
È stato presentato oggi a Milano, presso la Green House di Deloitte, l’Osservatorio Open Innovation e Corporate Venture Capital 2023 promosso da InnovUp e Assolombarda e realizzato con la partnership scientifica di InfoCamere e degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.
Come ogni anno l’Osservatorio effettua l’analisi quantitativa degli investimenti in Corporate Venture Capital (CVC) analizzando, da un lato, le startup e le Pmi innovative per capire quante si rivolgono al CVC e quali performance economiche ottengono e, dall’altro, gli investitori Corporate, indagando le loro caratteristiche e le scelte di investimento.
Propone inoltre, grazie alla collaborazione di Piccola Industria e delle Politiche per il Digitale e Filiere, Scienza della Vita e Ricerca di Confindustria, alcune case history di successo di open innovation in tutte le sue articolazioni. Al centro dell’attenzione, quindi, le tante imprese che investono nel capitale sociale di startup e Pmi innovative con obiettivi di natura strategica rivolti a potenziare le proprie capacità competitive.
Quello che emerge è che, nell’ambito delle 16.500 startup e Pmi innovative italiane, un’impresa innovativa su tre è partecipata dal Corporate Venture Capital (CVC). Si tratta di 5.300 imprese che insieme generano 4,7 miliardi di euro, pari al 45,6% dei ricavi totali delle startup e Pmi innovative italiane e che, proprio grazie alla partecipazione del CVC, riescono ad ottenere risultati economici migliori delle non partecipate.
Un fenomeno, quest’ultimo, riscontrato anche in passato e che nel 2023 viene confermato da un aumento del valore della produzione (+3,2%) delle startup e Pmi innovative partecipate da CVC superiore a quello delle imprese innovative non partecipate (-0,3%).
CHI SONO GLI INVESTITORI
Guardando alla tipologia di investitori, l’indagine conferma l’attenzione delle Pmi al CVC quale strategia per acquisire idee, soluzioni innovative ed effettuare ricerca e sviluppo difficilmente realizzabile internamente.
I Corporate Venture Capitalist italiani, infatti, sono prevalentemente società di piccole dimensioni, con il 64,7% che ha meno di dieci addetti. La maggior parte (41,3%) opera nei servizi non finanziari (dal trasporto ai servizi Ict, fino alle attività professionali scientifiche e tecniche). Seguono i soci dei servizi finanziari (18,7%), del settore software (11,8%) e dell’industria (10,2%).
Scendendo nel dettaglio dei settori, a differenziare maggiormente le partecipazioni sono i soci CVC che appartengono all’industria: investono per il 29,6% in startup e Pmi del “software e informatica”, per il 28,4% in imprese manifatturiere e per un quinto (22,0%) in quelle della ricerca e sviluppo. Questo a fronte degli altri soci Corporate, che investono principalmente in imprese innovative del “software e informatica”.
In generale, comunque, l’81,5% dei soci CVC investe in settori diversi dal proprio, evidenziando un alto dinamismo intersettoriale e la volontà di arricchire le proprie competenze. Un fenomeno al quale si aggiunge un’interazione territoriale di prossimità visto che solo il 30,2% dei CVC investe al di fuori della propria regione.
Nel complesso si tratta di numeri e best practices che evidenziano come, anche in Italia, ci siano imprese che, a prescindere dalla dimensione, hanno compreso il valore aggiunto che deriva dalla collaborazione con le realtà innovative. Ed è importante far conoscere maggiormente il fenomeno del CVC e diffondere la consapevolezza sull’importanza delle partnership industriali, della contaminazione tra aziende consolidate e realtà giovani e innovative, dei rapporti di collaborazione tra imprese, università ed istituti di ricerca.
Si tratta di una grande opportunità di sviluppo economico per tutte le imprese coinvolte. Questo a maggior ragione in un momento nel quale si è chiamati ad affrontare con rapidità le sfide imposte dalle transizioni verde, sostenibile e digitale. Aspetti sui quali l’open innovation e il CVC possono fare davvero molto.