Superato il mezzo milione di vittime accertate e i dieci milioni di casi positivi nel mondo, al sesto mese dalla esplosione pandemica il dibattito pubblico offre un panorama articolato di opzioni tra tesi scientifiche contrapposte e possibili, e talvolta fantasiosi, intrighi internazionali. A questo si aggiunge come la spasmodica ricerca di un presunto benessere da parte dell’essere umano possa essere additata come la maggiore responsabile di quanto accaduto e tuttora gravemente in atto.
Comunque la si veda, inquinamento e cambiamenti climatici parrebbero non essere affatto estranei: se questi sono – come innegabilmente sono – gli effetti delle scelte operate nei trascorsi decenni, questa volta non è un azzardo pensare a una vera e propria “rivolta della natura”.
Ripensare al nostro rapporto con il pianeta – dobbiamo ammetterlo – è indispensabile e urgente. Ma senza ipocrisia e con tanto coraggio. Grave sarebbe farlo come chi esercita il potere ma non ama essere sottoposto a giudizio, dimenticando spesso che all’esercizio del potere corrisponde l’assunzione di responsabilità.
Credere che la libera circolazione delle persone e dei beni possa essere messa in discussione sarebbe assurdo, ma prima di trovarci costretti a subire un bel pacchetto di divieti (ovviamente incrociati) con l’effetto immediato di una regressione di decenni, sarebbe meglio attivare una profonda revisione delle regole e degli organismi che hanno fallito per manifesta inadeguatezza rispetto agli effetti della pandemia.
Va fatto velocemente, perché la caccia alle streghe è partita e cresce la voglia di processi sommari. Per non pensare al peggio, con la degenerazione in gravi e anacronistici episodi, come quelli ai quali assistiamo in questi giorni a danno di nostri colleghi.
Territori e imprese sono il bandolo di questa intrecciata matassa. In emergenza, la storia lo insegna, la politica non basta: comunità sociali ed economiche, pur avendo anch’esse dimostrato evidenti limiti, costituiscono l’unico, autentico e grande potenziale da canalizzare verso una virtuosa ripresa che dobbiamo essere capaci di vedere e attivare.
Per questo la Piccola Industria di Confindustria si è impegnata nella stesura di un documento di proposte, la cui sintesi trova spazio nelle pagine di questo numero “estivo”, che sarà pienamente lavorativo per moltissime imprese italiane.