Il 15 luglio si terrà il 1° meeting Pmi dal titolo “Viaggio nell’Italia che innova. Passaggio a Nord-Est”. Come è nata questa iniziativa?
Volevamo costruire un appuntamento con cadenza annuale per istituzionalizzare un momento di incontro e scambio delle Pmi. Questo evento rappresenta l’evoluzione del Forum di Prato ed è una tappa obbligata, dopo quelle di Milano e Bologna, del “Viaggio nell’Italia che Innova”, il percorso di analisi e dialogo sul tema dell’innovazione e della capacità di crescita delle Pmi costruito dal Sole 24 Ore. Nel payoff del meeting c’è proprio la questione del “paradosso Italia” ovvero il mix di caratteristiche che contraddistingue le imprese che riescono comunque ad emergere nonostante le difficoltà competitive. Non si può lasciare la partita della crescita esclusivamente nelle mani dell’iniziativa dei singoli imprenditori, della loro abnegazione e del loro spirito di sopravvivenza. Bisogna lavorare di più per schematizzare, favorire e accelerare il passaggio dimensionale.
Vogliamo prima di tutto raccontare la storia delle aziende più innovative che sono riuscite a tenere il passo nonostante la crisi e lo stravolgimento del quadro economico e politico. È importante spiegare perché alcune condizioni favoriscono più di altre la crescita e l’innovazione.
Per questo verranno presentate delle video-interviste realizzate all’interno delle imprese di successo, per vivere la fabbrica e non solo descriverla, per aprirsi a tutto il sistema paese e non solo a pochi eletti.
Faremo un’indagine sull’evoluzione del manifatturiero tradizionale e Industria 4.0 ed elaboreremo una proposta che ci permetta di diventare protagonisti del dibattito.
Tutto questo con la partecipazione degli > studenti migliori di quattro tra le più prestigiose università italiane: quella di Udine, Ca’ Foscari di Venezia, la Liuc di Castellanza e la Luiss di Roma, che affiancheranno i relatori sia nella discussione che nella moderazione. In questo modo l’evento sarà anche un’occasione di dialogo con la futura classe dirigente per comprendere e metabolizzare la loro visione e i gap da superare.
La nostra intenzione è quella di creare un modello interattivo che permetta di “annusare” le imprese da dentro, aprire le loro porte alla società, fare un’analisi delle competenze e sul valore del capitale umano, tratteggiare il volto della creatività e della ingegnosità italiana.
Perché avete scelto proprio il Triveneto come tappa ideale del vostro viaggio?
Perché è una delle regioni italiane che ha subito di più gli effetti della crisi ma che ha trovato un suo modo di reagire, una regione molto resiliente, che ha registrato sempre dei record nell’esportazione, con un tessuto produttivo vivace e con l’ossessione continua per la crescita. Un luogo dove il pensiero diventa uno stimolo ed un attivatore di processi. Una realtà territoriale in grado di offrire ai partecipanti anche un percorso formativo di eccellenza che si terrà il giorno successivo con il Biennale dell’Innovazione a San Servolo, organizzato da Ca’ Foscari, che prevede una full immersion sull’innovazione. Perché Confindustria si pone come centro di formazione oltre che di proposta e divulgazione di idee. Su questa direttrice rientra la scelta della Nice di Oderzo come sede dell’evento, un’azienda campione dell’innovazione in grado di ispirare il dibattito e rappresentare una delle parti migliori del paese.
Il concept del meeting si basa su 4 C: creare, conoscere, connettersi e crescere. Come mai avete scelto queste parole chiave?
Perché descrivono bene il nuovo approccio delle imprese e definiscono i cardini della discussione sul futuro del sistema imprenditoriale. Sono i concetti fulcro del processo di autovalutazione che ogni azienda vincente è chiamata a svolgere.
La creazione è il vero cuore dell’industria italiana, la linfa vitale che permette di dare vita ai prodotti materiali o immateriali e rappresenta l’identità competitiva del nostro paese, la bellezza e le sue molte declinazioni.
Noi vogliamo indagare come si incrociano l’innovazione e la creatività. La conoscenza costituisce la base, senza conoscenza non esiste nessuna definizione di competenze, e senza competenza non esiste impresa. Occorre immettere più conoscenza per costruire una crescita stabile. In Europa tutti si interrogano sul nuovo modello di crescita e sull’interpretazione dell’Industria 4.0, se esiste una via unica o una declinazione specifica per ogni paese. La crescita non è solo l’imperativo per competere ma anche parte fondamentale del ruolo sociale dell’impresa, i vantaggi del salto dimensionale si estendono a tutta la comunità economica e sociale.
Si parla molto del superamento del limite dimensionale delle imprese. In quali termini la dimensione è un limite e quando diventa un asset strategico?
La taglia di un’impresa è un limite soprattutto nella competizione internazionale, nel mondo globalizzato c’è uno schiacciamento verso il basso delle manifatture con costi non sostenibili. In Italia il costo del lavoro, la fiscalità opprimente, la bolletta energetica rappresentano dei macigni che rischiano di soffocare l’industria. Tuttavia, una delle caratteristiche vincenti delle pmi è l’agilità, la capacità di sapersi trasformare in modo veloce e adattarsi rapidamente ai mercati. Per godere dei vantaggi dell’agilità senza perdere competitività bisogna favorire modelli di aggregazione orizzontale: le fusioni tra aziende compatibili e complementari. Le reti d’impresa sono un ottimo principio per far incontrare le imprese ma non rappresentano la fine di un percorso, sono solo il tassello iniziale. Anche le filiere come le reti sono un modello verticale in cui c’è sempre una catena di subfornitori a servizio di un leader. Nel nostro paese ci sono circa 20mila Pmi con caratteristiche che permettono loro di crescere ad un tasso superiore a quello medio e tra 20mila e 40mila Pmi con un potenziale che si avvicina alle prime ma che non rientrano ancora nel radar della crescita.
Bisogna lavorare su queste imprese per sostituire l’idea di subfornitura con quella di partenariato, creando dei modelli di coabitazione aziendale, grazie ad acquisizioni, finanza, governance e business innovativi.
Nel modello orizzontale tutti hanno il contatto diretto col mercato. In questo processo la finanza ha un ruolo forte non solo a supporto del debito ma anche nell’accelerazione della crescita e come canale alternativo di reperimento della liquidità anche attraverso l’incentivazione degli investimenti privati nelle Pmi.
Quali sono le leve obbligatorie della crescita?
L’attività imprenditoriale è in continua metamorfosi, non c’è più solo gestione del rischio e costruzione della leadership. Prima gli imprenditori erano esperti di prodotto, oggi devono avere una conoscenza a 360 gradi di tutte le attività d’impresa, dalla predisposizione del bilancio, alla elaborazione dei business plan fino alla conoscenza dei mercati finanziari. Devono essere in grado di intuire l’innovazione, anche quella proveniente da altri settori, devono essere attenti ai cambiamenti del mercato, più manager che “padroni”, devono saper costruire team e delegare.
In questo processo rientra anche la riformulazione del modello familiare, con un focus sul merito e sul passaggio generazionale.
Il superamento di questa forma di imprenditorialità può diventare una delle leve della crescita, ma non c’è una leva principale, occorre saper attivare tutto il “kit degli attrezzi” per poter utilizzare quello giusto al momento giusto. L’unica direttrice che non può mai mancare rimane la competenza.
Che ruolo gioca l’innovazione e il digitale?
L’Innovazione è un concetto a 360 gradi, abilitante e inclusivo, che parte dell’analisi storica del passato per arrivare alla costruzione di una prospettiva. Si cresce solo se si innova. L’innovazione non è solo un opportunità ma un obbligo e come Confindustria vogliamo fornire agli associati una nostra idea, un nostro modello formativo e interpretativo.
Partecipiamo ad un tavolo di discussione del Mise su Industria 4.0 e stiamo facendo di tutto affinché il ministro Calenda possa prendere parte al meeting per condividere l’impegno del governo sul nuovo piano di politica industriale. Vogliamo contribuire nella costruzione di una via italiana al 4.0, come segnale di maturità del sistema associativo, con l’obiettivo di rendere fruibile un tema all’apparenza tecnico e complesso con cui ormai non si può non fare i conti.
Ormai il digitale è un termine indispensabile ma anche generalista. Prima si parlava solo di web, oggi il digitale rappresenta la dimensione di evoluzione del mercato in cui i dati sono dematerializzati e in cui l’analisi di questi dati diventa un decoder delle caratteristiche di consumo da registrare e a cui rivolgersi per profilare i clienti.
Quanto conta la formazione nell’accompagnare le imprese nel loro salto dimensionale?
Moltissimo. Il gap di crescita dipende spesso da una mancanza di conoscenza. Quando un neolaureato meritevole decide di proseguire la sua carriera all’estero il danno per il sistema d’impresa è enorme, si interrompe la possibilità di generare un circolo virtuoso tra scuola e lavoro.
Quali strumenti si possono mettere in campo per permettere alle nostre Pmi di competere ad armi pari nella competizione internazionale?
Lo scambio tra salario e produttività è uno strumento per conservare la competitività della manifattura tradizionale mentre la premialità eccezionale serve ad incentivare l’innovazione della manifattura 4.0 e di tutti i sistemi produttivi ad alto valore aggiunto, con un modello di business capital intensive, che hanno l’obbligo di continuare ad investire.
I due strumenti vanno abbinati nel caso in cui ci sia coabitazione tra le due manifatture e devono sostenere il momento di trasformazione dalle manifatture tradizionali a quelle più futuribili.
Gli imprenditori sono in qualche modo dei piccoli demiurghi, creano qualcosa che prima non c’era, mescolando il talento, il lavoro, la scienza e la tecnica. Su cosa si deve puntare per fare davvero la differenza?
Sta andando in crisi il modello di standardizzazione della produzione e stiamo passando alla customizzazione e alla manifattura digitale, questo obbliga le imprese ad essere originali e creative. Sono caratteristiche tipicamente italiane che dobbiamo imparare a valorizzare meglio per smettere di essere considerati solo degli ottimi subfornitori regalando l’accesso ai mercati ai nostri competitor. Un esempio è costituito dall’automotive in cui, nella maggior parte dei casi, la componentistica è italiana ma il prodotto è tedesco. Dobbiamo mettere al centro il brand Italia e imparare a raccontare la capacità di esecuzione delle singole imprese, a parlare meno di quello che abbiamo fatto e più di quello che sappiamo fare.
Confindustria deve saper costruire un modello diverso di impresa e una nuova narrazione.