
La Nuova Brunengo è una piccola impresa con sede a Genova specializzata nella progettazione, costruzione e manutenzione di impianti di elevazione industriale e civile.
Fondata nel 1965, all’inizio degli anni Novanta viene rilevata da Guglielmo Saccardi, oggi consulente dell’azienda guidata dal figlio Giulio in qualità di amministratore delegato. Tredici i dipendenti e un milione e mezzo di euro l’attuale fatturato; numeri piccoli che tuttavia non hanno impedito a questa azienda di spiccare il volo all’estero, intessendo solide relazioni commerciali nel Nordafrica e in Libia in particolare.
Con lo scoppio della guerra civile nel 2011 e la perdurante difficoltà dei governi provvisori nel ristabilire condizioni di sicurezza e stabilità per il paese, si è reso necessario volgere la sguardo altrove. E Giulio Saccardi oggi racconta come il Senegal sembri offrire all’azienda buone prospettive di sviluppo.
Come nasce la decisione di investire in Senegal?
L’ingegnere marocchino con il quale lavoravamo in Libia si trasferisce a Dakar segnalandoci che si stanno aprendo molte opportunità di lavoro nel campo dell’edilizia. Con lui, che può assicurare una presenza costante sul luogo, e insieme a un broker sudcoreano, che può occuparsi degli aspetti amministrativi e finanziari, decidiamo di costituire una società, la Hanil, in grado di proporsi come general contractor per la realizzazione di complessi edilizi che vanno dai centri commerciali agli alberghi a cinque stelle.
Qual è esattamente il know how italiano che offrite?
Grazie alla nostra attività abbiamo sviluppato relazioni con fornitori soprattutto di materiale edile. Dall’Italia pertanto porteremo rivestimenti e arredi, molto richiesti quando si parla delle rifiniture estetiche degli appartamenti. Per i materiali da costruzione, invece, utilizzeremo fornitori locali; tenga presente che il Senegal è un grande produttore di cemento.
Al momento stiamo partecipando a un tender internazionale lanciato dal governo e relativo a un gruppo di edifici destinati a ospitare la sede del ministero della Difesa a Dakar. Il progetto prevede l’abbattimento e la ricostruzione di palazzi tra i 15 e 18 piani e per il quale abbiamo già contattato un’azienda italiana specializzata nelle implosioni di edifici.
Di lavoro in prospettiva ce n’è molto, ma è fondamentale entrare con un progetto grosso per dimostrare l’affidabilità e la serietà del gruppo. In questi paesi funziona molto il passaparola e opportunità potrebbero aprirsi anche in Mali e in Ciad. Il Senegal resta uno snodo fondamentale, tutta l’area francofona infatti vi fa riferimento perché è l’unico paese dotato di porti adatti alla movimentazione delle merci.
Qual è l’impressione complessiva?
C’è tanta povertà, ma è un paese con una grande voglia di emergere. Ci sono anche molti imprenditori italiani attivi sul posto, in particolare nella pesca. E colgo l’occasione per sottolineare come la meccanica italiana sia sempre apprezzata all’estero.
E invece, per quanto riguarda la Libia, ritiene la vostra esperienza conclusa?
In Libia abbiamo lavorato per 15 anni: siamo partiti con una prima commessa per l’aeroporto di Tripoli dove abbiamo realizzato un bell’ascensore panoramico. Anche il quel caso l’input era stato chiaro: cercavano un’azienda affidabile, ma soprattutto italiana.
Lo ribadisco perché credo che prendiamo coscienza di quanto vale il nostro made in Italy soltanto quando andiamo all’estero. Successivamente abbiamo cominciato a lavorare con ambasciate, supermercati, per poi approdare alle raffinerie petrolifere di Marsa al Brega.
Oggi la nostra attività in Libia è in stand by, operiamo solo come fornitori in virtù di rapporti con i nostri partner che negli anni sono diventati degli amici. Ma la situazione è difficile e non ci sono le condizioni per operare sul territorio in sicurezza.
Quanto valeva per voi il mercato libico?
Circa il 50% del fatturato. Motivo per il quale la chiusura di questo mercato ha significato mettersi intorno a un tavolo, ridurre gli sprechi, parlare con i collaboratori e invitare tutti a lavorare meglio e di più. Ma non abbiamo toccato un posto di lavoro.
Oltre al Senegal quali altri paesi potrebbero interessarvi?
Una volta aperto il mercato qui a Dakar, dove si è trasferito mio padre Guglielmo di 70 anni – “a farsi le ossa” gli dico scherzosamente – siamo interessati al Marocco, che con il Senegal ha ottimi rapporti, e alla Tunisia.
Fondamentale è scegliere paesi che abbiano un orizzonte politico stabile per almeno i prossimi 10/15 anni. Per farlo consultiamo anche i report di Confindustria Assafrica e Mediterraneo.
Credo però che per lavorare bene in Africa, specie quella subsahariana, sia necessario entrare nella loro cultura. I ritmi sono più lenti e anche le trattative seguono dinamiche del tutto diverse da quelle occidentali. Trasferire la nostra impostazione di lavoro qui sarebbe fallimentare.