodotti. Scansionandolo con lo smartphone, chi sta acquistando ha accesso immediatamente a una pagina web pubblica, dove ottiene una serie di informazioni sulla filiera produttiva: dall’approvvigionamento alla distribuzione, dalle materie prime utilizzate alla data e al luogo di provenienza.
Molte aziende nel settore agroalimentare decidono di sviluppare progetti di digitalizzazione per aprire un canale di comunicazione nuovo con il consumatore. Trusty nasce proprio per dare risposta a questa esigenza, creando uno spazio digitale che abbatte le barriere tra produttore e consumatore, instaurando un rapporto di fiducia autentico e trasparente.
Quali altri obiettivi volete raggiungere con Trusty?
Gli obiettivi che ci siamo posti, soprattutto per i progetti attivi in Africa, prevedono non solo di eliminare le barriere tra produttore e consumatore, ma anche di valorizzare il più possibile le filiere produttive internazionali, che coinvolgono diversi paesi.
Abbiamo in essere progetti sperimentali in Kenya e Costa d’Avorio in cui, grazie alla blockchain, i piccoli produttori possono avere accesso al credito per promuovere le loro attività. Questo tipo di tecnologia, infatti, consente non solo di dare un’identità sicura e certificata al produttore, ma anche di digitalizzare alcune operazioni.
In Kenya stiamo lavorando con il sistema delle ricevute di magazzino, che servono come documenti reali di proprietà per merci o garanzie depositate in un magazzino autorizzato. Grazie al supporto di Trusty e all’interno di un consorzio europeo (Digilogic), Radava Mercatile, un player keniota attivo nel mercato dello scambio di materie prime, ha avviato l’integrazione della tecnologia blockchain di Trusty nel sistema delle ricevute di magazzino per aumentare la trasparenza ed autenticare le transazioni sulla piattaforma.
Tutto ciò consente ai piccoli agricoltori di partecipare ad un marketplace moderno ed efficiente, agevolando il contatto con i grandi commercianti e incoraggiando a un’apertura verso investitori e mercati internazionali.
Vorremmo replicare gli stessi risultati anche in Costa d’Avorio.
In generale come nasce l’interesse per l’Africa?
La nostra avventura nel continente africano nasce con la partecipazione ai bandi profit dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo per l’applicazione della tecnologia blockchain alla filiera del cioccolato.
Il progetto “Fair & Trusty Trade”, co-finanziato da Aics, è partito nel 2021 in partnership con il Gruppo Abele, che in Costa d’Avorio porta avanti Atelier Choco+, il primo laboratorio di trasformazione del cacao 100% ivoriano e 100% equo e solidale.
Tramite la blockchain abbiamo tracciato la storia del cioccolato di alcune barrette prodotte in Costa d’Avorio e importate e vendute in Italia dall’azienda italiana Domori.
Grazie al progetto, oggi i consumatori possono scoprire in maniera del tutto trasparente i passaggi di tracciabilità e le realtà che hanno contributo alla realizzazione del prodotto attraverso un QR Code presente sul packaging. Non solo, il progetto ha avviato una partnership tra Yosran, una cooperativa ivoriana biologica, e Domori.
Blockchain, ma anche sostenibilità. Qual è il valore aggiunto per l’Africa e per l’industria italiana?
Il valore aggiunto risiede nel rendere verificabili le informazioni. Il tema della sostenibilità è legato a doppio filo alla blockchain. Nell’ultimo periodo sono state intentate molte cause verso aziende accusate di greenwashing, che hanno ricevuto multe per commercio sleale, in quanto le informazioni che fornivano non potevano essere verificate. Grazie alla blockchain è possibile rendere dimostrabile un claim tramite la raccolta di informazioni e dichiarazioni che possono essere condivise con marca temporale.
La blockchain rientra, inoltre, tra le tecnologie che possono dare un contributo alla lotta al fenomeno della deforestazione. Questa soluzione, nata per aumentare la trasparenza nelle operazioni business-to-business, può far luce sulla provenienza dei prodotti, al fine di evitare approvvigionamenti da zone a rischio disboscamento illegale.
Per combattere il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, il Parlamento europeo chiede alle aziende di garantire che i prodotti venduti nell’Ue non provengano da terreni deforestati o degradati. La nuova normativa europea, che entrerà in vigore tra pochi mesi, prevede che tutti i prodotti importati nell’Unione – dal cacao al caffè fino all’olio di palma e alla carta – debbano essere “deforestation free”.
La blockchain garantisce una supply chain più tracciabile e trasparente del lotto che si importa, partendo dalla provenienza fino a risalire a tutti i partner che hanno permesso di raccogliere quel lotto.
Perché un’azienda dell’agro-food dovrebbe investire in tecnologia blockchain?
Uno dei motivi principali è per evitare contestazioni. Il mercato, infatti, si sta dirigendo sempre di più verso la promozione di prodotti sostenibili, che presentano una serie di qualità e caratteristiche specifiche. Questa promozione tante volte spinge anche attori poco onesti a fare una serie di dichiarazioni non del tutto veritiere.
La blockchain garantisce la tracciabilità delle informazioni, permettendo di riconoscere in modo universale quando e da chi sono state dichiarate. Una filiera trasparente e completamente tracciata risulta essere un valore aggiunto, riconosciuto dal consumatore sempre più consapevole. In contesti come quello africano questo permette non solo di supportare la sostenibilità della filiera, ma anche di dimostrare informazioni di carattere etico. In questo modo viene valorizzato il lavoro dei produttori dei paesi di esportazione, che dichiarano e confermano l’informazione.
Per le Pmi italiane del settore agroalimentare scegliere una tecnologia blockchain può trasformarsi in un vantaggio competitivo, perché rafforzare l’identità del brand aiuta il consumatore a scegliere consapevolmente il prodotto di quel marchio.
Quali difficoltà avete riscontrato in questo percorso nei paesi africani?
Le difficoltà principali sono state le condizioni critiche di lavoro. Siamo arrivati in Costa d’Avorio con un’idea di condivisione delle informazioni impraticabile. Pensavamo di dotare i partner di applicazioni, di avere una connettività migliore e di trovare anche una conoscenza diversa rispetto ai temi di tracciabilità. Ci siamo trovati di fronte un muro, dove, da una parte l’impresa europea richiedeva una serie di informazioni e dall’altra c’era la cooperativa che, non avendo strutture digitali, rispondeva alle richieste di esportatori e aziende mettendo in ordine documenti e carte.
Per superare questa impasse abbiamo lavorato direttamente sul territorio. Per sei mesi una nostra collaboratrice ha lavorato fianco a fianco con i partner e ha anche affinato il metodo di ingaggio, training e raccolta delle informazioni.
Oggi, dopo aver aggiornato tecnologie e processi, riusciamo in poche settimane a formare persone sul territorio e queste ultime possono formare le cooperative e renderle operative in pochi giorni. Stiamo anche creando una rete di partner per accelerare ancora di più questo processo.
Per il futuro avete in mente anche altri mercati?
Principalmente il piano è sfruttare il più possibile il tema della normativa sulla deforestazione, che è sicuramente un viatico per entrare in situazioni che attualmente non sono presidiate. L’altra è continuare a sperimentare tutti i mezzi per dare accesso al credito a questi produttori.
Come ho detto precedentemente, stiamo lavorando con il sistema delle ricevute di magazzino in Kenya, collaborando con una società che si chiama Radava, all’interno del consorzio Digilogic. In progetto ci sono anche altre strategie che intersecano tecnologie innovative e progetti di sviluppo sostenibile, come il mercato volontario dei crediti di carbonio.
Quali sono le opportunità in queste aree per il vostro settore?
L’Africa oggi è il continente perfetto per creare nuovi modelli di business. I produttori di materie prime in Africa oggi soffrono una marea di ingiustizie. Riteniamo che la trasparenza sia lo strumento attraverso il quale valorizzare il loro lavoro.
Vediamo grandissime opportunità da poter sviluppare in quanto i produttori e le aziende fanno largo uso di sistemi di messaggistica istantanea, come WhatsApp o Telegram. Una tecnologia come la blockchain, se applicata in un contesto come quello africano e modellato sulle esigenze degli agricoltori (smallholder farmers), permette di costruire nuovi modelli di sviluppo etico e sostenibile in linea con gli obiettivi dell’Onu.
(Prossima uscita: 17 marzo)
Articoli precedenti:
Meghini (Metalmont): “L’Africa è ricca di opportunità”
Cesarini (Aviogei): “La nostra presenza in Africa è capillare”
Dal Pozzo (Sodimax): “Lavorare in Africa significa andare in Africa”
Martini (Studio Martini Ingegneria): “In Africa e Medio Oriente il mercato c’è”
D’Alessandro (Eemaxx Innovation): “In Africa l’Italia sia paese capofila per l’energia”