
Un paese ricco di storia, tradizioni e cultura, assai più simile e vicino a noi rispetto a quanto la distanza dei 15 miliardi di export persi a causa dell’embargo nucleare lasci pensare.
Nonostante un quadro di indubbia difficoltà, però, alcune aziende italiane sono rimaste anche in questi anni. Come hanno fatto? Semplice, le sanzioni colpivano le produzioni direttamente connesse al nucleare oppure i cosiddetti beni “dual use”, utilizzabili in applicazioni civili ma anche militari, anche se non appositamente progettati per quest’ultimo uso. Una finestra che le aziende italiane hanno sfruttato con capacità e che oggi, con l’addio alle restrizioni economiche, candida il nostro paese a recuperare circa tre miliardi di export nei prossimi due anni e tornare ai sette miliardi di interscambio raggiunti prima che scattassero le sanzioni.
Con la vittoria alle elezioni presidenziali di Hassan Rouhani, il 14 giugno 2013, si è segnato l’inizio di una fase di apertura verso l’Occidente, che ha portato all’accordo tra Teheran e le potenze mondiali sul programma nucleare iraniano lo scorso 14 luglio.
L’Italia, da parte sua, ha sempre dato segnali chiari di non voler troncare l’amicizia con Teheran. Segnali che nell’ultimo anno sono diventati più concreti. In agosto c’è stata la visita istituzionale dei Ministri Guidi e Gentiloni e a novembre la più grande missione imprenditoriale mai realizzata dal nostro Paese. Centosettantotto imprese, 20 associazioni imprenditoriali, 12 gruppi bancari, un totale di 370 partecipanti per un mercato di grande interesse, quasi 80 milioni di abitanti, la metà dei quali sotto i trent’anni, alti livelli di istruzione, il 60 per cento dei laureati donne.
Teheran ha subito risposto a gennaio, all’indomani dell’Implementation Day, giorno che ha segnato la fine delle sanzioni, con la visita del Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran Hassan Rouhani. Una tre giorni che ha visto, oltre al Forum economico tra imprenditori, anche la firma di 17 Memorandum of Understanding, alla presenza del presidente del Consiglio Matteo Renzi.
A febbraio siamo subito ritornati in Iran con i Ministri Martina e Delrio per dare immediato seguito operativo agli accordi e cogliere le tante opportunità create dalla riapertura di un paese che dovrà ricostruire nei prossimi anni circa quattro milioni di nuove unità abitative, rinnovare il suo parco auto incrementando la produzione di vetture a due milioni l’anno e ammodernare gli impianti infrastrutturali e industriali esistenti.
In quest’ottica va letta l’intesa tra il Gruppo Fs e le Ferrovie Iraniane per lo sviluppo di alcune linee dell’alta velocità in Iran, valore complessivo di export credit che potrà raggiungere i cinque miliardi di euro. Così come quella tra Aie, controllata del Gruppo Anas, e la Construction and Development of Transport Infrastructures Company, l’ente iraniano incaricato della costruzione delle nuove grandi infrastrutture di trasporto, che concede in esclusiva ad AIE lo studio del completamento del Corridoio stradale Nord-Sud, un itinerario di circa 1.500 chilometri. Nell’ambito oil&gas ha inciso particolarmente la mancata possibilità di accedere alla tecnologia e all’expertise europeo, da cui l’Iran dipende fortemente, tanto che le esportazioni di greggio sono crollate ai minimi storici da dieci anni.
Vanno ricordati, quindi, i recenti protocolli d’intesa firmati da Saipem con le aziende iraniane National Gas Company e Persian oil&gas Company per lavori di miglioramento delle raffinerie di Pars Shiraz e Tabriz. Insomma, il nostro Paese non sta davvero perdendo tempo.