![Intelligenza artificiale_](https://www.limprenditore.com/wp-content/uploads/2023/06/Intelligenza-artificiale_-scaled-2048x1024.jpg)
Le tecnologie dell’Intelligenza Artificiale (IA) applicate alla gestione delle operations e della supply chain sembrano prefigurare una straordinaria opportunità per il miglioramento della competitività aziendale. I risultati di una ricerca condotta da un team dell’Università LIUC su oltre 90 aziende italiane e l’analisi approfondita di sei casi aziendali e 17 applicazioni evidenziano come i progetti di IA che sono stati implementati dalle aziende hanno principalmente avuto impatti sulla riduzione dei costi e sul miglioramento dell’efficienza dei processi produttivi. Di fatto, 2 progetti su 3 hanno permesso alle aziende di ottenere benefici concreti su queste due dimensioni.
Un altro impatto significativo riguarda la sicurezza degli operatori, un obiettivo non così scontato e, soprattutto, non sempre prioritario nelle politiche aziendali. Una percentuale significativa di risposte, circa il 24%, si è concentrata sul miglioramento degli aspetti qualitativi, sia in termini di prodotto che di processo.
Le evidenze empiriche sembrano confermare l’ipotesi che l’IA possa realmente incidere sulle performance dei processi operativi e, di conseguenza, possa determinare un miglioramento della posizione competitiva dell’azienda. Ma tali risultati non sono per nulla scontati perché ci sono numerose barriere che possono ostacolare o rallentare il processo di adozione di soluzioni IA all’interno delle imprese:
- Il processo di raccolta dei dati necessari per alimentare gli algoritmi alla base delle soluzioni di IA. I dati rappresentano il “materiale didattico” di questi algoritmi: più dati sono disponibili, maggiore è la frequenza con cui si aggiornano e più differenziate sono le forme in cui si presentano, migliore risulta la capacità degli algoritmi di apprendere e produrre output accurati.
- Le difficoltà nel reperire adeguate competenze, sia attivando direttamente il mercato del lavoro, sia valorizzando persone già presenti in azienda con opportuni interventi finalizzati a traferire le necessarie competenze sulle tecnologie di IA e, più in generale, sulla trasformazione digitale.
- La dimensione finanziaria, sia per l’entità dell’investimento necessario per sviluppare e implementare i progetti, sia per la difficoltà nel poter determinare con un ragionevole grado di affidabilità il potenziale ritorno sull’investimento.
- L’assenza di un’adeguata cultura del cambiamento che supporti e accompagni le strutture organizzative e le singole persone nell’adozione di soluzioni tecnologiche che possono avere anche notevoli impatti sui processi e sulle zone di confort che si sono create negli anni.
Un’attenta riflessione sui fattori che possono facilitare o ostacolare l’adozione di soluzioni di IA potrebbe permettere alle aziende di comprendere quanto sono pronte e preparate per gestire la trasformazione da operations tradizionali a operations “intelligenti” e per guidare il sottostante processo di cambiamento. Nello specifico, ci sono alcuni “ingredienti” che assumono una particolare rilevanza e dovrebbero essere presenti in ogni ricetta relativa all’adozione di soluzioni di IA.
- Inquadramento strategico dei progetti di IA. I progetti di IA non vanno intesi come episodiche occasioni per migliorare performance operative/industriali. Essi devono essere posizionati in una prospettiva strategica in quanto costituiscono concrete opportunità per incidere positivamente sul vantaggio competitivo di un’impresa e sui processi di creazione di valore.
- Focus sul ripensamento dei processi, le tecnologie abilitano. Lo sviluppo della dimensione tecnologica rischia di diventare l’elemento centrale del progetto, catalizzando la maggior parte delle risorse finanziarie e organizzative. In realtà, il focus nello sviluppo delle soluzioni di IA deve essere posto in via prioritaria sul ripensamento e sul conseguente ridisegno dei processi di business, in altri termini su come trasformare tali processi in una prospettiva coerente con il crescente livello di digitalizzazione a cui tutte le aziende stanno faticosamente tendendo.
- Rendere disponibili risorse e competenze. Se la visione è quella di avviare un progetto IA veramente incisivo, che si pone obiettivi sfidanti in termini di impatti reali sulla competitività aziendale, occorre prevedere lo sviluppo di adeguati percorsi formativi prima dell’avvio del progetto IA, disegnati ed erogati ad hoc in relazione ai fabbisogni che emergono attraverso una preliminare attività di assessment più o meno strutturata. Da un lato ci sono le competenze “hard”, principalmente legate alle tecniche e agli algoritmi di IA che ricadono principalmente nei campi delle discipline STEM (matematica, statistica, informatica e ingegneria). Dall’altro lato, ci sono le competenze di natura più organizzativa e gestionale, associate principalmente ai temi di change management, process reengineering che risultano fondamentali per comprendere gli impatti delle applicazioni di IA sui processi e le potenziali ricadute sul business.
- Figure di profilo medio-alto da dedicare alla direzione dei progetti di IA e alle attività di implementazione e di miglioramento. Se si immagina un progetto realmente incisivo, non è possibile dedicare solo la parte di tempo che residua dopo aver gestito il day-by-day e le numerose urgenze quotidiane, per lo più generate da situazioni contingenti che distolgono energie e focalizzazione da decisioni e azioni decisamente più strategiche. Dedicare una figura con le adeguate competenze e una riconosciuta autorevolezza all’interno dell’organizzazione costituisce una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per poter coordinare le diverse attività e stimolare il giusto livello di attenzione sul raggiungimento delle milestone di progetto.
- Essere parte di un ecosistema. Promozione di una cultura “open”, orientata il più possibile al confronto con tutte le diverse fonti esterne che possono fornire ispirazione sui processi di innovazione e costituire utili opportunità di benchmarking. Nel contesto competitivo attuale si sta manifestando un progressivo passaggio da modelli di innovazione autoreferenziali – in crescente difficoltà a causa dei cicli di vita dei prodotti e delle tecnologie sempre più brevi e dei costi di ricerca e sviluppo in costante aumento – a modelli di open innovation basati sulla collaborazione con soggetti operanti in diversi contesti di business.
Attraverso le riflessioni riportate in questo breve contributo non si intende fornire, né tanto meno prescrivere, ricette univoche. Piuttosto la finalità è quella di mettere a fuoco un fenomeno che avrà sicuramente forti impatti sui processi industriali e, di riflesso, sulla competitività aziendale, dimensione su cui il nostro sistema industriale continua a mostrare debolezze strutturali. Su questo fronte, qualche considerazione più mirata potrebbe essere utile per le tante Pmi italiane che, da un lato, potrebbero trarre benefici rilevanti dall’adozione di queste tecnologie per recuperare quel gap di competitività che ne limita spesso l’azione, soprattutto sui mercati internazionali; dall’altro lato, avrebbero necessità di supporti mirati e di percorsi ad hoc per superare i molti elementi di fragilità che le caratterizzano, a partire dal capitale umano che è sicuramente un fattore indispensabile per l’applicazione di queste tecnologie.
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RAFFAELE SECCHI
Nota sull’autore
Raffaele Secchi è professore ordinario di economia e gestione delle imprese presso la Liuc – Università Cattaneo di Castellanza. Dal 2017 presso il medesimo ateneo ricopre il ruolo di Dean della Liuc Business School. È visiting professor alla Ieseg Business School, in Francia, dove insegna Lean Management all’interno del programma International Mba.