Non è il momento migliore per lavorare nell’ufficio acquisti di una piccola impresa. Il rincaro delle materie prime pesa sulla programmazione della produzione dell’ultimo scorcio dell’anno e fa già sentire i suoi effetti sul listino, con prezzi ritoccati all’insù per molti beni finali. Ne sanno qualcosa alla Technix di Grassobbio, in provincia di Bergamo, azienda specializzata nella produzione di apparecchiature radiografiche da corsia che dallo scorso giugno ha cominciato a registrare le prime avvisaglie di un mercato che andava in fibrillazione. L’alta volatilità dei mercati delle commodity, in particolare i materiali ferrosi, si traduce infatti in un quadro di profonda incertezza.
“Mentre l’aumento del costo del legno, seppure considerevole, nel nostro caso incide poco visto che lo utilizziamo soltanto per gli imballaggi, quello dei metalli è più critico perché ci servono per realizzare la struttura meccanica delle nostre apparecchiature – spiega il presidente Aniello Aliberti (in foto) –. Ma quello che ci danneggia di più è il rincaro delle componenti elettroniche, che sono necessarie per far funzionare le macchine. Non soltanto sono aumentate, ma spesso non si trovano più sul mercato oppure hanno tempi di consegna molto lunghi”.
L’obiettivo principale è non fermare la produzione, che nel caso della Pmi bergamasca raggiunge il migliaio di macchine l’anno ad uso ospedaliero, prodotte insieme alle altre società del gruppo, la Intermedical e la IMD Generators. Inoltre, tramite quest’ultima società, il gruppo di Grassobbio è in grado di costruire anche gli apparecchi che generano la fonte radiogena e che in parte sono venduti sul mercato con il logo Technix, in parte sono destinate ai distributori esteri oppure alle multinazionali del settore.
Come reagire a questo stato di cose? Aliberti è molto franco e spiega che si può fare ben poco. Si paga di più il materiale e si fa di tutto per non restarne sprovvisti. È difficile, se non addirittura poco opportuno, cambiare fornitori. “Tutt’al più ci rivolgiamo al mercato libero oppure a dei broker specializzati”, spiega l’imprenditore.
“Non è nemmeno possibile cambiare uno dei componenti e scegliere, ad esempio, di realizzarlo in alluminio al posto dell’acciaio – aggiunge –. Le nostre sono macchine certificate e ogni più piccola modifica richiede autorizzazioni che non si ottengono in 60 giorni”.
Fino ad oggi l’impresa è riuscita a non posticipare alcuna consegna, grazie al fatto di poter contare su una scorta di magazzino a 3 o 4 mesi. E il ritocco dei prezzi? “Quello c’è già stato – afferma Aliberti –. Per forza. Si tratta di un 10% in più che, su macchinari il cui costo al pubblico va dai 40mila agli oltre 100mila euro, incide non poco. Inoltre, poiché partecipiamo anche a gare pubbliche con gli ospedali, accade di vincere con un’offerta stilata a gennaio di quest’anno, con prezzi diversi. E una struttura sanitaria pubblica che acquista un macchinario per 100mila euro difficilmente accetterà di pagare 15 o 20mila euro in più di rincaro. Ribadisco peraltro che ciò che va a incidere sul prezzo finale sono solo i costi delle materie prime, dal momento che lavorazioni esterne, verniciatura e costo del lavoro non hanno subìto aumenti”.
Dal lato degli acquirenti privati, invece, c’è chi accetta di pagare in più, racconta ancora l’imprenditore, e chi chiede di negoziare “dividendo il male a metà. Insomma, ogni ordine è diventato una battaglia continua”, chiosa.
All’associazione degli industriali di Bergamo, dove Aliberti guida la componente di Piccola Industria, si è molto parlato di questo argomento; è un problema per tutte le aziende, con le opportune differenze in base ai settori di appartenenza. L’auspicio è che la situazione possa migliorare e che entro la fine dell’anno si ripristini un quadro di maggiore equilibrio. Dai colloqui con i suoi fornitori internazionali Aliberti ricava alcune previsioni: “Le richieste con i maggiori quantitativi sono arrivate in larga parte dalla Cina che, prevedendo un rimbalzo nel dopo pandemia, si è accaparrata enormi quantità di materiali. Ma c’è chi prevede che questi esuberi torneranno sul mercato, anche perché i costi di magazzino sono alti”.
L’incertezza al momento resta, anche a livello più generale. “Lavorando nel settore medicale noi tutto sommato siamo tranquilli, non abbiamo mai chiuso. Ma chi opera in altri settori vive una situazione altalenante. La pandemia è finita? L’aumento dei consumi interni è solo un rimbalzo tecnico, di chi compra oggi quello che non ha comprato l’anno scorso, oppure è una vera ripresa, sostenuta da consumatori con uno stabile potere di acquisto?”. Per questo Aliberti non ha risposta e aspetta che il “nuvolone” della pandemia passi, il più in fretta possibile.