La Turchia è un mercato molto importante per l’economia italiana ed europea. Diciassettesima economia mondiale in termini di PIL, come piccola “Cina d’Oriente”, la Turchia ha dato negli ultimi vent’anni prova di performance economiche positive. Con il superamento di tre profonde crisi economiche (1994, 2000, 2001), ha evidenziato forti capacità di resistenza, compensando instabilità economica con capacità di cambiamento. Lo scenario geopolitico internazionale in continuo mutamento e la dinamica politica interna che ha portato a derive autoritarie, ha sottolineato, negli ultimi anni, il doppio volto equilibrista tra l’anima europea e le pericolose turbolenze del vicinato medio-orientale. La Turchia emerge sempre più come crocevia strategico, come cerniera tra Oriente e Occidente, come ponte energetico. Nonostante le relazioni economiche tra la Turchia ed Europa siano inscindibili, le turbolenze politiche interne, le prospettive di nuove scosse in vista delle elezioni presidenziali che si terranno ad agosto di quest’anno, il recente blocco dei social media e le diseguaglianze tra le molteplici anime interne al paese creano incertezza nel futuro delle relazioni Ankara-Bruxelles. Oggi gli obiettivi di un paese ricco di potenziale in termini di energie rinnovabili, che aspira a diventare l’incrocio energetico del gas nord-iracheno e dei nuovi bacini delle acque israeliane e cipriote e che rendono il ponte anatolico un’alternativa attraente contro la dipendenza dalle riserve russe, insieme alle enormi potenzialità del mercato turco, ricordano oggi più che mai all’Europa lo storico ruolo di alleato e partner commerciale. Il dinamismo della Turchia, sorretto dal successo della politica economica, con l’attuazione di importanti riforme strutturali e di un fitto programma di privatizzazioni, ha mostrato tutto il suo valore segnando crescite economiche vicine al 9% sia nel 2010 sia nel 2011 tra le più alte al mondo. Nel 2012 il ritmo di crescita del PIL turco si è attestato al 2,2%. Nel primo trimestre del 2013, il tasso di crescita del Pil è stato pari al 3%.
Nel secondo trimestre al 4,4%. Medie sempre al di sopra di quanto registrato in Europa. La politica di rilancio del sistema economico, il sistema degli incentivi fiscali, rivisti e ampliati, per stimolare investimenti e consumi sono state, quindi, delle scelte vincenti. L’attivismo delle imprese turche si è manifestato ampiamente attraverso la diversificazione dei mercati di esportazione puntando su Russia e Medio Oriente quando la domanda di beni e servizi dall’Europa risultava debole.
Il processo di industrializzazione ha fatto emergere la presenza di piccole e medie imprese, non più localizzate nei grandi snodi urbani di Istanbul, Ankara e nella regione Egea, ma legate ai centri minori dell’entroterra anatolico e sud-orientale di Kayseri, Gaziantep, Denizli, Konya e Mersin. Il settore manifatturiero, che sta attraversando un processo di trasformazione ispirato a modelli tecnologici medio-alti, rimane centrale contando su più del 90% delle esportazioni locali e impiegando il 20% della forza lavoro. In questo periodo le imprese italiane non sono state a guardare. Nei primi 11 mesi del 2013 il nostro paese si è confermato quarto partner commerciale con un interscambio di 17,9 miliardi di dollari. Anche sul fronte degli investimenti le nostre aziende hanno mostrato di credere nel futuro del paese. Nei primi sei mesi del 2013, l’Italia ha investito 92 milioni di dollari. Tuttavia, al di là dei numeri, Italia e Turchia condividono, da tempo, legami politici ed economici particolarmente solidi. Dai primi investimenti degli anni settanta con le multinazionali legate al mondo dell’automobile (Fiat e Pirelli) e dell’energia (l’Eni e la Saipem insieme hanno realizzato il gasdotto Bluestream) molte sono le aziende italiane che hanno consolidato, negli anni, le proprie partnership con le imprese turche: Finmeccanica, Indesit, Barilla, Astaldi, Prysmian, Perfetti Van Melle, Italcementi, Cementir, Benetton, Mapei, Piaggio e Ferrero. L’Italia continua ad insediare aziende: con 1082 imprese risulta al 5° posto tra i paesi con maggiore presenza, quando solo tre anni fa, le società italiane nel paese erano 770. Oltre a rappresentare un fondamentale mercato di sbocco per le forniture made in Italy di beni strumentali che sfruttano una consolidata complementarietà con il sistema industriale locale, è un mercato nel quale cresce l’attenzione verso il know how tecnologico. Il boom dei consumi, dettati dall’esplosione dei redditi delle fasce più abbienti e dall’aumento del potere d’acquisto dei nuovi ceti emergenti, apre le porte, oltre ai noti marchi del lusso anche ai prodotti meno conosciuti dell’affordable luxury. Cresce la collaborazione in alcuni settori rilevanti per lo sviluppo futuro della Turchia: infrastrutture, energie rinnovabili, protezione ambientale, tecnologie per il territorio e biomedicale. Ci sono poi interessi strategici in comune, primi fra tutti quelli energetici. Mentre i grandi gruppi industriali italiani hanno consolidato le proprie partnership con imprese turche non si può dire lo stesso per le aziende turche. In Italia operano circa una cinquantina di imprese turche con un capitale totale di 100 milioni di dollari. Un fenomeno recente è l’acquisizione progressiva di aziende italiane da parte delle controparti turche. Tra questi casi spicca la cessione del marchio dolciario Pernigotti al gruppo turco Toksoz.
Dinamiche simili sono state registrate anche in altri settori, nell’elettronica l’azienda Vestel ha acquisito l’italiana Dikom&Dikom e nel settore ceramico con l’acquisizione di Fincuoghi da parte del gruppo Kale che ha deciso di spostare in Italia il suo hub europeo.
Gli italiani hanno puntato, e continuano ancora oggi a farlo con determinazione, sulla stabilità del paese, sulla buona solidità e attrattività di un paese che mira ad entrare nella cerchia della 10 maggiori economie al mondo entro il 2023, continuando a dimostrare di avere la forza e la determinazione per conseguire questo importante obiettivo.
Diciassettesima economia mondiale in termini di Pil, la Turchia ha dato negli ultimi vent’anni prova di performance economiche positive segnando crescite economiche tra le più alte al mondo