
Tutto iniziò con “la miglior farina del contado”, che don Nicola De Cecco produceva nel suo molino a pietra. Da lì è partito quel lungo percorso di crescita che intreccia le vicende della famiglia, dell’azienda, del territorio.
Una tradizione di cui è custode e protagonista Filippo Antonio De Cecco, oggi a capo dell’azienda.
Qual è il segreto di una storia così lunga?
Non so se sia corretto parlare di segreto. In realtà, dietro una storia così lunga ci sono tante sfaccettature: la passione per il lavoro, l’orgoglio di continuare il percorso avviato dal fondatore dell’azienda, il rapporto con i dipendenti e con i clienti. Potrei continuare a lungo, volendo. Nel nostro caso, storia fa rima con successo e successo fa rima con alta qualità. La gente ama la De Cecco perché sa che non verrà tradita quando acquisterà un prodotto con il nostro marchio. Ecco, se proprio dobbiamo individuare un segreto, puntiamo sull’alta qualità dei nostri prodotti, che ricerchiamo con pignoleria quasi ossessiva.
È una storia di azienda, ma è anche una storia di famiglia.
Certamente. La De Cecco è sempre stata al 100% della famiglia De Cecco, la cui passione si è rivelata determinante per preservare ai massimi livelli la qualità del prodotto.
Non ce ne sono molte di aziende manifatturiere di grandi dimensioni con 13 decenni alle spalle e una sola famiglia al comando.
I prodotti De Cecco sono simbolo della tradizione e della cultura alimentare del nostro Paese. Che cosa significano per voi le parole innovazione e tradizione?
Innovare significa essere moderni, al passo con i tempi. Anzi, se possibile, significa essere in anticipo sui tempi.
I nostri macchinari e i nostri impianti sono da sempre all’avanguardia perché non abbiamo mai fermato l’ammodernamento tecnologico. Produciamo in ambienti che sono quasi delle “sale operatorie”. Però, i criteri della produzione sono rimasti quelli di una volta.
Scegliamo i migliori grani, li misceliamo con sapienza, estraiamo solo il meglio dai chicchi, lavoriamo una grana grossa, trafiliamo in bronzo, essicchiamo lentamente. Il tutto si traduce in alta qualità. Concetto che, in toto, viene applicato a tutti gli altri prodotti della gamma De Cecco: olio, sughi pronti, rossi, bakery. Per qualcuno, l’abbinamento innovazione-tradizione può sembrare stridente. In realtà, non è così perché l’innovazione apporta migliorie, risparmio, ottimizzazione e lascia le giuste risorse alla preservazione della qualità dei prodotti.
Il processo di internazionalizzazione per De Cecco è cominciato già alla fine dell’800. Cosa ha significato nella vostra lunga storia la parola “crescita”?
La vocazione internazionale si è manifestata sin dalla nascita dell’azienda. Pochi anni dopo la fondazione, vincemmo la medaglia d’oro all’Esposizione internazionale di Chicago, in Illinois.
A fine Ottocento la nostra pasta era già in giro per il mondo: Stati Uniti d’America, Argentina, Europa. La presenza degli emigranti italiani contribuì fortemente alla nostra espansione. La crescita ce l’abbiamo nel dna. Anche per me è stata un pungolo costante: crescere come volumi, offerta e forza del brand.
E il futuro?
Il futuro direi che è già tracciato: ancora qualità assoluta e crescita.
Il vostro rapporto con il territorio?
Sebbene vi sia un forte legame affettivo, non posso nascondere delusione e amarezza per come vanno le cose nella nostra regione, specie nella zona di Fara San Martino: abbiamo infrastrutture scarse, costi logistici alti, energia elettrica a singhiozzo e tanti altri problemi. Le aziende investono dove trovano convenienza. La De Cecco sarà comunque sempre più globale.
Il made in Italy è ancora forte?
Il made in Italy è un concetto forte, ma bisogna stare attenti alle strumentalizzazioni e alle speculazioni. Se pensiamo che un prodotto sia di alta qualità semplicemente perché è fatto o viene coltivato in Italia, commettiamo un grandissimo errore. Il made in Italy continuerà ad avere un futuro se esprimerà un valore concreto e non sarà uno slogan. La qualità deve essere sostanza e non un timbro da apporre qui e là.
La pasta De Cecco non può prescindere dai migliori grani e li andiamo a prendere dovunque siano nel mondo. In Italia, purtroppo, abbiamo una produzione di grano limitata e, a dire il vero, non sempre all’altezza dal punto di vista qualitativo. Non serve aggiungere altro.
Quale consiglio per i giovani che oggi scelgono di essere imprenditori?
Innanzitutto mi complimento con loro per il coraggio. I tempi sono duri e non dobbiamo nasconderlo: rischiamo ogni giorno di essere stritolati da tasse e burocrazia. Il consiglio è semplice: qualunque sia il settore scelto, puntate sulla qualità.