
“Un paese che gode di significativi punti di forza ma continua a soffrire di persistenti debolezze strutturali”. Nella prefazione all’ultimo numero di RPE, “Sistema Italia 2025”, firmata da Stefano Manzocchi a quattro mani con Giovanni Orsina, ordinario di Storia contemporanea alla Luiss Guido Carli e co-curatore dell’edizione, c’è il ritratto di un’Italia sicuramente vivace, in gamba, ma mai promossa a pieni voti. Anzi, promossa con sufficienza.
“La accolgo tutta questa metafora scolastica perché se avessimo davanti la pagella, avremmo dei voti medio alti su esportazioni e risparmio e voti decisamente più bassi su scuola e Pubblica amministrazione”, spiega Manzocchi, che aggiunge: “Quello della qualità del nostro sistema scolastico, per esempio, è un problema grave. Nel confronto con altri paesi europei, tramite i test Pisa e Invalsi, le competenze degli studenti mostrano gravi lacune, sono distribuite in modo disomogeneo sul territorio nazionale e si osservano differenze lungo la direttrice fra grandi città e piccoli centri, con questi ultimi più svantaggiati”.
Una questione strettamente connessa alla qualità degli insegnanti, alle carenze del loro processo di selezione, ai pochi incentivi per l’aggiornamento professionale e alle loro dinamiche retributive più basse che nel resto dei partner europei, un meccanismo che nel suo complesso gioca al ribasso, è l’analisi di Manzocchi. “E questo nonostante la legge 79 del 2022 del governo Draghi avesse tentato di dare una sterzata in virtù dei nostri impegni sul capitolo Pnrr – commenta Manzocchi –. Le intenzioni di questo provvedimento, infatti, sembrano ad oggi disattese, come si evince dal contributo presente sulla rivista (firmato da Andrea Gavosto e Marco Gioannini, ndr). Una sorta di occasione mancata”.
Il volume ospita otto interventi, con riflessioni sui passi avanti fatti e sulle situazioni che appaiono più stazionarie, contributi il cui obiettivo comune è di guardare il Paese nel suo insieme e nella giusta prospettiva. Rispetto ai numeri precedenti, con volumi monotematici dedicati a un argomento specifico (Intelligenza artificiale, sanità, cultura, demografia, etc…), “ci sembrava opportuno fare il punto sullo stato del Paese – spiega il direttore – per sfuggire ad una narrazione superficiale, da quotidiano. Naturalmente non abbiamo l’ambizione di essere esaustivi, però crediamo che gli argomenti selezionati forniscano una buona visione di come stiamo oggi”.
L’analisi del successo delle esportazioni si sofferma, ad esempio, sul processo di selezione che si è osservato dal 2008 in poi e che ha portato a un rafforzamento della struttura produttiva. “L’export ha sostenuto il Paese durante il Covid e nella ripresa post pandemia – ricorda Manzocchi –, arrivando a raggiungere il record assoluto di oltre 600 miliardi di euro”. A fronte di questo successo per le imprese italiane oggi ci sono alcune incognite: una è sicuramente quella dei dazi e delle guerre commerciali che sono in corso.
Poi ci sono le transizioni, energetica e digitale. Bene Industria 4.0, ai tempi, si poteva invece fare qualcosa di più su Industria 5.0, è il pensiero di Manzocchi, che alle imprese raccomanda di proseguire nel rafforzamento patrimoniale e negli investimenti, necessari per restare competitivi sul piano internazionale. “Occorre migliorare sotto il profilo organizzativo, nella progettazione e nell’export management, aspetti richiamati anche nel capitolo in cui parliamo di come attrarre il risparmio e canalizzarlo verso investimenti produttivi”, sottolinea.
Poi c’è la politica. Il contributo firmato da Lorenzo Castellani ripercorre un quindicennio di vita politica dal 2011 al 2024, entrando nel vivo di alcuni momenti di passaggio significativi fra crisi, populismo e ritorno alla stabilità. “Il capitolo ha il pregio di guardare i fatti con la giusta distanza – commenta Manzocchi –. La stagione del populismo sembra essersi conclusa, almeno per l’Italia, e ci troviamo di fronte a una legislatura che nasce da un progetto politico, da una maggioranza che, seppur con una minore affezione degli elettori al voto, si è affermata alle urne. Al netto delle preferenze politiche di ciascuno di noi, questa fase costituisce un ritorno alla stabilità, a un governo politico come non si osservava da diversi anni”.
E tuttavia non mancano anche qui le criticità, legate al fatto che “nella storia italiana della Seconda Repubblica, la stabilità è apparsa sempre legata ai singoli leader piuttosto che a una struttura partitica – spiega –. È vero che questo caratterizza spesso le democrazie contemporanee, tuttavia una maggiore strutturazione dei partiti aiuterebbe. Così come sarebbe auspicabile una chiara configurazione dell’opposizione, che è l’altro elemento fondamentale di un sistema democratico. Manca, in buona sostanza, il ritorno a un bipolarismo ben definito”.
Legato a questi argomenti è, infine, il capitolo dedicato alle riforme e alle istituzioni. “In questo caso gli autori (Serena Sileoni e Carlo Stagnaro, ndr) sfatano il mito che in Italia non si facciano mai le riforme. Il Paese procede per aggiustamenti e benché il referendum costituzionale sia stato bocciato, nei fatti il bicameralismo perfetto è stato superato e il Parlamento ha assunto una funzione, almeno in parte, più di controllo”.
Se questo sia un bene oppure no è presto per capirlo, di certo c’è che i sistemi politici democratici, anche europei, vivono una stagione di difficoltà, che altri contributi – e la prefazione stessa – non mancano di rilevare. Proprio quest’ultima si conclude parafrasando la celeberrima frase pronunciata da Humphrey Bogart nel film L’Ultima minaccia. “È la democrazia, bellezza”, scrivono gli autori. E quindi chiediamo al professor Manzocchi: democrazia alla prova oppure democrazia a rischio? “Per ora direi ‘democrazia alla prova’, ma scegliendo una metafora giuridica è veramente la prova d’appello. Occorre dare una risposta rapida e convincente, altrimenti i rischi sono immanenti”.
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