Quasi tutti i governi degli ultimi vent’anni si sono confrontati con la questione del mercato del lavoro e delle politiche di welfare a sostegno del reddito di chi perde il posto di lavoro. È evidente che questo tema abbia un impatto sul sistema industriale e sulle nostre imprese, rappresentando uno dei fattori più importanti nella competizione internazionale.
Da molti anni sussistono totem ideologici che nessun governo ha voluto o potuto toccare. Ne cito due per tutti: il tema dimensionale e il lavoro a tempo indeterminato.
Tutte le più serie analisi sul sistema economico italiano indicano nella mancata crescita dimensionale delle Pmi l’ostacolo per eccellenza che impedisce lo sviluppo sui mercati internazionali. Nel nostro Paese, la dimensione aziendale è, di fatto, vincolata a leggi e norme che regolamentano due step: fino a 15 dipendenti e da 15 a 50 dipendenti. Ogni successivo gradino diventa punitivo in termini di tempo e risorse da dedicare all’applicazione delle norme e il tema non è stato nemmeno sfiorato in queste ultime settimane di dibattito sulla riforma del mercato del lavoro.
Sulla questione del contratto a tempo indeterminato – una bandiera che viene sventolata al di sopra di ogni altra considerazione – vorrei fare una riflessione di ordine generale: nessuna azienda ha interesse ad adottare comportamenti disinvolti nei confronti del lavoratore assumendo a tempo determinato con l’obiettivo poi di licenziare. Tanto più oggi, che affronta una perenne mancanza di personale.
Occorre ricordare che il tempo determinato è nato da due esigenze specifiche: quella di far fronte ai picchi di lavoro e quella di poter valutare le persone in un arco di tempo più ampio rispetto alle pochissime settimane del periodo di prova.
I vari governi, a seconda dell’orientamento ideologico, hanno legiferato con obiettivi ben diversi. Mi limiterò a ricordare due provvedimenti: il Jobs Act, che a mio avviso ci ha allineato alla visione del lavoro dell’Europa avanzata, e il decreto Dignità, che, a causa di una mancata conoscenza del mondo delle imprese, ha fatto registrare un notevole passo indietro, con sanzioni a carico delle imprese davvero incomprensibili.
Nel momento in cui scriviamo questo articolo, molti temi non sono ancora chiari, ma alcune proposte paiono condivisibili: il non obbligo di causale sui contratti a tempo determinato entro i 24 mesi, ad esempio, va nella giusta direzione. Così come la sostituzione del reddito di cittadinanza con altre misure, indicando un principio che a noi imprese pare sacrosanto: il sostegno al reddito per chi ha perso il posto di lavoro deve necessariamente accompagnarsi ad una forte azione di riqualificazione e formazione che permetta alle persone di reinserirsi nel mondo del lavoro con rinnovato impegno ed entusiasmo. Tutti i mercati del lavoro più avanzati ce lo insegnano, le imprese italiane ne hanno bisogno.
(Articolo pubblicato sul numero di maggio dell’Imprenditore)