Il mercato dei servizi è oggi troppo contratto e appesantito dalle procedure, ma con notevoli potenzialità inespresse, contraddistinto da una competizione che si gioca ancora troppo sul costo del lavoro, con processi di liberalizzazione bloccati da una “lobby pubblica” attenta a non modificare gli assetti esistenti. Al contempo sono forti i progressi compiuti negli ultimi anni sul piano della trasparenza, dell’innovazione tecnologica e della reputazione.
Dalle norme contenute nel Jobs Act ci si aspetta benefici effetti sull’occupazione: il 40% delle imprese prevede nuove assunzioni.
È questo lo scenario che emerge dallo studio Censis-Fise “Il Valore del Servizio – Concorrenza e trasparenza nel mercato dei servizi”, presentato recentemente a Roma, che illustra il punto di vista degli operatori del settore su tematiche di stretta attualità, quali concorrenza, trasparenza, appalti e occupazione.
“A fronte di una non indifferente crescita del valore economico dei servizi, della massiccia modernizzazione del settore e della costante qualificazione delle imprese”, si legge nello studio, “non si intravede nel paese e nelle istituzioni quel salto culturale che permetta di considerare i servizi come una componente essenziale per la crescita, un mercato che merita una politica industriale come gli altri”.
“Una maggiore cultura aziendale nel settore dei servizi”, evidenzia il presidente del Censis Giuseppe De Rita, che ha seguito personalmente i diversi step della ricerca “farà traino per la ripresa e da esempio nel miglioramento della trasparenza”. Diversi i temi approfonditi dall’analisi.
Concorrenza
Quando si parla di concorrenza e dei problemi ad essa connessi, oltre un terzo delle aziende (il 36%) non ha esitazioni nel dire che il vero problema riguarda l’esasperata competizione sul solo costo del lavoro; altre criticità, come l’estensione incontrollata dei monopoli legali in ambiti di mercato (16,8%) o la farraginosità delle procedure (13%), sono sì importanti, ma non così determinanti.
L’85,3% del campione ritiene che il processo di liberalizzazione dei mercati sia bloccato o fortemente condizionato da lobby pubbliche che cercano di mantenere gli attuali equilibri.
Tale chiusura del mercato in favore del cosiddetto in house è giudicata dal 70% del campione inaccettabile, anche se solo la metà di questi pensa che sia aumentata negli ultimi 10 anni.
Eppure, anche in presenza dei fenomeni descritti e della perdurante situazione di crisi, il 36,2% ritiene che negli ultimi 2-3 anni si siano aperti per il proprio settore dei nuovi spazi di mercato. Un dato decisamente positivo.
Per il raggiungimento di un mercato più dinamico le complesse procedure amministrative (da snellire) restano il principale ostacolo per il 50,3% delle imprese di servizi; significativo il fatto che meno del 20% creda invece che sia necessario un incentivo diretto al lavoro. Se ne deduce che, a giudizio delle imprese, il mercato ci sia, ma è bloccato in un recinto normativo da cui le risorse non riescono ad uscire.
Occupazione
Malgrado un mercato non pienamente dinamico, le previsioni sull’occupazione sembrano positive; più del 40% dei responsabili delle imprese ritiene che il Jobs Act avrà effetti benefici sull’occupazione, generando un aumento delle assunzioni.
Prospettive per le Pmi
Nel settore dei servizi gli scenari futuri per le piccole imprese, invece, sembrano essere assai complicati; per il 37,2% del campione infatti le PMI sono spinte fuori dal mercato dalle grandi imprese, per il 10,4% dalle imprese pubbliche e parapubbliche, mentre solo poco più del 10% ritiene che per le piccole imprese non ci siano particolari preclusioni.
Più sfumato invece il giudizio sulle aziende ex monopoliste; solo il 32,1% le ritiene elemento inaccettabile nel mercato, mentre il 29,1% pensa che non ostacolino poi così tanto il mercato, il 35,2% pensa che siano nocive solo per alcune attività, evidentemente non quelle che li riguardano.
Gare d’appalto
La maggior parte degli intervistati ritiene che rispetto a 10 anni fa le gare di appalto siano più corrette (52,1%). Resta però maggiore diffidenza per quel che riguarda l’intera procedura di affidamento: solo il 44,8% ritiene che negli ultimi 10 anni la trasparenza sia aumentata, un dato che si spiega col fatto che le insidie maggiori sembrano annidarsi, o almeno questa è l’opinione degli imprenditori, più nelle pieghe delle decisioni collaterali all’affidamento, che non nella gara vera e propria. Altro tema di forte interesse per le aziende di servizi sono le gare al massimo ribasso. Un disagio che traspare fortemente nelle risposte date dalle imprese: l’82,3% ritiene che esse penalizzino la qualità e gli investimenti; una situazione non sostenibile, visto che solo il 7,3% pensa che ormai tutti abbiano imparato a fare offerte “all’osso”.
Innovazione tecnologica
L’innovazione tecnologica del settore dei servizi ha un ruolo sempre più forte. Per il 52,1% dei rispondenti la tecnologia cambia giorno dopo giorno il modo di prestare servizi, mentre per un altro 21% l’innovazione è già avvenuta e le aziende hanno saputo adeguarsi. Infine, un quarto del campione ritiene che la tecnologia abbia un ruolo marginale, perché il grosso del lavoro viene compiuto con metodi tradizionali
La reputazione
Quello della scarsa reputazione delle imprese di servizi è un vecchio problema, su cui però negli ultimi anni sono stati fatti sforzi notevoli, sforzi che sembrano essere stati premiati, visto che per quasi un terzo del campione la reputazione del settore è in aumento, in parte perché adeguatamente compreso, in parte perché ci si è accorti che i servizi creano ricchezza e occupazione. Ancora migliore il giudizio sulla reputazione della propria azienda: per il 37,8% è in miglioramento e solo l’11% la considera in calo.