Mercati esteri sempre più interessanti per le piccole e medie imprese italiane. Non solo come sbocco per beni e servizi, ma anche come base per attività più strutturate. È questo l’input che desideriamo trasmettere ai nostri lettori attraverso gli approfondimenti dedicati al continente africano, a partire dalla fotografia scattata di recente dall’Ocse con il Rapporto “African Economic Outlook”, e all’Accordo di libero scambio fra l’Unione europea e il Canada (Ceta). Si tratta di due aree geografiche molto diverse fra loro, che nelle rispettive differenze e complessità riservano opportunità preziose per il nostro sistema imprenditoriale.
Con il Ceta, ad esempio, si profila una semplificazione ad ampio raggio in tema di certificazioni e adempimenti tecnici che, accompagnata alla riduzione dei dazi, darà una forte spinta alle nostre esportazioni. Da non sottovalutare, inoltre, l’importante significato simbolico dell’accordo, che vede due protagonisti dell’economia mondiale, quali il Canada e l’Europa, convergere su un terreno comune, valorizzando la complementarietà delle rispettive economie.
Come ci ricorda Dennis Redmont, direttore dell’Associated Press per 25 anni e con un lunga esperienza in questioni internazionali, “il Ceta rappresenta una strada diversa per fronteggiare le visioni protezionistiche che stanno ostacolando imprese e lavoratori”.
Inevitabile allora fare un confronto con il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), i cui negoziati auspichiamo possano in futuro ripartire. Le nostre imprese avrebbero molto da guadagnare, soprattutto alla luce del fatto che il mercato statunitense, come abbiamo avuto modo di illustrare lo scorso numero, apprezza il made in Italy e, in particolare, il segmento dei prodotti “belli e ben fatti”.
Con l’Africa, invece, il primo passo da compiere è cambiare il nostro modo di approcciare questo smisurato continente, che comprende oltre 50 stati con background storici, economici e culturali complessi e sfaccettati. Molti di loro stanno portando avanti da tempo programmi di costruzione e ammodernamento delle opere civili e il fabbisogno di know how nei settori coinvolti è notevole. In questo numero raccontiamo il caso della Tunisia, ospitando un’intervista a Pietro Sebastiani, direttore generale della Cooperazione allo sviluppo presso il Mae: con il piano strategico “Tunisia 2020”, il paese vuole infatti imprimere una svolta in senso industriale alla propria economia e riconosce nell’impresa italiana un bacino di esperienza e capacità a cui poter attingere e con cui poter stringere, per l’appunto, partenariati industriali.
È una modalità, quella di trasferire competenze, tecnologia e innovazione nei paesi africani, che l’Italia potrebbe adottare in molte delle aree in cui la nostra presenza è radicata da più tempo. E la vicepresidente Mattioli ci ricorda il grande contributo che possono dare le piccole e medie imprese in proposito. Se perseguita con un orizzonte di medio-lungo periodo, oltre a dimostrarsi efficace per il nostro sistema imprenditoriale, questa scelta porrà le basi per creare occupazione e sviluppo a livello locale. È un obiettivo a cui tendere. Le spinte demografiche alle quali assistiamo trovano origine spesso nella completa assenza di prospettive da parte della popolazione. Le ricadute non potranno che essere positive, noi nel frattempo mettiamoci in gioco.