
LUCA SISTO
Il mare è la più potente infrastruttura naturale del nostro Paese. È la dorsale liquida che consente all’Italia di esportare, importare, muoversi e competere. Ogni giorno connette i nostri prodotti ai mercati globali, garantisce approvvigionamenti strategici, trasporta persone e merci, genera occupazione qualificata lungo l’intera filiera.
In questo contesto, l’infrastruttura mobile per eccellenza è la nave: è lei che attraversa i mari, collega porti, trasporta merci, persone, carburanti, sicurezza, consente l’installazione e la manutenzione delle reti sottomarine per le comunicazioni e l’energia. Rappresenta il cardine della connessione tra il Paese e la logistica mondiale. E oggi questa infrastruttura vitale è sotto pressione.
La flotta italiana – moderna, diversificata, tecnologicamente avanzata – è chiamata ad affrontare sfide complesse: la decarbonizzazione, la scarsità di carburanti alternativi, la frammentazione normativa a livello europeo, l’eccesso di oneri burocratici che rallentano operatività e competitività.
Lo shipping italiano, però, non è rimasto immobile. Il 28% della flotta ha meno di dieci anni. L’80% delle nuove navi ordinate sarà alimentato da combustibili green. Un segnale concreto di impegno verso la transizione. Ma da solo non basta. Servono politiche pubbliche coerenti, strutturate e di lungo periodo.
La prima leva è l’utilizzo mirato delle risorse generate dallo European Emissions Trading System (ETS): devono essere reindirizzate al settore marittimo per finanziare investimenti in tecnologie a basse emissioni, infrastrutture energetiche dedicate, digitalizzazione e tracciabilità. È altrettanto urgente rilanciare un piano nazionale per il rinnovo della flotta, aggiornato nei criteri e capace di accompagnare la transizione in modo concreto ed efficace.
Ma la trasformazione richiede anche una decisa semplificazione. Oggi un armatore interagisce con almeno dieci ministeri: un labirinto burocratico che ostacola sviluppo e innovazione. Servono sportelli unici, norme stabili, percorsi formativi chiari e qualificanti per facilitare l’accesso alle professioni marittime. Gli ITS Academy sono un presidio fondamentale che va sostenuto con decisione.
Il “Pacchetto Omnibus” in discussione a Bruxelles offre una cornice utile, ma lo scatto decisivo deve avvenire a livello nazionale. La nomina di un ministro dedicato all’Economia del mare, di un Comitato ministeriale come il Cipom, la redazione del primo Piano del Mare (è in via di perfezionamento il primo aggiornamento) sono chiari segnali che il Paese è sulla rotta giusta, ma occorre proseguire con decisione per valorizzare il potenziale del mare quale asse industriale strategico del Paese.
Perché il mare non è solo trasporto: è sicurezza energetica, autonomia strategica, logistica avanzata, turismo, bunkeraggio, nautica, intermodalità. È un ecosistema che genera valore reale e occupazione qualificata e che può ancora rafforzare la centralità dell’Italia nei traffici mediterranei e globali. È importante partire dal riconoscere questa centralità e poi costruire intorno ad essa una politica industriale coerente, moderna, strutturata. Il futuro della marittimità italiana si gioca oggi.
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