
“È impossibile mantenere la produzione con un tale differenziale di costo rispetto ad altri paesi, Ue ed extra Ue, nostri competitor”. È l’allarme che i quattro presidenti delle Confindustrie regionali del Nord – Annalisa Sassi per l’Emilia Romagna, Francesco Buzzella per la Lombardia, Marco Gay per il Piemonte ed Enrico Carraro per il Veneto – hanno lanciato nel corso di un incontro straordinario avuto nei giorni scorsi con gli assessori regionali allo sviluppo economico.
La conseguenza, si legge in una nota congiunta, è quella di andare a “colpire non solo le imprese esportatrici dirette, ma anche tutta la filiera produttiva, con un effetto pesantemente negativo sulle piccole e medie imprese intermedie nella filiera”. A questo va aggiunto l’annullamento del rilancio economico post pandemia, che si era cominciato a intravedere grazie a un portafoglio ordini che per molte imprese vede numeri positivi. Ma produrre sta diventando antieconomico.
Durante la riunione sono stati presentati i dati relativi agli incrementi dei costi energetici dal 2019 al 2022 nelle quattro regioni. “Mentre nel 2019 il totale dei costi di elettricità e gas sostenuti dal settore industriale delle quattro regioni ammontava a circa 4,5 miliardi di euro – si legge nel documento – nel 2022 gli extra-costi raggiungeranno, nell’ipotesi più ottimistica rispetto all’andamento del prezzo, una quota pari a circa 36 miliardi di euro, che potrebbe essere addirittura superiore ai 41 miliardi nello scenario di prezzo peggiore”.
La preoccupazione è per le ricadute sistemiche di una tale situazione, che non riguarda solo le imprese ma tutta la società e rischia di coinvolgere lavoratori e famiglie. Gli imprenditori hanno parlato infatti del “forte rischio di deindustrializzare il Paese mettendo a repentaglio la sicurezza e la tenuta sociale nazionale”. Da qui l’appello per un intervento immediato con misure di contenimento.
In particolare, i rappresentanti degli imprenditori chiedono:
- l’introduzione di un tetto al prezzo del gas (europeo o nazionale);
- la sospensione del meccanismo europeo che prevede l’obbligo di acquisto di quote ETS a carico delle imprese;
- la riforma del mercato elettrico e la separazione del meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità da quello del gas;
- misure per il contenimento dei costi delle bollette con risorse nazionali ed europee;
- la destinazione di una quota nazionale di produzione da fonti rinnovabili a costo amministrato all’industria manifatturiera.
Sull’argomento e sull’assoluta necessità di intervenire è tornato anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che aveva già espresso le sue posizioni in un’intervista apparsa sul Corriere della Sera il 26 agosto.
Intervenuto nel corso dell’edizione serale del Tg1 del 30 agosto, Bonomi ha affermato che “le imprese italiane hanno fatto miracoli a partire dall’emergenza pandemica. Hanno sostenuto i costi delle materie prime, la loro mancanza, l’aumento dei costi energetici, ma ora sono arrivate a un punto in cui fanno grande difficoltà”.
“Noi purtroppo abbiamo fatto dieci anni di scelte sbagliate per l’Italia, ma soprattutto dobbiamo sottolineare che è mancata l’Europa – ha aggiunto –-. L’Ue non ha attuato una politica industriale e neanche una politica energetica. Forse oggi vediamo cambiare l’atteggiamento di alcuni singoli Stati membri. Ma è più di un anno che lo stiamo dicendo: ricordo l’accorato appello dello scorso 10 novembre con i presidenti delle Confindustrie francesi e tedesca, Medef e Bdi, proprio per affrontare quella crisi energetica che già si intravedeva. Dobbiamo dire che l’Europa è mancata”.