L’Africa e il Medio Oriente sono al centro della strategia di business di Eemaxx Innovation, società del gruppo Eemaxx attiva nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Giuseppe D’Alessandro (nella foto in alto), direttore dello sviluppo dell’azienda e Ceo di Eemaxx Engineering, altra società del gruppo, racconta i progetti attualmente in corso in Italia, finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in Africa e Medio Oriente. D’Alessandro ha, inoltre, le idee molto chiare su come debba muoversi il nostro Paese per essere più presente in Africa e auspica che si attui “a livello europeo un piano di sviluppo per l’Africa che ci veda capofila in ambito energetico”.
Quando nasce Eemaxx e di cosa si occupa?
L’azienda nasce nel 2010 da una costola del gruppo Windvision e opera nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. La nostra attività si è concentrata primariamente nella costruzione di grandi impianti fotovoltaici ed eolici.
Oggi ci occupiamo anche di impianti di biomassa, biogas, idrogeno verde e, da ultimo, stiamo facendo anche impianti di biometano da reflui zootecnici.
Come è strutturata l’impresa?
Eemaxx Innovation, che è l’azienda associata a Confindustria Assafrica & Mediterraneo, è la nostra ESCo (Energy Service Company) in Italia ed è figlia del gruppo Eemaxx che ha sede a Maastricht, in Olanda. Le due holding, WSB Energy Holding B.V. e Eemaxx Investments BV, detengono a grappolo oltre 30 aziende, tutte focalizzate sul settore delle rinnovabili e anche, eccetto in Italia, della progettazione per il waste to energy.
Per quanto riguarda la forza lavoro, questa è composta all’80% da ingegneri e da una parte che si occupa dello sviluppo del business e del financial modelling. Siamo circa 80 dipendenti sparsi tra Paesi Bassi, Belgio, Germania, Italia, Grecia, Serbia, Bosnia, Marocco e Senegal. Con il bilancio consolidato di tutti i paesi raggiungiamo i 150 milioni di euro. Il gruppo è composto, infatti, da oltre 90 società che vengono gestite da Maastricht.
In Italia operano 15 società, tra cui Eemaxx Innovation ed Eemaxx Engineering. Abbiamo una presenza nei Balcani, in Serbia, Croazia, fino in Kazakistan. Siamo anche in Medio Oriente, in Oman, e nel continente africano copriamo l’area settentrionale, occidentale e orientale. Il fatturato di Eemaxx Engineering nel 2021 è stato di 1,4 milioni di euro e nel 2022 si è attestato sulle stesse cifre.
Quali progetti state portando avanti con Eemaxx Innovation?
Abbiamo avviato l’attività nel 2022 e abbiamo in cantiere, in Italia, investimenti per oltre 30 milioni di euro. Le altre Special purpose vehicle – dette SPV, ovvero le società proprietarie dei singoli impianti e che detengono i contratti di fornitura di energia – facenti parte del Gruppo di Eemaxx Innovation si occupano di altre iniziative, come le Hydrogen Valley, oggetto dei bandi del Pnrr attualmente in corso per finanziare gli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde da fonti rinnovabili.
Attualmente stiamo sviluppando progetti per alcuni nostri off-taker (ovvero i clienti finali che acquistano l’energia prodotta da impianti di rinnovabili, ndr) in Piemonte, Campania, Sardegna, Puglia, dove siamo investitori, per creare dei cluster per le hydrogen valley con fotovoltaico ed elettrolizzatori, ovvero impianti che permettono di produrre idrogeno tramite l’elettrolisi dell’acqua.
In altre regioni abbiamo impianti fotovoltaici per altri nostri off-taker.
Quanto contano Africa e Medio Oriente sul vostro fatturato?
Per queste aree, la quota di fatturato si aggira intorno al 50%. Sono in itinere molti progetti, anche se i vari iter autorizzativi sono più lunghi rispetto all’Italia, in quanto in quelle aree gli impianti fotovoltaici hanno una potenza maggiore. Ad esempio, in Egitto stiamo sviluppando un impianto fotovoltaico da 500 mw e un impianto da 100 mw di idrogeno verde.
In Italia, invece, stiamo utilizzando la Pas (Procedura abilitativa semplificata), che costituisce la nuova forma di titolo abilitativo per l’attività di costruzione ed esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Tra richiesta di connessione elettrica all’Enel e presentazione della Pas, possiamo essere cantierabili in sei mesi su suoli industriali, cave o discariche dismesse bonificate.
Come nasce l’interesse per l’Africa e il Medio Oriente?
Il Gruppo Windvision è presente dal 2008 in Marocco e in Tunisia con impianti eolici. In Marocco e in Senegal abbiamo società con nostri ingegneri e personale locale. Nel 2018, partendo dal Senegal, abbiamo avviato l’altra campagna d’Africa. Successivamente siamo stati in Guinea, Costa d’Avorio, Sudan, Egitto, Libia e, da ultimo, è arrivata la Tunisia.
La prossima settimana, grazie ai contatti nati con il supporto di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, sarò in Tunisia per incontrare il ministro dell’Energia per discutere di un bando da 1 GW, la cui scadenza è a giugno ma che vorrei collegare all’idrogeno verde da esportare in Italia tramite il gasdotto Transmed, detenuto al 50% da Eni e da Snam, che parte dall’Algeria, passa per la Tunisia e arriva a Mazara del Vallo.
Che tipo di supporto ha ricevuto da Confindustria Assafrica & Mediterraneo?
Quando ho conosciuto la realtà di Confindustria Assafrica & Mediterraneo ho compreso che era l’associazione nella quale dovevamo essere presenti. Non solo perché opera in un quadrante geografico di nostro interesse, ma anche per la concretezza del supporto. Grazie a loro abbiamo aperto altri canali che prima non erano facili da raggiungere, come in Oman e in Tunisia.
Anche sotto l’aspetto finanziario l’intervento è stato importante. In questo momento abbiamo un’interlocuzione con Banca Ubae per la Libia e, tramite altri incontri organizzati dall’associazione, abbiamo potuto confrontarci con la World Bank e l’African Development Bank.
Inoltre, l’associazione ha ospitato nella sede di Confindustria la firma di un Memorandum of Understanding tra Eemaxx Engineering e Zadna International Investment Co. Ltd., major player sudanese, alla presenza dell’ambasciatore del Sudan in Italia Mohamed Elmouataz Jaffar Osman, il presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, Massimo Dal Checco e l’allora presidente di Oice Gabriele Scicolone. L’attività portata avanti dall’associazione dà alle imprese che ne fanno parte un plusvalore che non ha eguali.
In quali paesi africani sta crescendo di più la domanda di energia rinnovabile?
Da alcuni studi di World Bank, African Development Bank e Bei emerge chiaramente come tutto il continente abbia maggiore necessità di energia, derivante possibilmente da fonti rinnovabili.
Sto notando anche una buona propensione in Egitto e Tunisia per tutto ciò che riguarda le rinnovabili: non solo fotovoltaico ed eolico, ma anche idrogeno verde. Lo stesso dicasi per l’area occidentale, ovvero Senegal, Marocco fino alla Mauritania.
Potremmo dire che i paesi dove troviamo la maggiore propensione alle rinnovabili sono quelli del Nordafrica e dell’Africa occidentale. D’altro canto, questi paesi sono prioritari anche per noi per la produzione e l’esportazione di energie rinnovabili e per la produzione in loco di idrogeno verde, che va portato in Europa attraverso i tre gasdotti: l’EastMed, che parte dall’Egitto, passa per Cipro e arriva in Grecia; il Greenstream, che parte dalla Libia e arriva a Gela; e infine il Transmed, che collega Algeria e Italia passando per la Tunisia.
Da cosa dipende la crescita delle rinnovabili, dalla spinta dei governi o da quella imprenditoriale?
Prima di tutto è necessaria la spinta dei governi, almeno per semplificare le autorizzazioni. Ci può essere tutto l’interesse possibile da parte delle imprese, anche ad investire, ma se poi l’iter autorizzativo comporta lunghe attese, inevitabilmente il business model adottato non funziona più.
È compito imprescindibile dei governi gestire in maniera efficace ed efficiente l’insieme delle regole applicative e autorizzative, altrimenti si corre il rischio di presentare progetti che resteranno lettera morta, non riuscendo a superare i paletti normativi. Questo accade anche in Italia, infatti il prossimo decreto semplificazioni prevederà un incremento della potenza autorizzabile con una Pas.
Che opportunità ci sono per le imprese italiane in questo settore? Quali invece gli ostacoli tecnici e normativi?
In Italia, nel settore delle rinnovabili, si riscontra la mancanza di una supply chain tecnologica. Mancano pannelli solari, turbine eoliche e batterie atte allo storage. Siamo sviluppatori, investitori e ottimi general contractor e installatori, ma tutto l’equipment necessario non viene coperto dalle imprese italiane.
La mancanza di una produzione della componentistica made in Italy è un minus in termini di valore aggiunto; se ci fosse, permetterebbe di fare quel passo in più in termini di competitività.
D’altro canto, nei paesi dove siamo presenti, come il Senegal, non riscontriamo grandi ostacoli normativi. Lo stesso vale in Tunisia ed Egitto, dove le valutazioni per l’impatto ambientale, rispetto all’Italia, sono meno complesse e non bloccano i lavori per anni.
Quali altri paesi competono con l’Italia nell’offerta di soluzioni per le rinnovabili in Africa?
Nel corso della nostra esperienza abbiamo stretto importanti collaborazioni con vari paesi europei. In particolare, con Francia e Germania siamo co-investitori industriali. In Marocco abbiamo, ad esempio, una partnership con Total Energie. Abbiamo creato anche collaborazioni industriali e finanziarie con la Norvegia e partnership finanziarie con fondi di investimento inglesi. Questi paesi rappresentano per noi dei co-sviluppatori imprescindibili.
Riscontriamo, invece, che la Cina sia il competitor più aggressivo in Africa. Attraverso la Belt and Road Initiative per le infrastrutture, è riuscita a penetrare in maniera capillare nel continente, assumendo un modus operandi predatorio, soprattutto per tutto ciò che riguarda l’approvvigionamento delle terre rare (17 metalli presenti nella tavola periodica degli elementi chimici, ndr).
I cinesi non sono molto presenti nel settore delle rinnovabili, ma hanno una forte influenza nelle infrastrutture e nelle terre rare, considerati il petrolio del XXI secolo, che importano nel paese per produrre componenti per la transizione energetica e per le telecomunicazioni.
Cosa dovrebbe fare il nostro Paese per essere più presente su questi mercati?
Sono molti i passi che potremmo compiere. In primis attuare a livello europeo un piano di sviluppo per l’Africa che ci veda capofila in ambito energetico. Poi, puntare su alcuni paesi e settori prioritari, come l’agribusiness e le energie rinnovabili per la produzione di idrogeno verde; infine, portare sviluppo grazie alla tecnologia italiana.
Però, come ho detto prima, è necessario che l’Italia si doti di una propria supply chain tecnologica e la vada a spendere in loco, ad esempio con i fondi europei, come con il programma “Global Gateway”, per il tramite del Sistema Italia con a capo il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Simest che interviene nel co-sviluppo, Sace che dà le garanzie di Stato, e Cassa Depositi e Prestiti che co-finanzia con altri attori finanziari come l’African Development Bank, la World Bank e la Bei.
Ci sarebbe molto da fare, pensando di andare non come singoli paesi, bensì con un programma continentale di sviluppo ben definito e indicando per quest’ultimo un inviato per l’Italia: siamo il paese più prossimo al continente a livello geografico e un hub energetico per l’Europa.
Che approccio consiglia a chi si avvicina a questi mercati?
Per un’impresa italiana che vuole lavorare all’estero, non solo in Africa, è imprescindibile cercare sempre un partner locale qualificato e già presente nel settore in cui si vuole operare. In questo modo si ha il 50% della strada imprenditoriale e autorizzativa tracciata.
Dall’altro lato, anche agli occhi degli interlocutori e delle autorità pubbliche locali, avere un partner locale fa capire che l’impresa non ha intenti predatori, ma, in un’ottica win-win, svilupperà sé stesso e porterà valore aggiunto al partner locale e al paese. Questo modus operandi finora ha premiato tutti i nostri sforzi.
(Prossima uscita: 3 marzo)
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Dal Pozzo (Sodimax): “Lavorare in Africa significa andare in Africa”
Martini (Studio Martini Ingegneria): “In Africa e Medio Oriente il mercato c’è”