
Dopo nove mesi di guerra Russia e Ucraina restano su posizioni distanti. Quali sono, a suo avviso, le condizioni essenziali per arrivare a una pace che non venga disattesa dopo poco tempo?
Purtroppo una ricetta facile per una pace non esiste. Nelle ultime settimane si è tornato a discutere dell’opzione di un negoziato. Funzionari americani ai più alti livelli ne starebbero parlando con i loro corrispettivi russi. Lo stesso Cremlino ha lasciato aperto qualche spiraglio sulla ripresa delle trattative, mentre sul fronte opposto Zelensky ha rinunciato al vincolo di non negoziare con Putin.
Ma non dobbiamo illuderci. Resta irrisolto il nodo centrale di ogni possibile trattativa diplomatica: i confini dell’Ucraina una volta che sarà finita la guerra. Non è pensabile che Putin possa accettare un qualsiasi accordo in cui la Russia finisca per controllare gli stessi (o persino meno) territori in Ucraina di quelli che aveva prima del 24 febbraio. E, allo stesso modo, non si può chiedere a Zelensky di rinunciare a territori annessi da Mosca con la violenza, specialmente ora che la controffensiva sta avendo successo. Ecco perché una delle condizioni essenziali per una pace non potrà che essere il realismo, sia da parte degli ucraini che dei russi. Entrambi dovranno rinunciare a qualche pretesa territoriale.
Fra le dieci condizioni poste dall’Ucraina per arrivare alla pace, oltre al ripristino dell’integrità territoriale, vi è la sicurezza nucleare. Al proprio arsenale nucleare Kiev rinunciò con il Memorandum di Budapest nel 1994 e secondo qualche studioso il deterrente atomico forse avrebbe potuto scongiurare oggi un’azione russa così spregiudicata. Cosa ne pensa?
Difficile giudicare a posteriori e di “what if” la storia è piena. All’epoca il Memorandum di Budapest sembrava poter essere la migliore delle garanzie per assicurare l’integrità territoriale dell’Ucraina. E anche dopo il 2014 non si pensava che Putin potesse davvero intraprendere un’invasione su larga scala. Cosa sarebbe poi potuto accadere se la Russia avesse comunque attaccato un’Ucraina dotata di atomica?
Il G20 di Bali è stata l’occasione per il primo bilaterale fra Cina e Stati Uniti dall’elezione del presidente Biden. Nonostante le molte questioni aperte, il clima è apparso disteso. Quali benefici avrebbero entrambi i paesi da una rapida conclusione della guerra?
Innanzitutto, benefici economici. Non a caso nel comunicato finale del G20 i paesi membri sono rimasti divisi sulle cause e responsabilità della guerra in Ucraina, ma hanno condannato all’unanimità le sue severe conseguenze economiche. Che sono evidenti guardando alle previsioni pubblicate di recente da varie organizzazioni internazionali, dal Fondo monetario internazionale all’Ocse. Dall’inizio della guerra le stime di crescita del Pil statunitense sono state più che dimezzate. L’inflazione e i prezzi della benzina negli Usa hanno toccato livelli record ed è anche a causa di questo che Biden ha rischiato un tracollo alle elezioni di midterm. In maniera affine, anche complici i ripetuti lockdown imposti quest’anno, la Cina ha fallito nel raggiungere il suo target di crescita per il 2022, nonostante fosse il più basso degli ultimi trent’anni.
Gli impatti del conflitto russo-ucraino non si limitano però alla sola sfera economica. Per gli Stati Uniti la guerra in Ucraina rappresenta infatti anche una distrazione di mezzi e risorse dall’Indopacifico e la competizione con la Cina, considerata la vera rivale per il primato geopolitico. Mentre per Pechino, l’amicizia definita “senza limiti” con Mosca rischia di intaccare il prestigio internazionale cinese, man mano che si moltiplicano gli attacchi contro i civili e le minacce nucleari russe. La fine delle ostilità porterebbe quindi anche chiari benefici strategici e reputazionali sia per Washington che per Pechino.
La caduta di un missile in territorio polacco avvenuta a novembre ha fatto temere alla comunità internazionale un’escalation. Come è stata gestita questa crisi? Potrebbero accadere altri episodi simili?
La crisi è stata gestita dimostrando che di fronte al rischio concreto di una escalation esiste un freno di emergenza. Quando ancora non c’erano ancora notizie certe sull’origine del missile, Zelensky e i paesi baltici puntavano il dito contro Mosca. Intanto la Polonia convocava il proprio consiglio di Sicurezza. Già nella notte, grazie ai colloqui tra Washington e Mosca, è però prevalsa la linea della prudenza.
Nonostante la presenza di falchi sia in Europa, che tra i funzionari della Casa Bianca e del Cremlino, la vicenda non è stata quindi strumentalizzata. Non si può, però, escludere il ripetersi di episodi simili visto che Mosca sta continuando con i bombardamenti a tappeto contro le città ucraine.
La guerra in Ucraina ha mostrato i diversi rapporti che gli stati membri dell’Unione europea intrattengono con la Russia. Ciò è apparso evidente quando si è trattato di decidere sulle sanzioni economiche o di affrontare la questione energetica. Come uscirà l’Unione da questa guerra?
Dipende da quanto durerà questa guerra. Finora è emersa un’Unione più unita rispetto al passato. Sono stati approvati all’unanimità otto pacchetti di sanzioni contro la Russia nonostante sia (o sia stata) uno dei principali partner commerciali di molti Stati membri. Non abbiamo poi visto le divisioni tra paesi europei emerse in occasione delle guerre in Libia e Iraq. E anche l’evoluzione della governance economica dell’Unione sta traendo beneficio da questi anni di crisi multiple, come dimostra la recente proposta di riforma del Patto di stabilità.
Più la guerra si prolunga, più rischia di diventare difficile far fronte comune contro Mosca. Specialmente se il suo ricatto energetico costringerà a razionamenti più duri di quelli attuali e metterà alla prova la solidarietà tra paesi europei. Il rischio è di avere dopo la guerra un’Unione provata nei suoi legami ma anche nella sua autonomia strategica e competitività. Di fronte alla crisi, la Nato ha notevolmente rafforzato la sua forza militare, mentre il progetto di un esercito europeo rimane fermo a pochi effettivi. Allo stesso tempo, il differenziale dei prezzi dell’energia in Europa rispetto agli Stati Uniti sta portando più di una grande azienda a riconsiderare le sue scelte di investimento al di fuori del Vecchio Continente.
L’importanza strategica dell’Ucraina, sia sotto il profilo energetico che alimentare, è evidente. Il futuro di questo paese è dentro o fuori l’Unione europea?
Il futuro dell’Ucraina sembra essere dentro l’Unione europea. A giugno Kiev ha ricevuto in tempi record lo status ufficiale di candidato. Nonostante le incognite legate alla guerra difficilmente si potrà venir meno a questa promessa. Anche perché l’ingresso nell’Ue rappresenta una delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina più digeribili da Mosca. La questione aperta è quando sarà questo futuro dentro l’Unione. Ci potrebbe voler più di un decennio per poter passare dallo status di paese candidato a quello di Stato membro. Ne sanno qualcosa i paesi balcanici fermi da tempo nella “sala d’attesa dell’Ue”. Una sfida che per Kiev è ancora più grande visto che l’allineamento alle normative comunitarie dovrà andare di pari passo con la ricostruzione post-guerra.
(Articolo pubblicato sul numero di dicembre dell’Imprenditore)