
TOMASO COGNOLATO
I porti italiani rappresentano un’infrastruttura centrale del sistema logistico, produttivo e industriale del Paese. Sono le porte d’accesso delle nostre merci ai mercati globali, facilitano l’import-export, movimentano milioni di passeggeri ogni anno e generano occupazione diretta e indiretta in settori altamente specializzati. Ma oggi, in un contesto segnato da transizioni tecnologiche ed energetiche e da tensioni geopolitiche crescenti, il sistema portuale nazionale necessita di una svolta profonda e strutturale.
Per Confindustria, che ha avviato un lavoro organico sul tema attraverso un apposito gruppo di lavoro, le priorità sono chiare: investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, elettrificazione delle banchine, sostegno all’uso di combustibili alternativi, potenziamento dell’intermodalità e semplificazione delle procedure.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta ancora un’opportunità concreta per sostenere questa trasformazione, ma va gestito con maggiore rapidità ed efficacia, evitando ritardi autorizzativi e criticità attuative che rischiano di vanificare gli obiettivi prefissati.
Tra le criticità più rilevanti vi sono i dragaggi, ancora frenati da iter amministrativi complessi e tempi incompatibili con le dinamiche del mercato. Senza fondali adeguati, nessuna strategia di rilancio può reggere. Allo stesso modo, occorre colmare il divario infrastrutturale che ancora separa molti porti italiani dalle principali direttrici ferroviarie e stradali europee. L’interconnessione è la chiave per rendere competitiva la portualità nazionale.
Ma non basta investire in opere. I porti devono diventare poli energetici e tecnologici al servizio dell’industria e della logistica. In questo senso, strumenti come la ZES Unica e le Zone Logistiche Semplificate possono rappresentare volani importanti, a condizione che siano rese operative con regole semplici, coordinate e di lungo periodo. Occorre una cornice normativa stabile, che garantisca certezza agli investitori e incentivi alla transizione ecologica e digitale.
Al centro della riflessione anche il tema della governance. L’attuale frammentazione delle competenze e il moltiplicarsi dei livelli decisionali rappresentano un freno. Serve una regia unitaria e autorevole, che rafforzi il ruolo delle Autorità di Sistema Portuale, superi le sovrapposizioni tra enti e amministrazioni, e coinvolga in modo strutturato il mondo imprenditoriale e le rappresentanze del lavoro.
Infine, il lavoro portuale va valorizzato nella sua unicità. È necessario costruire un sistema normativo omogeneo, che tuteli la sicurezza, riconosca la complessità delle attività operative e favorisca il ricambio generazionale, anche attraverso formazione mirata e politiche attive del lavoro.
La competitività del sistema portuale italiano passa da qui: visione, investimenti, semplificazione e capacità di fare sistema. Serve concretezza e volontà politica per mettere i porti italiani al centro della strategia di crescita del Paese.
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