L’interesse del Regno del Bahrain verso l’industria italiana e la politica di diversificazione economica del piccolo paese del Golfo stanno diventando un caso da studiare.
Geograficamente posto tra l’Arabia Saudita e il Qatar, il Bahrain basa l’80% della propria economia su settori non-oil e soprattutto sul settore Ict. È inoltre al quinto posto nella “Expat Explorer Survey”, la classifica dei migliori paesi dove andare a vivere, stilata dal colosso bancario Hsbc sulla base di fattori come opportunità di lavoro, salari, sicurezza e qualità della vita.
La popolazione è composta per il 46 % da bahreiniti e per il restante 54% da una miscellanea di abitanti asiatici, africani, di altri paesi arabi e del Golfo, con solo l’1% di europei; il 56% della popolazione si concentra nella fascia di età attiva, quella tra 25 e 54 anni (Fonte Cia).
Il Paese è piccolo ma pianifica in grande, sia per numeri che per visione di lungo periodo, basata sulla consapevolezza che non vi sia sviluppo senza un piano sostenibile, come ha ricordato Al Rumaihi, Ceo dell’Agenzia governativa per gli investimenti (Bahrain Economic Development Board) nel corso della “country presentation” organizzata il 13 ottobre a Roma con Confindustria Assafrica & Mediterraneo e l’Ambasciata d’Italia a Manama.
Ma perché l’Italia? Di sicuro molto ha aiutato la conoscenza del nostro brand Paese, sostenuta in modo consistente dagli effetti mediatici legati al Gran Premio e al suo circuito nel deserto di Sakhir, alle porte di Manama. Anche la forza della specializzazione del made in Italy in food, fashion e furniture ha certamente contribuito a canalizzare l’attenzione del Bahrain sul sistema Italia.
Ma il Memorandum of Understanding sottoscritto nel corso dell’incontro tra Edb e Confindustria Assafrica & Mediterraneo punta ad un’altra Italia industriale: quella del manifatturiero, del turismo, dei trasporti e logistica, dei servizi finanziari, Ict e startup.
Se l’Italia non è pienamente consapevole di essere il secondo paese manifatturiero europeo, come il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ricorda spesso, questo dato è invece ben chiaro ai centri studi internazionali che orientano gli investitori stranieri. Già perché il memorandum Bahrain/Assafrica ha messo nero su bianco non solo la volontà del paese di attrarre investimenti italiani nei settori selezionati, ma anche la possibilità di canalizzare per i prossimi tre anni gli investimenti bahreiniti in Italia.
Una logica bidirezionale e win-win che non è solo formale ma che potrebbe essere, se effettivamente attuata, la leva di sviluppo strategica regionale dell’Italia nel Golfo.
Il Bahrain non fa mistero dell’ambizione di essere visto come un’opzione, un mercato su cui puntare, a costi minori che a Dubai e vicinissimo all’Arabia, con cui sarà a breve collegato via terra. Avendo ben chiara la necessità degli intrecci economici con le potenze del Golfo e la strategicità del modello industriale italiano come fattore di crescita dell’economia nazionale.
Tutto questo è decisamente attrattivo per il settore privato italiano, considerato che sul tavolo ci sono 32 miliardi di dollari di investimenti per i prossimi cinque anni. Il rischio è che il numero delle circa 180 imprese italiane oggi presenti in Bahrain, rimanga inalterato. Sarebbe un’occasione persa.