
GIUSEPPE RANALLI
Dietro ogni porto efficiente, ogni nave che salpa in sicurezza, ogni catena logistica che connette il Mediterraneo ai flussi globali, c’è un elemento invisibile ma decisivo: le persone. Tecnici specializzati, ingegneri navali, operatori intermodali, professionisti digitali, esperti di sostenibilità e gestione energetica. È questo capitale umano a muovere davvero l’economia del mare. Un motore complesso, oggi messo alla prova da una carenza sempre più evidente di competenze.
Le imprese sono pronte a innovare, a cogliere le opportunità di una filiera in crescita. Ma si scontrano con un limite strutturale: non trovano le figure necessarie. Il disallineamento tra domanda e offerta è una realtà concreta, misurabile, allarmante. Lo confermano i dati: posizioni aperte che restano vacanti, transizioni tecnologiche senza adeguato supporto formativo, giovani che non intercettano opportunità perché mancano gli strumenti giusti di orientamento e specializzazione.
Il rischio? Che lo sviluppo si arresti per mancanza di persone. Per questo Confindustria ha acceso i riflettori sul tema, promuovendo una mappatura puntuale dei fabbisogni del settore, rilevando che servono nuove competenze, subito. Profili capaci di operare in contesti digitalizzati, globali, a forte densità tecnologica. Serve una formazione al passo con i tempi, ma anche una regia che metta in connessione stabile scuola, università, imprese.
Cosa fare? Occorre agire su tre priorità non più differibili.
- Rilanciare la formazione tecnica e professionale. L’istruzione deve tornare a dialogare con la realtà produttiva. Gli ITS vanno rafforzati e considerati un pilastro strategico per l’occupabilità giovanile. Vanno costruite filiere formative verticali e coerenti, capaci di guidare i giovani verso specializzazioni concrete e immediatamente spendibili. Anche l’università deve riallinearsi ai bisogni reali delle imprese: servono percorsi snelli, multidisciplinari, orientati all’operatività.
- Semplificare l’accesso alle professioni marittime. Norme obsolete, burocrazia farraginosa e percorsi rigidi scoraggiano l’ingresso dei giovani nel settore. Serve una revisione normativa mirata, che aggiorni gli standard, rimuova ostacoli inutili e favorisca la mobilità. È il momento di istituire una piattaforma nazionale che metta in rete formazione e produzione, orientando in modo efficace studenti e famiglie verso le reali opportunità del settore marittimo e logistico.
- Premiare chi forma. Le imprese che investono nel capitale umano devono essere sostenute con strumenti fiscali mirati, apprendistato di qualità, modelli duali efficaci. Non si tratta di una concessione, ma di una leva strategica. Chi forma oggi, garantisce crescita e competitività domani. Non bastano misure spot: serve una strategia strutturale, che riconosca la formazione come parte integrante della politica industriale.
In questo scenario, anche il Piano Mattei rappresenta un’opportunità concreta. L’economia del mare può diventare un ponte stabile tra Europa e Mediterraneo, grazie a scambi, tirocini, mobilità e cooperazione tra sistemi educativi. È possibile costruire una comunità di competenze condivise, attrarre talenti e rafforzare il ruolo dell’Italia come hub formativo e produttivo nel bacino euro-mediterraneo.
Il capitale umano non è un dettaglio. È l’infrastruttura invisibile ma fondamentale su cui si regge ogni ambizione di crescita, ogni transizione tecnologica, ogni progetto di sviluppo sostenibile. Se vogliamo che l’economia del mare sia davvero una leva strategica per il Paese, dobbiamo rimettere al centro le persone.
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