
La “macchina continua” è il cuore della cartiera. Un gigante d’acciaio dove l’impasto di acqua e cellulosa si trasforma in carta. Funziona 24 ore su 24 e fa rumore. Ma non oggi: oggi lo stabilimento è buio. E non c’è nessuno.
L’impatto del conflitto e del caro energia sulle imprese è nel silenzio delle cartiere che hanno interrotto la produzione, dopo aver tentato la resistenza lavorando in perdita: decine, dal Nord al Sud Italia. È nelle parole dell’imprenditore della “Shoe Valley” marchigiana che non riuscirà a pagare gli stipendi di marzo (“in magazzino ho 600mila euro di merce destinata ai territori coinvolti”). Negli occhi smarriti dell’amministratore delegato della piccola impresa dell’arredo, con una spedizione per San Pietroburgo ancora ferma in porto in Italia, decine di container bloccati e dieci camion in Ucraina, oggi irreperibili. È nel senso di sconfitta dei vertici dell’azienda di ceramica che ha appena chiesto la cassa integrazione per i dipendenti: “Come si fa a produrre una piastrella che ci costa più del prezzo cui la vendiamo?”.
Ma è anche nelle telefonate – centinaia – arrivate nelle ultime settimane dalle aziende alle associazioni del Sistema Confindustria e all’Help Desk Nazionale. Nelle mail che partono di notte, e sempre di notte trovano risposta. Nella sensibilità e vicinanza del Sistema all’ambasciata ucraina per il supporto alla popolazione. Nei medicinali richiesti dalla Croce Rossa alle aziende del farmaco e già partiti per le zone flagellate dalla guerra. Nei beni di prima necessità per i profughi che il Programma Gestione Emergenze di Confindustria sta procurando grazie alla collaborazione-lampo delle imprese, e la mappatura di strutture idonee all’accoglienza – inclusi magazzini e capannoni degli imprenditori – avviata d’intesa con la Protezione Civile per la risposta all’emergenza in corso. Sono le porte degli alloggi per le famiglie in fuga – messi a disposizione da alcune Territoriali – che si aprono per far entrare donne e bambini.
I tir carichi di cibo e materiale sanitario destinati alle popolazioni colpite che all’alba lasciano le sedi delle associazioni di Confindustria. Il flusso continuo di informazioni e richieste che passa sui tavoli della rappresentanza di Confindustria Ucraina, dove un desk incrocia le offerte di posti letto e lavoro per i profughi in entrata (nella foto in alto, profughi alla stazione ferroviaria di Leopoli).
Ancora una volta il Sistema si compatta per reagire ad un’emergenza: si fa agile, bypassa i vincoli che nell’attività corrente rallentano i processi, i particolarismi e le formalità che sempre imbrigliano le grandi organizzazioni. Come durante la pandemia, le associazioni fanno quadrato attorno ai valori. E di nuovo, nasce una rete di Task Force.
La tempesta è sotto gli occhi di tutti: crollo dei mercati, instabilità diffusa, blocco dei commerci, sanzioni, tensioni valutarie. Al bisogno si risponde con pragmatismo e azione: si mette a fuoco l’obiettivo, si attiva la macchina.
L’effetto del conflitto in Ucraina e del caro commodity ha piegato le aziende su più fronti e su diversi binari Confindustria è scesa in campo a fare la sua parte. Quello della policy e della lobby, con l’importante sforzo di indirizzo dei processi decisionali in una delle fasi più turbolente di sempre. E quello dell’ascolto e dell’affiancamento personalizzato alle aziende: dalla multinazionale alla più piccola impresa di provincia. In un complesso esercizio di equilibrio tra la tutela dell’interesse comune e l’attenzione al particolare, tra il supporto tecnico e la vicinanza “calda” all’impresa e a tutte le sue persone. Uno scenario articolato dove si naviga a vista, ma si guarda lontano.
Lo abbiamo imparato con la pandemia: nelle crisi contano le grandi scelte e le piccole azioni. Conta la visita in azienda, il tempo ad ascoltare il management preoccupato. Conta la “rete” perché è nella spinta collettiva che trova impulso la resilienza. E conta il senso di responsabilità: quello di essere la prima associazione datoriale italiana, con 150mila imprese che generano il 34% del Pil e danno lavoro a 5,4 milioni di addetti.
Dietro al brand c’è una mission che parla chiaro – l’affermazione dell’impresa come motore della crescita economica, sociale e civile del Paese – e si traduce in fatti: nei giorni più caldi della crisi, dove impazza il caro bollette e aleggia l’ombra delle armi chimiche, l’Help Desk apre a tutte le aziende del Paese, anche non associate.
Chiedono di tutto: come gestire i dipendenti nell’improvvisa chiusura, se è possibile importare dalla Russia beni tessili come calze e filati, se un partner rientra tra i soggetti in black list, se le controllate sono soggette a vincoli nelle relazioni commerciali verso aziende, se il loro prodotto con una certa tariffa doganale rientra nella categoria di quelli sanzionati per export, se possono bloccare subito i propri flussi verso e dalla Russia per una scelta morale. Problemi cui si aggiungono complessità ad ampio raggio, a monte e a valle: crisi delle catene logistiche, interruzione di scambi economico-finanziari consolidati, separazione dalle succursali estere, privazione di una larga fascia di mercato.
L’incertezza ci ha reso abili a navigare in acque mosse: nel 2020 mentre salivano i contagi imparavamo ad accompagnare le riconversioni e poi a trasformare le sedi in hub vaccinali. Oggi, mentre si bloccano le filiere e avanza l’incubo della guerra “in casa”, troviamo soluzioni inedite ad impensabili necessità e studiamo nuovi approcci alla transizione energetica, su cui da tempo indirizziamo gli sforzi.
Parte, intanto, la corsa per la solidarietà: è al via la raccolta fondi per sostenere in modo concreto la popolazione ucraina. Qui confluiranno i contributi volontari di lavoratori e imprese legate a Confindustria. Un primo contributo cui seguirà più avanti un impegno verso la formazione dei giovani ucraini, anche con borse di studio da parte delle università Luiss Guido Carli e Liuc Università Carlo Cattaneo, perché le conoscenze sono la leva per dare ai giovani un futuro.
Ci sono i numeri a ricordare l’urgenza di agire, anticipando gli scenari e le riflessioni su come affrontarli: secondo il Centro Studi Confindustria “gli effetti del conflitto contribuiranno a generare ulteriori squilibri nell’attività industriale dei prossimi mesi peggiorando la scarsità di alcune commodity, rendendo più duraturi gli aumenti dei loro prezzi, oltre ad accrescere l’incertezza, rischiando di compromettere così l’evoluzione del Pil nel 2022”.
Nei corsi di marketing e comunicazione efficace si insegna che la relazione tra persone – come tra un brand e i suoi stakeholder – è debole se si gioca sul piano “funzionale”: un legame cresce e si rafforza quando si raccolgono e trasferiscono emozioni. Vale in tempi “ordinari” come nelle emergenze. Vale per le aziende sul mercato e le organizzazioni.
Nelle crisi le emozioni hanno nomi e gli imprenditori li conoscono tutti: paura, senso di solitudine, insicurezza, rabbia, confusione, ansia. Per un imprenditore il coraggio non corrisponde all’assenza di paura, ma alla capacità di andare avanti nonostante questa. Un percorso in salita dove procediamo, con responsabilità, insieme.
(Articolo pubblicato sul numero di aprile dell’Imprenditore)